Un incontro con Marco Maccaferri l’autore di Double arms Andorid Device (D.A.D.)

Finalmente il coraggio di girare un film fuori dal coro in mezzo a un mare di drammi e di commedie. Ci sintetizzi trama e senso del film?
Il film e’ essenzialmente un racconto di formazione che ha al centro una bambina di 8 anni. Nell’arco del film diventa adulta nel momento in cui critica l’operato dei genitori, lanciando loro un segnale di allarme e di disperato aiuto. Abbandona l’universo infantile ed ha bisogno di una guida che stenta a vedere nei propri genitori. E’ in gioco il suo futuro, non vuole cedere all’angoscia per le sue sicurezze che stanno per incrinarsi.

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Nel film si contano ben 21 personaggi, c’è per te un vero protagonista?
Il racconto è stato quasi completamente svuotato di plot narrativo. La bambina cade in un buco scavato in una specie di cava e vive la propria trasformazione accanto a persone a loro volta piombate nello stesso posto. Tutti scappano da un misterioso attacco che ha cancellato le loro identità, un attacco alle loro sicurezze borghesi, un attacco che distrugge rapporti famigliari ed equilibri sociali faticosamente raggiunti.
Un brandello di umanità che pur essendo in una situazione di mistero e pericolo cerca di sopravvivere aspettando che la situazione cambi. Il ritmo della vita odierna in cui non abbiamo più’ tempo o dove il tempo non esiste più, dove parliamo tutti di noi e tra noi senza apparenti pudori, si è improvvisamente annullato ed ha perso significato. La morte ha perso significato. Infatti il rapporto madre e figlia più sviluppato nel racconto è esemplare, con il suicidio della madre sparisce questo ruolo lasciando nel buco tutte donne senza figli o famiglia.
La nostalgia per il passato non c’è più, l’oggi è stato distrutto.
Come hai lavorato con questo elevato numero di attori?
Agli attori ho dato pochissimi appoggi sui personaggi da loro interpretati, non sapevano nulla o quasi su chi fossero, m’interessava vedere un gruppo di persone in una situazione anomala ed estrema senza più legami con la loro identità sociale passata. Poca trama, solo il presente, un cast poco omogeneo e catturato da diverse esperienze lavorative. Gli attori sono il personaggio, ho adattato le caratteristiche della persona/attore al personaggio stesso.

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E’ un film che si può’ definire indipendente?
Il film, prodotto da “L’Isola Produzione” e’ stato girato in 18 giorni, finanziato dal Mibact e dalla Film Commision Lombardia, film indipendente anche se ha avuto una distribuzione ufficiale con Istituto Luce.

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D.A.D. e’ un film che sicuramente definiamo fantasy, sei d’accordo?
La parte centrale di questo film chiaramente metaforico ed onirico è stata girata con inquadrature medio-larghe, soprattutto con il 50 e 35 mm. Questo per rendere efficace la messa in scena corale e per dare un impianto realistico ad una struttura drammaturgica comunque astratta e fantasy. Il prologo ed epilogo, apparentemente più realistici, invece procedono per ellissi e jump-cut.

Marco Maccaferri sul set di D.A.D.
Marco Maccaferri sul set di D.A.D.

Il genere del film è fantasy, sicuramente un genere poco praticato in Italia poiché poco incoraggiato da produttori e distributori e tutto sommato guardato con diffidenza dagli spettatori troppo attratti dai Maestri americani. Io sono un appassionato del genere fantascienza, horror e fantastico in generale, fin da quando da bambino divoravo i racconti della collana ‘Urania’. Ho sempre pensato che il mistero insito nel racconto fantastico spiazzi lo spettatore ed i protagonisti stessi della storia, stravolgendo le loro vite ed i loro sguardi, aprendo al tempo stesso un universo sconosciuto ed affascinante da esplorare. Il film che mi ha illuminato e’ stato ‘Gli uccelli’ di A.Hitchcock, una storia edipica tutto sommato scontata ma folgorata, incoraggiata e risolta dall’apparizione e cambiamento degli uccelli, solitamente innocui ma ora crudeli ed assassini.
Come la vita degli uccelli può cambiare, potrebbe cambiare anche la nostra, no?

A Spasso Con Bob

Basato sul bestseller “ A street cat named Bob”, arriva al cinema “A spasso con Bob”, tratto da una storia vera, che narra il dramma di James, giovane londinese eroinomane dall’età di  11 anni; frustrazioni famigliari, fragilità emotiva e difficoltà a cogliere gli aiuti sociali e sanitari, lo hanno condotto a vivere per strada. Un giorno, per caso, incontrerà Bob, un gatto vivace dal manto rosso: ne nascerà un legame fortissimo.

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Il film la dice lunga sulla visione della società verso i tossicodipendenti, spesso allontanati perché ritenuti difficili, pericolosi, contagiosi; tutto cambierà grazie alla presenza di Bob. Il gatto finirà per diventare più importante dell’essere umano o, meglio, la presenza di Bob farà in modo che il mondo si accorga anche di James, fino ad allora considerato escluso e reietto.

La pietà, la commiserazione, la benevolenza si dà più facilmente ad un animale che ad un essere umano, che nella sua fragilità, inesperienza, sbaglia, proprio perché è un essere umano.

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Il lieto fine in questo caso è riuscito.