Essere fermati dalla polizia stradale negli Stati Uniti può essere una brutta esperienza, proprio come accade in molti film. Nell’immaginario collettivo, quando un poliziotto americano ti ferma e chiede i documenti, già si mette male… se poi dice:
“Sir… step out of the car.” beh, allora sono c…i!
La stessa situazione in America Latina, in Africa, in buona parte dell’Europa dell’Est, si potrebbe facilmente risolvere con una transazione. Negli anni mi è successo a Kiev, in Tanzania e in Bolivia, dove me la sono cavata con una media di 50 Euro.
Per un italiano, abituato a cercare sempre “una soluzione”, queste modalità, magari discutibili da un punto di vista etico, sono più congeniali dell’inflessibilità anglosassone, anche se in Italia non mi è mai giunta voce di corruzione palese della polizia stradale.
Il tentativo di corrompere un poliziotto americano può portare a dei seri guai, in alcuni casi a conseguenze estreme, come succede al personaggio che Steve Buscemi interpreta in “Fargo“.
La banconota da cento dollari, infilata “per caso” tra i documenti nella speranza che il funzionario non proceda con l’accertamento, porta a un netto peggioramento della situazione e all’intervento risolutivo del personaggio interpretato da Peter Stormare (delinquente psicopatico seduto al fianco di Buscemi) che senza pensarci due volte fredda l’agente con un colpo di pistola e poi stermina una famigliola di sfortunati passanti per non avere testimoni.
Dopo un viaggio in macchina di sette ore da San Francisco a Los Angeles, ero arrivato a casa di un vecchio amico, Alessandro Jacchia, un produttore televisivo che ha colto al volo l’invito di insegnare in una prestigiosa università americana per lasciare definitivamente Roma e trasferirsi in California.
Era passato qualche anno dall’ultimo incontro e siamo rimasti a parlare fino all’una di notte, riflettendo sull’ingenuità della nostra scelta di fare i produttori in Italia, in un sistema chiuso e troppo rischioso, dove la burocrazia kafkiana, il ritardo cronico nei pagamenti della pubblica amministrazione, le vessazioni subite da Equitalia, la crisi del sistema bancario, hanno portato molte importanti realtà produttive alla canna del gas o al fallimento, in tutti i settori, non solo nell’audiovisivo.
Con le bottiglie di un ottimo Tempranillo aperte durante la cena avevamo sicuramente un tasso alcolico molto al di sopra del livello consentito… e prima di andarmene, mentre salivo in macchina, mi sono sentito dire:
“Attento alla polizia. Se ti fermano sono guai…”
Con questo monito profetico mi sono avventurato sulla highway che mi avrebbe portato verso l’aeroporto.
Mi sentivo sicuro alla guida, ma non conoscendo bene il tragitto devo aver avuto qualche esitazione, passando da una corsia all’altra mentre seguivo il navigatore con la coda dell’occhio… E’ bastato questo a far materializzare dal nulla i lampeggianti di una volante alle mie spalle. Con un megafono mi venivano impartiti ordini semplice e perentori da una voce distorta, senza aggressività, ma con un tono certamente inquietante per un italiano sperduto nella notte su un’autostrada a sei corsie della California. Ho svoltato alla prima uscita come mi veniva ordinato dall’anonima voce gracchiante alle mie spalle e mi sono ritrovato in una zona industriale completamente deserta, dove ho fermato la macchina.
Ho avuto un attimo di panico: in un luogo come quello, nel cuore della notte, poteva succedere qualsiasi cosa… ma poi, grazie a una misteriosa combinazioni di fattori, ho ritrovato il sangue freddo. Il primo pensiero “Sono fregato” (la concreta prospettiva della prigione, un processo e un mare di guai) ha lasciato il posto a “Stai calmo. Non lasciarti intimidire… e ricordati che non sei in un film.”
Attraverso il finestrino ho consegnato la mia patente italiana.
Tra le varie cose, ho pensato alla leggerezza con la quale Sam Spade, l’investigatore privato uscito dalla penna di Dashiell Hammett, avrebbe affrontato la situazione. Non ero in pericolo di vita… Potevo passare dei guai, ma niente d’irreparabile.
Alla domanda se avevo bevuto dell’alcool ho risposto senza esitazione e con una calma che ha sorpreso me per primo:
“Un bicchiere di vino a cena.”
“Ho visto che ti spostavi da una corsia all’altra…” ha incalzato il poliziotto mettendo chiaramente in dubbio le mie parole.
