In un futuro che è ormai presente una internet company è divenuta potentissima grazie ad un’intuizione del giovane genio che ha fondato la società: un unico account per accedere ad ogni funzionalità di internet. Se la mente corre a Face Book è una cosa vostra perché io non l’ho detto. La sua sede assomiglia ad un campus universitario, razionale ed all’avanguardia non solo nella tecnologia, ma anche nel welfare a beneficio dei dipendenti e consumatori. Le sue attività si ramificano sempre più rapidamente ed efficacemente lanciando prodotti che entrano prepotentemente nella vita delle persone cambiandone potenzialità ed abitudini. La giovane entusiasta Mae Holland (Emma Watson) viene assunta grazie alla raccomandazione dell’amica Annie (Karen Gillan) che è già un pezzo grosso della company e subito si mette in mostra per il suo zelo. I colleghi sono simpatici, la vita in azienda è piacevole e coinvolgente e tra i benefit vi è pure un’assicurazione sanitaria che permette a Mae di assistere il padre (interpretato da Bill Paxton nella sua ultima parte prima della sua recente scomparsa) ammalato di Parkinson. Eppure qualcosa non quadra e tutto appare sempre più avvolgente e soffocante, come se la società volesse invadere sempre di più la sfera privata ed intima di ciascuno. Sono forse i due manager che hanno affiancato il fondatore e che mossi da filantropia o forse da ambizione sfrenata stanno varcando il confine tra ciò che è utile e ciò che è lecito? Come si suol dire (e non a caso): il cerchio si stringe.
Tom Hanks ha preso all’ingrosso i diritti di trasposizione cinematografica da Dave Eggers autore dei best sellers “The Cirlce” e “L’ologramma del re” (attualmente in lavorazione e sempre prodotto da Hanks) e fin qui tutto bene, poiché Eggers è un autore visionario ma calibrato che sa rendere plausibili i suoi scenari. Peccato però che il senso del libro ne viene completamente stravolto, compreso il finale reso in senso diametralmente opposto al messaggio del libro. Nel romanzo c’era pure un personaggio misterioso la cui identità invece nel film viene sciorinata a pochi minuti dai titoli di testa. Siccome alla sceneggiatura ha collaborato lo stesso Eggers non si può dire che gliela hanno fatta sotto il naso. Segno che i soldi non solo fanno ballare l’orso ma fanno fare agli autori delle virate di 180° rispetto ai loro libri. Non tutti ovviamente e va reso merito tanto ai Cormack Mc Carthy, quanto alle Rowling che hanno ceduto sì i diritti di trasposizione delle loro opere ma imponendone un certo rispetto.
Il riferimento alla creatrice di Harry Potter non è casuale visto che la protagonista era la Hermione della interminabile saga e che fuori da quel ruolo stenta a trovare un talento recitativo. A parte il fatto che Mae Holland dovrebbe essere una ragazzotta del ovest americano cresciuta a furia di hamburger e patatine e la fisionomia cosi British della Watson ci azzecca veramente poco, le doti attoriali della fu compagna di scuola del celebre maghetto risultano veramente insufficienti per una parte da protagonista. La cosa risulta ancor più evidente al cospetto di una Karen Gillan che ride, piange, strepita, si entusiasma, si dimena e si abbatte dando una lezione di recitazione che eclissa la Watson e fa rimpiangere di non poterla vederla in un numero maggiore di film.
La Adler , distributrice in italia insieme a Goodfilm, ha fatto una scelta al risparmio e non ha fatto doppiare Tom Hank dalla sua abituale voce italiana, il grande ed ormai caratterizzante Roberto Chevalier, per cui l’effetto è strano ed è come se la vostra cara zia vi parlasse con la voce di Milly Carlucci.
Il regista georgiano (quella statunitense di Georgia non quella caucasica) James Ponsoldt aveva sino ad ora all’attivo tre film minori ed una manciata di episodi TV, la qual cosa non stupisce considerando l’esito deludente della regia di The Circle. Il vantaggio di un film rispetto ad un libro è la possibilità di usare differenti modalità espressive quali la fotografia, il montaggio delle immagini, la scelta delle inquadrature oltre ovviamente alla musica. Ponsoldt invece non fa che ribattere pedissequamente il libro sottoponendoci a molteplici noiosissimi monologhi ed a conversazioni esplicative, rinunciando ad ogni espediente evocativo o quantomeno simbolico. I personaggi risultano così solo abbozzati, le situazioni poco incisive e la trama in genere è toccata così superficialmente da far sfuggire il senso dell’agire dei protagonisti. Una regia scolastica e didascalica per un soggetto che avrebbe meritato se non proprio la maestria di un Terrence Malick almeno la sensibilità di Tim Sutton (l’autore di Dark Night).
In sintesi: la storia non è quella del libro, il cast è sbagliato (almeno nella sua protagonista principale), la regia insufficiente e la distribuzione italiana così sparagnina da negarci pure la voce di Tom Hanks. Alla fine ci tocca trovare del positivo nel fatto che in Italia i film in sala durano come un gatto in tangenziale, così possiamo sperare in qualcosa di meglio.