Padre Ferreira (Liam Neeson) ha abiurato, la missione dei gesuiti per la cristianizzazione del Giappone è persa, ma Rodrigues e Garupe, due allievi di Ferreira, non possono crederci e vogliono partire per ritrovare il loro mentore e continuare l’opera missionaria.
Il nuovo film di Martin Scorsese è basato sull’omonimo romanzo “Silence” dello scrittore Shūsaku Endo, che narra della persecuzione contro i cristiani dopo la caduta del castello di Shimabara fulcro di una ribellione di matrice cristiana che minacciava la stabilità dello shougunato Tokugawa.
Dal titolo si desume chiaramente che non è un mistero che il silenzio è il dichiarato tema del film. Un concetto reso non soltanto nella singolare assenza di ogni risposta nei numerosi dialoghi del film, ma anche nel commento sonoro stesso, opportunamente soppresso completamente in taluni punti chiave. La fotografia è magistrale (basterebbe quella da sola per acquistare il biglietto del film) ed è opera di Rodrigo Prieto che già ha lavorato con Scorsese in “The Wolf Of Wall Street” e direttore della fotografia di altri capolavori come “Argo” di Ben Affleck, “Alexander” di Oliver Stone e “I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee, tutti autori che hanno in gran conto l’immagine come linguaggio.
Nel ruolo dei due gesuiti Adam Driver, reduce da “Paterson” di Jim Jarmush, e Andrew Garfield assolutamente credibile in un ruolo così lontano da Spider Man. Due giovani entusiasti che partono dal Portogallo del XVII secolo con un bagaglio pieno di risposte e di certezze destinato a depauperarsi di fronte ad una realtà aliena e terribile. “Dio sentirà le loro preghiere, ma udirà anche le loro grida?” Si chiede padre Rodrigues (Andrew Garfiled) di fronte al rogo che nega anche la salma di Mokichi, interpretato dal regista ed attore Shin’ya Tsukamoto (quello di “Gemini“), alla cura dei parenti.
Di fronte alla lucida barbarie dell’inquisitore giapponese o alla povertà ed alle sofferenze indicibili dei kirishitan (Cristiani in giapponese) non vi è risposta alcuna né tra gli uomini e neppure da Dio che rimane silente ad osservare gli uomini dall’alto. Suggestive in tal senso le inquadrature dall’alto dei preti sulla scalinata o della tolda della nave.
Tutte immagini che disegnano croci visive e tante altre croci sono disseminate nel film, umili manufatti dei cripto cristiani giapponesi o le croci erette dall’inquisitore per la tortura per chi rifiuta di abiurare la nuova perniciosa fede dei gaijin (stranieri in giapponese). Per uno stato fortemente gerarchico che deriva la propria legittimazione da un imperatore, il quale non ha alcun potere politico, ma a cui si attribuisce una stirpe divina, il messaggio di uguaglianza cristiano e la fede in un Dio che sta altrove costituisce un pericolo destabilizzante. Il dramma quindi è generato da un’istanza spirituale che riveste l’opera dei missionari ed una invece politica che è l’unica che interessa allo shogunato. Dei due gesuiti Garupe è quello più pragmatico, coerente al proprio mandato e più integralista, mentre Rodriguez è la parte spirituale della coppia, saldo nella fede ma tormentato dai conflitti cui questa pone di fronte alla persecuzione ed alla sofferenza.
Si può assolvere chi compie sempre lo stesso peccato? Abiurare è questione di forma o di sostanza? Un interrogativo che non ha molto senso in una cultura monista come quella buddista. Quale quindi la risposta? Inutile cercarla in un segno divino, nei documenti, nelle dotte conversazioni o nelle immagini sacre. Ogni cosa in cielo e in terra oppone un solido muro di silenzio. Se c’è una risposta, alla fine, è dentro di noi.