CONTAMINAZIONI n° 10 – La lotta per la “sopravvivenza”: comunicazione e persuasione occulta

The Magdalene Sisters, il film di Peter Mullan, Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 2002, è ambientato nell’Irlanda degli anni 60’ e racconta cosa accadeva nei conventi gestiti dalle “Sorelle della Misericordia”. Ragazze senza famiglia e senza mezzi venivano “ospitate” dalle suore ma erano poi costrette a un lavoro durissimo nella loro catena di lavanderie con la scusa di una necessaria “espiazione dei peccati”.

Le colpe di queste sfortunate giovani donne: essere una madre nubile, essere troppo bella o troppo intelligente… e chi non eseguiva gli ordini alla lettera subiva pesanti punizioni corporali e psicologiche. Migliaia di donne sono vissute e sono morte in questa raccapricciante versione terrena dell’inferno ma ciò che lascia allibiti e scoprire che l’ultima di queste lavanderie è stata chiusa nel 1996!

L’Osservatore Romano ha definito il film “una provocazione rabbiosa e rancorosa”, ma nessuno ha potuto smentire la realtà agghiacciante che costringeva alla schiavitù quelle malcapitate.

E’ evidente che lo scopo della codificazione di regole ferree da seguire, partendo dai dieci comandamenti, nasce dalla volontà di un controllo sociale. Tutta questa complessa sovrastruttura è molto lontana dall’insegnamento semplice e rivoluzionario di Gesù Cristo ma il progressivo smantellamento che si avverte nell’aria fa ben sperare in tardivo recupero del messaggio originario.

Papa Francesco si è trovato costretto ad adeguarsi alla una cultura sempre più diffusa del “deconstructing gender”: omosessuali e transgender sempre più vicini alla chiesa perché…

Se una persona è gay… cerca il signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”

Ed ecco che immediatamente arriva il plauso da tutto il mondo civilizzato per la sorpresa che il Papa sud americano non è un conservatore arroccato e intransigente come quello precedete, il “pastore tedesco”, che non ha caso ha dato le dimissioni.

Ormai per tutte le grandi multinazionali, anche per il Vaticano, vale la regola che non stare al passo con i tempi può compromettere la sopravvivenza e un po’ alla volta tutti questi nodi stanno venendo al pettine, come recentemente i dubbi espressi dal Papa sull’accanimento terapeutico.

E’ giusto ritardare artificialmente la morte “contro natura” grazie a un’esasperate evoluzione della tecnica, o c’è un limite?

La verità, difficile da accettare anche di fronte alla logica e all’evidenza, è che l’industria farmaceutica vuole dei malati che vivano più a lungo possibile e non certo persone sane che non hanno bisogno di farmaci e terapie.

Le case farmaceutiche considerano già un risultato importante che la vita di un malato si allunghi di un mese ma per queste multinazionali che operano in un settore così delicato, è evidente che il fine ultimo è, e sempre rimarrà, “il profitto”. Ogni mese di terapia in più porta degli utili e la qualità della vita del paziente non è certo una preoccupazione a meno che con altri farmaci ci sia la possibilità di migliorarla, con un ulteriore guadagno.

Un mio vecchio amico pochi mesi fa ha rischiato di andarsene per un Carcinoma al rene, asintomatico. Si dovrà curare per tutto il resto della sua vita con un farmaco, il Sutent (un receptor protein-tyrosine kinase inhibitor) con effetti collaterali pesanti ma sopportabili. Il costo è di circa 9.000 € al mese.

Questo farmaco “targeted” (mirato) ha un’efficacia di un paio d’anni perché a un certo punto le cellule che sopravvivono al trattamento (impossibile eliminarle tutte) si trasformano, e allora bisogna cambiare passando al Sutent 2… poi al 3 e così via. Nel caso del Carcinoma al rene l’aspettativa di vita si allungata notevolmente con questa cura ma lo stesso principio non vale ad esempio per il Melanoma che è molto più aggressivo e veloce nel trasformarsi e il malato può resistere solo pochi mesi.