“Mi sono perso. Stavo cercando la corsia giusta per non mancare l’uscita… Il navigatore non funziona bene. Da noi le autostrade hanno solo due corsie…”
Con la rivelazione che in Italia le autostrade farebbero ridere rispetto a quelle americane, il poliziotto ha avuto un moto di soddisfazione: meglio passare da provinciale che finire in galera. Ma ciò nonostante…
“Sir… step out of the car.”
Dal 2006 ho iniziato ad andare spesso a San Francisco, sia per le riprese di un documentario sul sessantotto prodotto da Cinecittà-Luce, che per un progetto con il Teatro di Roma e Lawrence Ferlinghetti (in collaborazione con Francesco Conz e Laura Zanetti), concretizzatosi poi nel 2008 con una serie di iniziative in vari teatri e biblioteche della capitale: “NOT LIKE DANTE – Lawrence Ferlinghetti a Roma”.
Lawrence (che è nato il 24 marzo del 1919) all’epoca aveva già 89 anni, e seri problemi alla vista, tanto che quella del 17 maggio 2008 al teatro di Tor Bella Monaca (con la traduzione live di Giorgio Albertazzi e Michele Placido) è stata la sua ultima lettura pubblica ufficiale.
Al suo arrivo a Roma eravamo stati invitati in Campidoglio per un incontro/conferenza stampa con il neo eletto sindaco Gianni Alemanno che, pur ignorando chi fosse l’illustre ospite, fece un discorso molto convinto, imbeccato dal suo assessore alla cultura Umberto Croppi e dal giornalista Adalberto Baldoni, che gli avevano suggerito di non lasciarsi sfuggire l’occasione, se pure il progetto era nato con la precedete amministrazione di sinistra.
“Il più importante poeta americano vivente… Punto di riferimento e catalizzatore della beat generation… Editore di Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gergory Corso, Neal Cassidy…”
Lawrence era perplesso quando fu informato sull’appartenenza politica del sindaco, ma alla fine, quell’accoglienza affettuosa persino da parte dell’estrema destra, doveva aver convinto tutti sulla legittimità di un diritto trasversale alla cultura.
Tra le varie iniziative in programma c’era un’happening al Teatro India, con la lettura multimediale di “Underware” una poesia molto nota di Ferlinghetti…
I didn’t get much sleep last night
thinking about underwear
Have you ever stopped to consider
underwear in the abstract
When you really dig into it
some shocking problems are raised
Underwear is something
we all have to deal with
Everyone wears
some kind of underwear
Even Indians wear underwear
Negroes often wear white underwear
which may lead to trouble
The Pope wears underwear… I hope
… (continua)
Mentre sul palcoscenico Lawrence dipingeva con simboli e parole delle vecchie sottovesti, il poeta sardo Alberto Masala leggeva la sua traduzione italiana di “Underware”… seguita poi da un video proiettato su uno schermo sospeso dove, a City Lights (la storica libreria di Ferlighetti a San Francisco) Amanda Plummer (la ragazza con la pistola di Pulp Fiction) leggeva la stessa poesia in originale. Ho lavorato con Amanda nel 2002 quando partecipò al mio film sulla vicenda di Ilaria Alpi. Siamo diventati amici e da allora ogni tanto l’ho coinvolta in qualche iniziativa interessante.
La lettura sullo schermo di Amanda veniva poi ripetuta dal vivo da Ferlinghetti, mente sei ragazze, che nel frattempo avevano indossato le sottovesti dipinte, si aggiravano tra il pubblico offrendo vino. Sullo schermo intanto scorrevano le immagini del quartiere di North Beach con la presenza di altri amici poeti come Jack Hirshman e sua moglie Aggie Falk al caffè Trieste (all’angolo di Valejo Street a Grant Avenue), loro ritrovo abituale.
Durante una delle mie visite al suo studio, una warehouse alla periferia di San Francisco, Lawrence mi aveva regalato una sottoveste sulla quale aveva scritto in blu “I AM NOT YOUR MOTHER”.
Negli anni abbiamo fatto parecchie riprese… una volta anche mentre guidava il suo pick up rosso e quasi finivamo fuori strada per evitare un tamponamento: i problemi alla vista erano cominciati. Ciò nonostante quel giorno era di ottimo umore e stranamente si era persino prestato a una vera a propria intervista (cosa che normalmente rifuggiva) fuori dal caffè Trieste, nella quale racconta di quando Gregory Corso era stato sorpreso a rubare nella sua libreria. Non era stato lui a sporgere denuncia, anzi, lo aveva subito avvertito che la polizia lo stava cercando e lo aveva consigliato di filarsela per un po’… E fu allora che Gregory Corso partì per l’Italia dove sarebbe rimasto in esilio per più di un anno.
