E’ stato proiettato ieri al Far East Film Festival di Udine l’opera di Akihiro Toda, classe 1983, intitolata “The Name” ( 名前 「Namae」). Tratto da un soggetto originale di Shusuke Michio e sceneggiata da Yusuke Moriguchi, vincitore del premio Naoki, è un film che narra di un uomo maturo, solitario e schivo, che incontra una giovane adolescente alquanto stravagante con la quale ha in comune la strana abitudine di vivere vite parallele. La giovane Emiko, interpretata dalla diciassettenne Rino Higa, si spaccia per la figlia dell’uomo il quale decide di stare al gioco ed asseconda questo strano rapporto filiale. Ma ciascuno nasconde un doloroso segreto destinato a legare le loro vite. Sono come due tessere di differenti mosaici che per un eccezionale caso s’incastrano perfettamente. Una relazione dichiaratamente finta, ma che scatena in entrambi un’indagine autentica sulla propria personalità e sul proprio passato. Bizzarro è il comportamento del quarantenne Masao Nakamura, interpretato da Kanji Tsuda, che usa nomi differenti i quali associa ai suoi diversi alter ego che svolgono altrettanti lavori.
Il nome, come è intuibile, è il tema centrale del film. Dare il nome a cose e persone, significa conoscere ed in qualche modo dominare ciò che si è nominato. Ma allo stesso tempo un nome può essere una maschera, una finzione, che cela la vera natura di sé esponendo alla società, al suo giudizio ed alle sue pressioni, soltanto un feticcio senza alcuna importanza. Il nome di una persona e della sua famiglia hanno in Giappone una importanza fondante e totale sulla vita di un individuo e macchiarlo di disonore implica di fatto l’ostracismo e la morte civile. E allora ecco che vestire un nome falso diventa l’estrema ratio contro una società così severa e poco indulgente come quella giapponese. In questo modo Masao diventa un attore che perde la propria verità, mentre Emiko, che si è iscritta al liceo ad un corso di recitazione, per la stessa ragione non riesce invece ad interpretare il ruolo assegnato ed è l’insegnante a chiarire che se non si passa prima attraverso ad una genuina conoscenza di sé neppure la finzione risulta credibile e la recitazione appare manierata, il personaggio meramente mimato senza una reale consistenza.
Il nome, per estensione, è anche la figura della casata, della famiglia e, in definitiva, della figura del padre. Per questo la prima inquadratura è la prua di una barca che incede nell’acqua. Una barca che trasporta Emiko alla sua ricerca. E’ una chiara metafora della figura paterna come strumento di conoscenza e guida per la conquista del sé e del mondo. Nella cultura giaponese c’è un detto molto noto “Ichigo Ichie” ( 一期一会) che in sostanza è traducibile con “ogni incontro, un’occasione”. E dall’incontro di Emiko e Masao, dalla finta relazione padre figlia, ciascuno troverà nell’altro proprio quell’occasione per un percorso di verità.
Il tono del film è quello della commedia anche se i temi che emergono, mano a mano che il film procede, diventano sempre più drammatici. Per gli appassionati di tassonomia la pellicola è quindi classificabile come un “Dramedy“, ma non è sbagliato affrontarne la visione senza alcun pregiudizio.