Come la quasi totalità dalle banche, il cui scopo è unicamente quello di arricchirsi a spese dei correntisti che hanno dato loro fiducia, così le industrie farmaceutiche si occupano della salute dei pazienti in una forma sempre subordinata alla logica del profitto. Girano storie tra la fantapolitica e la fantaeconomia, secondo le quali queste “associazioni per delinquere” avrebbero già le cure per alcune malattie ma le terrebbero segrete per motivi di mero profitto. Prendiamo il Diabete, una malattia cronica causata dalla carenza di insulina nel sangue. Se davvero esistesse una cura risolutiva quale sarebbe la perdita in termini economici per le multinazionali? Rimaniamo in Italia, dove ci sono tre milioni e settecentomila diabetici e si stima un milione di casi non ancora diagnosticati. Ogni malato costa circa 4.000 € all’anno che moltiplicato per il numero dei malati produce una cifra vicina ai quindici miliardi di €, ovvero quasi il 15% del fondo sanitario nazionale.

Negli ultimi trent’anni il numero dei diabetici è quasi raddoppiato e questa spesa è destinata a salire. Il giro d’affari relativo al Diabete (15 miliardi di € all’anno solo in l’Italia) a livello mondiale arriva delle cifre difficili persino da concepire. Senza la necessità di affidarsi alla fantapolitica basta affidarsi alla “logica”.

Se esistesse una cura efficace per debellare il Diabete pensate che le industrie farmaceutiche la diffonderebbero per il bene dell’umanità? Io non ci credo. Non è logico ed è contrario alla natura e allo scopo primario di questi grandi gruppi che influenzano le decisioni dei governi per ottenere le migliori condizioni, le più appetibili opportunità di arricchimento a spese dei contribuenti e dei malati.

Qualche anno fa un gruppo di ricercatori italiani mise a punto un rimedio risolutivo per l’ipertensione, un disturbo che colpisce più del 30% della popolazione mondiale. Una casa farmaceutica acquistò il brevetto che fu immediatamente “congelato” e non se ne seppe più nulla. Ovviamente non è possibile ottenere la testimonianza dei diretti interessati poiché la prassi prevede la sottoscrizione di un NDA “non-disclosure agreement”. Il potere economico continua a essere considerato un’arma legittima anche in un caso come questo, dove il vantaggio rimane di pochi mentre la privazione della possibilità di questa cura colpisce miliardi di persone.

Sono consapevole di non avere delle “prove”, solo molti indizi, congetture, e di affidarmi unicamente alla logica per arrivare a queste conclusioni ma, come diceva Giulio Andreotti (che ho avuto occasione di intervistare due volte)…

“A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.”… ben consapevole che era anche quello che si pensava di lui.

Giulio Andreotti

Se andiamo ad analizzare lo scenario a fondo, l’unica differenza tra le multinazionali e le grandi organizzazioni criminali è che queste ultime operano al di fuori della legge e rischiano pesanti condanne, mentre le industrie farmaceutiche non corrono alcun pericolo perché hanno trovato all’interno della legalità lo spazio per muoversi liberamente e arricchirsi sotto gli occhi di tutti facendo pagare la collettività, con la complicità dei governi. Per certi versi il crimine organizzato è molto meno diabolico delle multinazionali farmaceutiche: nel momento in cui decidiamo di comprare della droga da un pusher facciamo una libera scelta, forse sbagliata e pericolosa, ma libera, e sappiamo benissimo che le droghe fanno male. Nel caso dei farmaci, come per le vaccinazioni ad esempio, spesso il popolo non ha scelta, o viene indirizzato e persuaso con delle false informazioni.

Vi ricordate l’iniziativa del nostro Ministero della Sanità in occasione della presunta epidemia di “influenza aviaria” partita dall’Asia, che intorno all’anno 2000 cominciò a diffondersi?

Grazie all’Organizzazione Mondiale della Sanità, spinta dai centri di controllo medico americani, il Tamiflu (antivirale prodotto dalla multinazionale svizzera Roche) diventò il farmaco elettivo per il trattamento dell’influenza aviaria.