Il Teatro di Roma aveva il budget per il viaggio e l’ospitalità di Ferlinghetti ma per il resto delle spese ci avevano pensato una giovane coppia di filantropi di San Francisco, Robert Anderson e Nìcola Minor, che avevo conosciuto grazie a un comune amico. La loro fortuna è legata alla compagnia di computer Oracle, fondata dal padre di Nicola, Bob Minor, nel 1977.
Robert è uno scrittore, sceneggiatore, attore e anche produttore cinematografico, appassionato di Jazz e di poesia: una sensibilità artistica, combinata a grandi possibilità economiche può essere una fortuita combinazione. Il mecenatismo è abbastanza diffuso negli Stati Uniti, mentre da noi è più raro. La coscienza di essere parte di un tessuto sociale e di poter contribuire a migliorarlo investendo un po’ della propria fortuna al servizio della collettività dovrebbe essere una cosa normale e logica, ma l’egoismo e l’individualismo sono molto più diffusi della generosità.
Tra le varie cose che Robert e Nìcola fanno a San Francisco, oltre alla normale beneficenza e al sostegno del festival della poesia e del Jazz, c’è anche il recupero e la valorizzazione del patrimonio della città, a volte ignorato dalla pubblica amministrazione per miopia o per disinteresse. E’ questo il caso dell’appartamento di Dashiell Hammett all’891 di Post St, interno 401, dove il grande scrittore ha abitato dal 1922 e ha scritto i suoi romanzi (tra i quali il celeberrimo “The Maltese Falcon”). La ristrutturazione è stata fatta con l’intento di creare un’atmosfera e ogni dettaglio è stato curato con passione e precisione, per dare al visitatore la sensazione di essere ancora negli anni venti.
Durante il mio ultimo viaggio a San Francisco (pochi giorni prima dell’incontro con la polizia stradale a Los Angeles) Robert e Nìcola erano in Giappone con i loro quatto figli, per cui non ci saremmo potuti incontrare.
E’ stata però una bella sorpresa ricevere l’offerta di utilizzare per qualche giorno l’appartamento di Hammett a Post Street invece che andare in albergo.
Nonostante la cucina sia perfettamente funzionante ho preferito evitarne l’utilizzo… tra il vecchio grammofono a tromba, il telefono a manovella, il lampadario di alabastro la sensazione del “museo” rimane dominante… e così, appena sveglio, sono uscito per fare colazione.
Ero arrivato la sera prima, lasciando la macchina in un garage dietro l’angolo, e non avevo ben capito dov’ero… ma fatti pochi passi mi sono ritrovato a Union Square, una piazza che ho ben impressa nella memoria poiché teatro della scena chiave di un grande film di Francis Ford Coppola “The Conversation” (1974) vincitore della Palma d’Oro a Cannes.
Harry Caul, un investigatore privato, esperto di sistemi di sorveglianza… viene incaricato da un potente uomo d’affari di spiare una coppia di amanti. I due s’incontrato durante la pausa pranzo a Union Square e parlano mentre si muovono tra la gente, inconsapevoli che le loro parole vengono registrate da diversi microfoni in movimento, azionali dagli uomini di Caul.
Gene Hackman ci regala una magistrale interpretazione del protagonista, un uomo solo e complesso, nella tradizione di Sam Spade, che dimostra però un disperato bisogno d’amore e una contraddittoria debolezza ancora non pensabile per lo stile hard bolied di Hammett. Si potrebbe dire che Harry è l’evoluzione Sam, nello spazio di una cinquantina d’anni, nello stesso quartiere della città.
Il montaggio del suono del film, curato dal mitico Walter Murch, è pieno d’invenzioni straordinarie.
Una volta rientrato nel suo laboratorio Harry comincia a “ripulire” la conversazione registrata a Union Square, isolando le frequenze fino a raggiungere quella che sembra essere l’anima delle parole… fino a capire, com’è già successo in passato, che anche questa volta il suo lavoro potrebbe mettere in pericolo la vita delle persone coinvolte, in questo caso la coppia di giovani amanti. Il passato pesa su Harry Caul come una pietra e non gli permette mai di rilassarsi. Quando viveva a New York, era riuscito a registrare la conversazione tra il capo di un potente sindacato e il suo contabile: i due parlavano solo quando andavano a pescare, su una barca a prova di microspie. Ma lui era riuscito nell’impresa scoprendo che avevano costituto un fondo segreto e illegale. Il contabile e la sua famiglia al completo erano stati uccisi per quelle rivelazioni e da allora Harry, perseguitato dal senso di colpa, si era trasferito a San Francisco.
