Paterson

Jim Jarmush torna dopo tre anni con un film che non si lascia incasellare facilmente nel dramma o nella commedia, come del resto ci ha abituati il regista in quasi tutte le sue opere.

da sinistra a destra: Adam Driver, Golshifteh Farahani e Jim Jarmush
da sinistra a destra: Adam Driver, Golshifteh Farahani e Jim Jarmush

E’ la storia di un autista di autobus che si chiama Paterson (interpretato da Adam Driver, ma guarda che caso strano) che con la piccola cittadina del New Jersey dove vive e lavora condivide anche il nome. Coltiva l’amore per la poesia e la giovane moglie Laura (Golshifteh Farahani). I giorni si ripetono simili nella piccola città che ha dato i natali ad un manipolo di personaggi più o meno famosi, da Lou Costello (che molti ricorderanno nel nome italianizzato di “Pinotto” in copia con l’altrettanto celebre “Gianni”) al poeta William Carlos William, nato sempre nel New Jersey ma a Rutherford, che il giovane autista apprezza ed emula scrivendo sul suo inseparabile taccuino dei versi ispirati dall’osservazione di piccole cose, da semplici dettagli di vita.

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Tre sono gli ambienti principali ove si svolge il film e ciascuno corrispondente ad un piano narrativo. La casa piccola e modesta dove la coppia vive e che rappresenta il piano onirico. La città e l’autobus che costituiscono la vita reale. Il pub dove ogni sera Paterson si concede una birra, il quale raffigura il piano dell’interazione sociale. Ogni piano ha un suo dominus. La moglie, che vive perennemente in casa, è il simbolo del sogno. E’ lei che racconta al marito dei propri sogni ad ogni risveglio, è sempre lei che condivide con il marito i propri desideri palesemente scollati dalla realtà come quello di diventare ricca producendo cup cakes o sfondare nel mondo del country come cantante ed è infine lei ad incoraggiare la vena poetica del marito. E’ una dimensione irreale, sottolineata dall’ossessione per il bianco e per il nero che ha  Laura, la quale dipinge ogni cosa con motivi creativi sì ma in bianco e nero, senza cioè i colori della realtà.

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Nel suo turno di lavoro alla guida dell’autobus Paterson fa un pieno di realtà, ascolta brani di conversazioni dei passeggeri (come non ricordare “Taxisti di Notte” 1991 , sempre di Jarmush) ed osserva la città al di là del vetro del parabrezza. Partendo da minuti particolari della realtà Paterson cerca un’elevazione tramite la poesia ed è il dominus del suo minuscolo mondo. Nel pub invece a dominare è Doc (Barry Shabaka Henley), il proprietario di questo locale dove la gente beve, s’incontra ma non interagisce.

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Ogni dominus infatti ha nel proprio ambito il problema della comunicazione. Ed è proprio questo il tema principale del film: la qualità dell’interazione. Paterson e Laura parlano sì, ma il più delle volte è Laura a prodursi in un monologo in cui il marito annuisce o si limita a risposte telegrafiche. Lui non ha neppure il coraggio di dirle che non sopporta il loro cane tiranno, Marvin, un bulldog inglese che siede come un despota sulla poltrona del salotto costellato da quadri che lo raffigurano.

il cane Nellie nella parte di Marvin
il cane Nellie nella parte di Marvin

Sul suo autobus Paterson assiste al mondo ma non partecipa. Non possiede neppure un telefono portatile. Ascolta tutti con garbo, anche il collega che ogni mattina incontra al deposito dei mezzi, ma non domanda mai nulla oltre al formale “tutto bene?”. Anche nel pub il livello di scambio è molto basso, lì Doc gioca da solo a scacchi, gli avventori si incontrano ma non si conoscono mai veramente. L’unico rapporto evidente è quello tra una coppia che si è appena lasciata ed in cui lei non vuole più parlare con lui che invece la insegue inutilmente. Paterson siede da solo al bancone a guardare il fondo del bicchiere della sua birra scambiando chiacchiere con Doc, ma sono parole che stentano a divenire un reale dialogo.

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Tutto procede con coerenza sino ad un naturale drammatico epilogo, ove finalmente i piani onirico, reale e relazionale si intersecano, rompendo l’innaturale omeostasi di Paterson. Jarmush tradizionalmente non si presta a dare giudizi di valore nelle proprie storie, ma spesso un cambiamento è un passo verso il meglio e la bontà di questo cambiamento è data dalla direzione intrapresa che nel caso di Paterson è senz’altro verso la poesia, un elemento che manca ai nostri giorni, ma che non difetta certo a questo film.