Ormai è stato appurato il Tamiflu, che avrebbe impedito il passaggio dell’influenza dai polli all’uomo su scala mondiale combattendo un’epidemia che nei grafici clinici avrebbe potuto causare 150mila morti soltanto in Italia, era del tutto inutile. Dall’inizio del diffondersi del panico al 2006, è vero che sono morti alcuni miliardi di volatili, ma nel mondo intero per questo tipo d’influenza ci sono stati solo 62 casi di morte accertata di esseri umani, quando un normalissimo ceppo influenzale provoca una media di 400mila morti all’anno.

Quella del Tamiflu è stata la più colossale montatura della storia della sanità mondiale (tra quelle accertate) e la Roche, grazie all’ondata di panico collettivo magistralmente orchestrata, in un solo anno ha venduto nel mondo confezioni di Tamiflu per 2,64 miliardi € che furono utilizzate da circa 50 milioni di persone. Inutilmente.

Nel novembre del 2005 George W. Bush chiese e ottenne dal congresso americano 1,4 miliardi di dollari per acquistare il Tamiflu. Si scoprirà che il brevetto del farmaco era della società Gilead Sciences Inc, il cui presidente (e proprietario del 22% delle quote) era Donald Rumsfeld, Segretario di Stato della stessa amministrazione Bush, che proprio in quei giorni di “emergenza costruita a tavolino”, impose la somministrazione obbligatoria del Tamiflu alle truppe nordamericane.

(a sx) Donald H. Rumsfeld e George W. Bush nel novembre del 2003

Ecco gli altri ordinativi per questo farmaco del tutto inutile: 2,3 milioni di dosi la Svizzera, 5,4 milioni il Canada, 13 milioni la Francia, 14,6 milioni la Gran Bretagna. L’Italia, governo Berlusconi (Francesco Storace ministro della Sanità), autorizzò l’acquisto di antivirali per il 10 % della popolazione: sei milioni di confezioni, la maggior parte delle quali non furono mai utilizzate e finirono nella spazzatura, con un costo per il contribuente italiano di circa 50 milioni di €.

(a sx) Storace e Berlusconi

Le multinazionali “della salute” investono una parte dei loro immensi untili in un’attenta comunicazione e in una miriade di attività benefiche: sostengo alle università, fondi per la ricerca, borse di studio, finanziamento di riviste e congressi, retribuzioni sottobanco e vacanze premio ai medici per la promozione dei loro prodotti, oltre ai miliardi spesi per la normale pubblicità. Con un potere economico praticamene illimitato non è difficile distogliere l’attenzione dalla realtà ed esercitare un controllo.

La manipolazione dell’opinione pubblica e dei media si fa sui grandi numeri e con grandi mezzi, confezionando un’immagine che viene venduta a miliardi di utenti, attraverso ogni forma che la tecnologia mette a disposizione, mentre le voci controcorrente passano praticamente inosservate.

L’articolo che state leggendo arriverà al massimo a qualche migliaio di persone, di cui forse solo qualche centinaio sarà interessato ad approfondire realmente l’argomento con una lettura che richiede tempo e attenzione, ben oltre la sintesi di un Twitter o di un messaggino su WhatsApp a cui ormai sempre di più tutti siamo abituati.

Kim Jong Un

Non è forse lo stesso per le ultime guerre che ci hanno fatto vedere comodamente seduti davanti alla televisione… dove il reparto “comunicazione” ha ormai la stessa importanza di quello propriamente militare? Il primo grande esperimento è stato Desert Storm e da allora tutte le guerre sono state gestite con la stessa impostazione. Vediamo i lanci dei missili Nord Coreani quasi in tempo reale, davanti alla corte sorridente e compiaciuta di Kim Jong-un, probabilmente un altro pazzo furioso con il bottone per scatenare una guerra nucleare a portata di mano. Molti altri leader non sono da meno, come Donald Trump, le cui conoscenze di geografia politica sono così scarse da ignorare persino che le Virgin Islands sono parte degli Stati Uniti. Una figura di merda a livello planetario, eppure tutto passa, tutto scorre… la stampa ci va a nozze, strabuzza gli occhi e scuote la tesa ridacchiando davanti alle sue sparate proto-naziste.

