E’ un film apocalittico dal titolo” Here Alone” ad aggiudicarsi l’audience award all’appena conclusasi edizione del Tribeca FIlm Festival. In un futuro non molto distante una pandemia devasta l’umanità e la popolazione è divisa tra chi non è stato infettato e coloro i quali il virus ha trasformato in selvaggi assetati di sangue. La protagonista è una giovane ragazza che vive isolata nei boschi dello stato di New York, dove cerca di sopravvivere tenendosi lontana dagli infettati, sino a che la mancanza di cibo la costringerà a recarsi in una città vicina a fare provviste e dove un incontro importante con altri sopravissuti interromperà la sua solitudine.

Il film è stato scritto da David Ebeltoft e diretto da Rod Blackhurst (la coppia aveva già lavorato insieme tre anni fa in un corto thriller fantascientifico intitolato “Alone Time“, rivelando così una certa simpatia per la parola “Alone” nel titolo), i quali lo hanno prodotto per conto di una lunga catena di co-produttori alla cui testa c’è la Easy Open Productions che sempre quest’anno ha prodotto anche un altro film dell’esordiente James Morrison intitolato “Diverge“, altro thriller fantascientifico sempre sul tema dei virus mortali.

L’anno scorso al festival di Toronto è stato presentato un analogo thriller post pandemico dal titolo “In To The Forest” interpretato da Evan Rachel Wood ed Ellen Page (che lo ha anche co-prodotto), anch’esso ambientato nel folto di una foresta dove due sorelle, rimaste sole dopo la morte dei genitori, cercano di sopravvivere in una civiltà che è tornata indietro di duecento anni mantenendo e rivelando peraltro i suoi più bassi istinti.

Che si tratti di un’apocalisse zombie con tutti i crismi e carismi oppure di una più o meno sofisticata variazione sul tema si scorge un’ossessione strisciante per organismi invisibili che cambiano le persone. Sarà forse perché viviamo nell’era del terrorismo globale, in cui il vicino di casa si rivela improvvisamente essere un fanatico religioso. Oppure perché i fatti di cronaca ci riportano di eccidi compiuti da persone qualunque (anche se poi si scopre generalmente piuttosto disturbate) che entrano sparando nelle scuole, nei cinema e nelle chiese. Ci sono padri di famiglia che uccidono moglie e figli (e non tutti si suicidano subito dopo) e poliziotti, che dovrebbero essere baluardo della legge e della sicurezza, che dal’altra parte dell’oceano hanno un grilletto troppo facile, specie nei confronti delle persone di colore.

Fatti che sembrano rafforzare l’idea che c’è qualcosa di oscuro ed agente che può cambiare senza preavviso il tale che ci sta seduto di fronte in metropolitana. Il nerd adolescente tanto quanto l’attempato professore potrebbero mutare da un momento all’altro e divenire un pericolo per noi personalmente e per il tessuto sociale nel suo complesso. Tutto ciò affonda le sue radici nell’euristica della disponibilità, ovvero nell’effetto distorto che sortisce l’informazione sulla percezione della realtà. Quando i mezzi d’informazione riportano gli omicidi più eclatanti accaduti sul pianeta non possono impedire agli ascoltatori di generalizzare e ricavare l’impressione che vi sia in atto un progressivo deterioramento della situazione (Worls War Z e Fear The Walking Dead non a caso utilizzano lo stile del reportage), mentre invece si tratta solo della concentrazione nello spazio di un notiziario del meglio del peggio accaduto su di un pianeta che conta ormai circa sette miliardi di persone. Ma l’effetto ottenuto è comunque quello di un inevitabile inquietudine che trova espressione nel genere “catastrofico-virale”, con buona pace dei filmaker che possono trarre buoni spunti e realizzare film dai budget tutto sommato contenuti.