Da un paese che produce più di 200 film all’anno ci si aspetterebbe un apparato distributivo per le vendite internazionali di un certo livello, rappresentato a Cannes da una presenza evidente sia tra gli stand del Palais du Festival che tra le suite degli hotel e dei palazzi della Croisette, senza magari raggiungere gli eccessi delle feste in villa del sabato sera organizzate dai grandi nomi spesso francesi, ma con una importanza proporzionale alla tradizione del cinema italiano.
Invece se si eccettuano Minerva Pictures con il suo decoroso e funzionale stand ed il grande stand di RAI COM che con i soldi degli italiani può permettersi uno stand appena più piccolo di IM Global, gli altri sei operatori (sì perché di questi piccoli numeri si sta parlando) si litigano dei box in condominio che non tengono il passo per dimensioni e gusto manco con l’area occupata dalla Fiandre film commission ( con tutto il rispetto per l’istituzione belga).
Il quadro complessivo è povero e desolato, impressione acuita dai deschi per lo più orfani di buyer e dalle pareti spoglie o al limite ingombre di locandine dai visual caserecci, ormai così poco a la page. E’ così che i film italiani, quelli di qualche interesse commerciale, trovano solitamente residenza presso i grandi distributori francesi come Wild Bunch.
Non è sempre stato così. E’ vero che francesi e inglesi erano sempre un passo avanti per quantità e dimensioni delle società di distribuzione, ma gli italiani avevano stand individuali e c’era chi come Adriana Chiesa aveva due suites al Carlton. L’ultimo anno è stato forse quello in cui la appena nata (e poi subito chiusa) Lion aveva uno stand sulla corsia principale ed un comodo ufficio dal quale vendere però un unico e non entusiasmante film.
Segno che la crisi del cinema italiano si riverbera su tutta la filiera. Anche se fanno molto più rumore i pianti degli esercenti e delle case di produzione, non va ignorato il fatto che se un film non ha una circuitazione internazionale finirà per avere un tasso di rendimento per gli investitori minore rispetto a quello di altri paesi europei come Francia, Inghilterra e Spagna. Si viene a formare in questo modo una forbice via via più ampia, che rende sempre meno competitivo il nostro cinema. Il circolo vizioso è evidente: meno profitti, meno investimenti e film girati in sempre maggiore economia. Stranamente non si fanno “meno film”, come sarebbe lecito aspettarsi, magari stando più attenti all’aspetto commerciale ed alla appetibilità internazionale. Ma si sa che l’autore italiano è un artista ed a un’artista non si possono mettere paletti, almeno non intorno.