Donald TrumpL’importante è l’auditel non il contenuto. Forse Kim Jong-un è meno peggio di quello che sembra e nel suo delirante isolamento auto celebrativo rappresenta un elemento di instabilità anarchica che in un’ottica più ampia potrebbe costituire una variabile persino positiva in un mondo sempre più controllato e omologato che andando oltre il maquillage della superfice ricalca sempre di più la geniale profezia formulata da Orwell nel 1948, con un suo romanzo capolavoro “1984”.

Non è un caso se le proteste dell’opinione pubblica sono ormai irrisorie rispetto a situazioni del passato come ad esempio la guerra in Vietnam, dove il dissenso era enorme, visibile in tutte le piazze del mondo.

La “persuasione occulta” è diventata il modus operandi di qualsiasi tipo di comunicazione e con i mezzi che i potentati hanno oggi a disposizione non è così difficile convincere la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica che quella “guerra giusta” era invitabile, necessaria a far uscire quel popolo dal medioevo per aiutarlo a conquistare la democrazia, glissando sulle conseguenze disastrose che quella guerra ha provocato.

La stessa strategia prevede la concessione di qualche spazio al dissenso facendo parlare ogni tanto persone illuminate come Gino Strada, ma quel tanto che basta per dare l’illusione della possibilità di una coscienza critica.

Gino Strada

E’ solo e unicamente il profitto il fine ultimo. L’economia della guerra muove trilioni di dollari ogni anno e non è mai in crisi. Quelli che pensano il contrario rappresentano il successo della manipolazione delle informazioni, di cui la maggior parte degli organi di stampa in qualche modo è complice.

Non mi faccio grandi illusioni quindi, ma continuo come tanti a fare il mio dovere, “David contro Golia”, consapevole di quali sono le forze in gioco. Non si sa mai che un giorno fortunato, con una “frombola” (il tipo di fionda che si serve della forza centrifuga per il lancio della pietra usata da David) si possa far crollare un intero sistema grazie un singolo colpo ben assestato che provochi una reazione a catena: ogni tanto è possibile in un mondo globalizzato dove tutto accade simultaneamente.

Il David del Bernini

 

Basti pensare a “mani pulite” (che iniziò il 17 febbraio 1992, con il “colpo” dell’arresto di Mario Chiesa) o a quanto è accaduto con il caso delle molestie sessuali di Harvey Weinstein, un episodio che inaspettatamente ha trovato un pertugio nel muro del silenzio, delle complicità, ed esplode diffondendosi in mezzo mondo, modificando il comportamento e le consuetudini di miliardi di persone, come un tumore, in questo caso benefico, che prende il sopravvento sull’intero “sistema” di un corpo umano.

Mario Chiesa (a sinistra) e Bettino Craxi

 

 

 

Harvey Weinstein

La parabola apocalittica del film “The Matrix” (1999) dei fratelli Wachowscki è una spettacolarizzazione geniale della cecità, dell’ignoranza nella quale siamo costretti a vivere… perché è molto più facile e convenite fare così. Quando Neo (Keanu Reeves), il protagonista del film, si sveglia dal sonno indotto di una vita perfetta e si trova proiettato nell’incubo della realtà, apre gli occhi per la prima volta e solo allora comincia la sua vera vita che appare subito durissima e piena d’insidie.

The Matrix

Neo sceglie comunque di combattere, di morire se necessario, stimolato della scoperta dell’amore per la bellissima Trinity (Kerry-Anne Moss) e dalla fiducia che il carismatico leader dei ribelli Morpheus (Laurence Fishburne) ripone in lui.

Ma Cypher (Joe Pontoliano), il traditore, si mette d’accordo con il diabolico rappresentante del sistema, l’Agente Smith (Hugo Weaving), preferendo tornare a una vita irreale e illusoria, dimenticando l’orribile realtà.

La “medicina traslazionale” è una branca interdisciplinare del campo biomedico il cui obiettivo è di combinare e coordinare le discipline, le risorse, le competenze e le tecniche per promuovere miglioramenti nella prevenzione, nella diagnosi e nelle terapie in generale.

La realtà è che il mondo della ricerca, nella stragrande maggioranza dei casi, è scollegato e “astratto” rispetto alla pratica della medicina, ed è ormai diventato una roccaforte di potere carrieristico e economico che lo rende autoreferenziale e lo allontana dallo sfruttamento clinico delle scoperte.