Il film è meraviglioso. Perfetto. Una sceneggiatura geniale, piena di vasi comunicanti, che pur complicando la storia e la psicologia dei personaggi, procede con grande rigore e chiarezza, utilizzando soluzioni sorprendenti come la scena del sogno… dove Harry cammina solitario in un paesaggio desolato e nebbioso, mente la sua voce fuori campo si perde in strani e inquietanti ricordi d’infanzia… oppure la scena in chiesa, quando il protagonista sente l’impellente necessità di una confessione se pure reticente, come se il vuoto e la miseria umana della sua vita terrena lo facesse sperare per un attimo in una forza superiore con la quale rapportarsi, alla quale potersi affidare per un attimo, così da sfuggire al vuoto della sua mancanza di certezze, alla solitudine opprimente che lo circonda.
Anche i personaggi femminili del film di Coppola sono facilmente riconducibili agli archetipi di Hammett: donne senza scrupoli che usano il proprio fascino per confondere le capacità critiche del protagonista, che mentono spudoratamente, che spariscono all’improvviso… ma che in fondo non sono da condannare, anche loro vittime di un mondo feroce e impietoso.
Indimenticabile la scena in cui Harry per un attimo sembra dimenticarsi della sua sfiducia cronica nel mondo, e si confida con una donna che ha appena incontrato… Le parla di un’altra donna, quella che l’ha appena abbandonato proprio per la sua incapacità di fidarsi, per la sua ossessiva riservatezza. Cerca risposte che nessuno gli può dare: le sue inutili domande piene di disperazione a quella sconosciuta che rappresenta l’universo femminile, ci fanno provare per lui una grande tenerezza, nonostante sia un personaggio così schivo e sfuggente.
Come Sam Spade, Harry Caul è l’uomo delle occasioni perdute, destinato alla solitudine… l’uomo che può aspirare solo a qualche sporadico istante di felicità, come un raggio di sole che scalda per un attimo un angolo freddo. La sua unica possibilità di sopravvivenza è la dimensione mitologica dell’eroe solitario che con la sua forza di volontà si oppone alle avversità del mondo, fuori e dentro di se. Il mito di Ulisse ritorna sempre, si rinnova e prende altre sembianze, ma l’essenza rimane.
Mentre camminavo per tornare all’appartamento di Hammett a Post Street, le immagini e le suggestioni del film di Coppola mi tornavano alla mente… e quando sono entrato in casa l’atmosfera mi ha portato ancora più indietro nel tempo, dagli anni settanta agli anni venti. Seduto alla scrivania di Hammett, davanti alla vecchia macchina da scrivere Royal… ho iniziato a leggere “Il Falcone Maltese“, nell’esatto punto in cui il romanzo è stato scritto.
Sono convinto che qualche frammento di quel mondo, di quelle suggestioni appena vissute, mi sia venuto in aiuto durante l’incontro con la polizia stradale a Los Angeles… Rispetto ai guai di Sam Spade, quello che avrei dovuto affrontare era abbastanza semplice.
Ma ecco la scena…
LOS ANGELES, ZONA INDUSTRIALE – EST NOTTE
“Sir… step out of the car.”
Quando sono uscito dalla macchina il poliziotto mi ha spigato quello che avrei dovuto fare: seguire con lo sguardo il movimento di una penna, mentre con una piccola torcia elettrica illuminava i miei occhi alla ricerca di un’esitazione, di un’assenza, di una mancanza di riflessi che giustificasse un intervento più approfondito. Ho capito che in quel momento non era il caso di chiedere spiegazioni o mostrare una qualsiasi debolezza e così, quando mi ha chiesto se era tutto chiaro, ho semplicemente annuito con calma.
Pochi minuti dopo ero di nuovo libero sulla high way a sei corsie, con la sensazione di aver superato una prova importante ma senza sapere esattamente come. Tutti i miei amici americani, ascoltando il racconto nei giorni a seguire, erano allibiti, non potevano credere che il poliziotto mi avesse risparmiato.
Il commento più comune è stato: A miracle!
E’ possibile e che dopo aver bevuto un litro di Tempranillo, assieme a una lieve ebrezza si possa raggiungere una specie di calmo distacco dal mondo, uno stato di atarassia che con un po’ di fortuna può essere preso per sicurezza, per confidenza in se stessi… o forse lo spirto di Dashiell Hammett con il quale ho abitato per qualche giorno, mi è stato vicino in quel momento non facile, e come ha sempre trovato una via d’uscita per i suoi personaggi in situazioni disperate mi ha guidato come un angelo custode, facendomi trovare il giusto stato d’animo, quella calma apparente che mi ha salvato.