Ovviamente non si può generalizzare ed esistono molti esempi di “perle” in mezzo alla spazzatura degli interessi delle caste e delle lobby anche nel mondo della ricerca biomedica, che ha permesso di curare tumori prima incurabili, come ad esempio il linfoma di Hodgkin o la leucemia promielocitica.

Se consideriamo però l’efficacia delle terapie, per la stragrande maggioranza dei tumori le cose sono cambiate di poco, magari qualche mese di sopravvivenza in più… ma vale veramente la pena vivere ventotto mesi, invece di ventidue, al costo di terapie debilitanti e costosissime? Il nostro istinto di sopravvivenza ci tiene ancorati alla vita oltre la razionalità, ogni attimo ha un valore e tiene viva un’inconscia speranza insita nella natura umana.

E’ uno dei temi affrontati da Wim Wenders nel suo bellissimo documentario “Lightning Over Water (Lampi sull’acqua – Nick’s movie) del 1980, sugli ultimi mesi di vita di Nicholas Ray (il regista di “Gioventù bruciata”), suo amico e maestro, mentre stava consapevolmente morendo di cancro.

Nicholas Ray

 

La scena finale è bellissima e terribile: dopo aver dimostrato totale disponibilità a mostrare il suo dramma davanti alla macchina da presa, Nicholas Ray dice “basta”, con un gesto brusco della mano come a scansare l’occhio indiscreto dell’obbiettivo: il momento della morte è sacro, richiedere una privacy che non ammette eccezioni.

I finanziamenti per la ricerca vengono concessi secondo dei criteri che non seguono quasi mai la logica della “medicina traslazionale”, nonostante quello che viene sbandierato dalla propaganda. Per esempio, all’inizio degli anni ’80 una grande % dei finanziamenti per la ricerca sui tumori cominciò a riversarsi sulla “terapia genica”, la modifica del DNA delle cellule cancerose al fine di curare non solo le patologie genetiche ma anche il cancro. Fin dall’inizio la maggior parte dei ricercatori era perplessa, convinta che questa strada non fosse efficace, data l’impossibilità di modificare tutte le cellule tumorali con la terapia genica; ma la ricerca “(pseudo)traslazionale” ha devoluto enormi risorse per più di vent’anni a fondo perduto su una strada che poi è stata, come ampiamente previsto, abbandonata.

Perché hanno continuato a finanziare in modo così massiccio le ricerche sulla terapia genica? E’ difficile spiegarselo. Forse chi ha il potere di influenzare la concessione dei fondi per la ricerca in parte risponde anche alle logiche perverse del sistema, incluso il controllo delle carriere accademiche e ospedaliere, ormai quasi esclusivamente basate sulle pubblicazioni scientifiche ad alto “Impact Factor”, che richiedono ricerche sofisticate e altamente costose .

Molte fondazioni o enti che finanziano la ricerca sul cancro, ad esempio l’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), spesso sembrano scegliere le ricerche da finanziare seguendo delle logiche incomprensibili al pubblico che tendono a privilegiare “la novità” e la “sofisticatezza metodologica” di un progetto piuttosto che la sua potenzialità di fare un passo avanti, in linea di principio o sul piano applicativo, nella lotta contro i tumori.

Se una ricerca è “nuova” (ad esempio, la scoperta di un ennesimo “oncogene”) ma in fondo si sa bene che con ogni probabilità rimarrà confinata nell’ambito della ricerca di nicchia, non sarebbe forse meglio lasciare che sia finanziata da fondi pubblici e invece finanziare con le donazioni dei parenti dei malati di cancro qualcosa meno “trendy” ma con la possibilità di arrivare a un successo dove altri hanno fallito in passato?

Può succedere ad esempio di vedersi rigettata per “mancanza di novità” una richiesta di finanziamento per una ricerca che si proponeva di stabilizzare la Melatonina per farne una formulazione adatta ad essere usata come farmaco anti tumorale.

La Melatonina, oltre a controllare il nostro ritmo sonno-veglia, è un potentissimo antitumorale “in provetta” ma non funziona quando viene assunta dall’organismo. La ricerca di un modo per renderla efficace anche sui pazienti non ha ancora portato a un risultato perché non si è ancora riusciti a stabilizzarla (cioè a evitare la sua rapida escrezione). Un organismo è un “sistema aperto”, non è come una provetta in cui si può controllare e mantenere la concentrazione desiderata di una sostanza aggiunta. Non è mai stato provato che la stabilizzazione della Melatonina è impossibile da realizzare, è solo che fino ad ora nessuno ci è riuscito.

Vivendo in genere nella più totale ignoranza chi è l’insensibile che non risponderebbe positivamente a una vaga promessa di “lotta contro il cancro”? Ma tutto rimane astratto e ci si guarda bene di entrare nei dettagli per far capire a chi tira fuori i soldi come verranno spesi e secondo quali criteri.

“Voi ci date i soldi e noi decidiamo come spenderli…”

Questa è la realtà. Se l’opinione pubblica avesse accesso a una corretta informazione potrebbe scegliere con cognizione di causa a chi destinare il denaro delle offerte, ma la corretta informazione diffusa è un miraggio che si produce di rado.

Perché non sono resi noti dati che ci informino di quanti tra i progetti finanziati da AIRC, Telethon o simili fondazioni siano poi sfociati in “clinical trials” (quelle prove cliniche a largo raggio che comparano l’esito di terapie innovative rispetto a quelle correnti) che sono la principale, se non l’unica, base dei reali avanzamenti terapeutici?

A una lettura superficiale delle statistiche che ci vengono propinate si potrebbe pensare che la lotta contro il cancro sia ormai in dirittura d’arrivo. Di quando in quando, la stampa si preoccupa di comunicarci queste “buone notizie”, forse per riempire qualche vuoto all’ultimo momento o forse perché sparare ogni tanto un po’ di ottimismo sembra una buona cosa per bilanciale il flusso delle continue pessime notizie… ma se puntiamo una lente di ingrandimento sui dati che ci vengono venduti ci apparirà una realtà ben diversa. Prendiamo quelli forniti nel 2015 dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica: a cinque anni dalla diagnosi di un tumore la percentuale di sopravvivenza era del 57% per gli uomini e del 63% per le donne. Nel 1990 era del 39% per gli uomini e del 53% per le donne. In venticinque anni un bel progresso che farebbe ben sperare. Ma è veramente così? Se ci limitiamo invece all’efficacia delle terapie, la realtà è che per la stragrande maggioranza dei tumori le cose sono cambiate di poco.

E allora, come spiegare queste statistiche così “brillanti”?

Le tecniche diagnostiche e chirurgiche negli ultimi decenni hanno avuto una grande evoluzione e queste due variabili in particolare fanno sì che il risultato finale sia sfalsato: infatti c’è la tendenziosa abitudine di conteggiare i casi di cancro che non si sarebbero mai sviluppati (i cosiddetti tumori “dormienti”) nel novero dei “curati”.

Ma i tumori dormienti sono tantissimi, probabilmente tutti noi ne abbiamo, ma per la stragrande maggioranza dei casi resteranno dormienti fino a che moriremo per tutt’altre cause. Ad esempio, quasi la metà delle biopsie eseguite su uomini e donne di età maggiore di 60 anni, morti per cause traumatiche (quindi “sani”), presentano piccoli tumori alla prostata o alla mammella…. Una proporzione molto, molto maggiore di quelli che in effetti svilupperanno un cancro nei successivi 30 anni. E così, invece di informare che abbiamo imparato a “vedere” anche i tumori dormienti, le statistiche includono quei casi tra i tumori “guariti”!

Se questo non è barare…

Sicuramente spargere un po’ di ottimismo non fa male, anzi aiuta il morale dei malati e magari sortisce anche un benefico effetto placebo. Ma siamo sicuri che sia questa la ragione principale? Oppure c’è un interesse a manipolare il consenso?

“Le cose stanno procedendo nel verso giusto grazie alle donazioni che ci avete fatto in passato e se continuerete ad aiutarci abbiate fede che riusciremo a rendere il cancro una malattia sempre più curabile”.

Il fatto poi che con quelle donazioni si finanziano ricerche di nicchia non comparirà sui bollettini trimestrali distribuiti ai benefattori.

 

“Padova, ragazza 18enne muore di leucemia: i genitori si erano opposti all’uso della chemioterapia.”

 

“Padova, famiglia rifiuta la chemio, ragazza muore di leucemia.”

 

“I genitori le negano la chemioterapia. Eleonora muore a 18 anni di leucemia.”

 

“Minorenne rifiuta chemio e muore: indagati genitori.”

Ecco come la stampa presenta in modo tendenzioso una notizia come quella di una minorenne che rifiuta la chemioterapia con il consenso dei genitori e muore. Si vuole mettere una simile scelta alla stessa stregua di un testimone di Geova che non vuole una trasfusione.

“Non hai fatto la cura e sei morto!”

Il messaggio subliminale è:

“Noi curiamo il cancro.”

Lo fanno in modo subliminale perché non ti posso promettere: “Hai la leucemia? Io ti guarisco.”

Possono dirti però:

“Non hai voluto fare la terapia è sei morto.”

Ovviamente quello che non dicono è:

“Quasi sicuramente saresti morto anche con la terapia, magari allungandoti la vita di qualche mese al prezzo di effetti collaterali pesantissimi e un costo esorbitante.”

 

Matrix è la realtà.

 

 

 

Ferdinando Vicentini Orgnani

 

Made in Italy

REGIA: Luciano Ligabue
Cast: Stefano Accorsi, Kasia Smutniak, Fausto Sciarappa, Walter Leonardi, Filippo Dini, Tobia De Angelis, Alessia Giuliani, Gianluca Gobbi.

A distanza di quasi sedici anni dal suo secondo film, Luciano Ligabue ritorna sulla scena cinematografica con Made in Italy,
prodotto da Fandango e distribuito da Medusa Film dal 25 gennaio nelle sale italiane.
Made in Italy si lega, arricchisce e completa la strada già battuta dall’omonimo concept album uscito a novembre 2016;
come i due precedenti film di Ligabue, anche questo è prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci e distribuito dalla Medusa Film.


Ancora una volta ci troviamo di fronte a un’opera in cui il Liga ha lavorato personalmente al soggetto, alla sceneggiatura, alla regia, alle musiche e che vede,
come nei suoi due lavori precedenti, protagonista Stefano Accorsi, nei panni di Riko, affiancato questa volta da un’impeccabile Kasia Smutniak, la moglie Sara.
Il film indaga e trasmette alcune tematiche esistenziali da sempre care alla musica e all’immaginario dell’artista emiliano, tuttavia si avverte qui un tentativo più maturo e meditato sotto tre punti di vista:
la prospettiva si alza e indaga molteplici questioni sociali e umane, dalla crisi di coppia alla perdita del lavoro, dal suicidio al vizio del gioco, dal tradimento alla depressione;


in secondo luogo si avverte una maggiore attenzione alla struttura, testimoniata dai numerosi rimandi interni, dalle anticipazioni narrative e dal forte legame con l’album musicale;
infine è presente una profonda tensione rivolta alla parola che trova nei monologhi finali, tratto distintivo dell’artista, la sua piena realizzazione e che porta lo spettatore
a scoprire un’accecante e vincente sintesi nei versi di una poesia di Cesare Pavese.
Non si può però non sottolineare come questo tentativo vada forse stretto ai 104 minuti di durata del film: le troppe questioni aperte faticano ad amalgamarsi e a risultare così pienamente incisive.
Inoltre, a livello musicale, la presenza di una rock star così famosa e influente avrebbe potuto anche aprire la strada a qualche giovane gruppo emergente che fatica,
come il film stesso racconta e denuncia, ad arrivare a fine mese in un paese che stritola proprio chi non ce l’ha fatta ad emergere.


Al di là di ciò, Made in Italy è una storia di solitudine e incomprensione, di incomunicabilità e silenzio ma che riesce a trasmettere, come spesso ripetono i personaggi del film, che “qualcosa va fatto” per reagire a questa Vita.

Marco Citro