Un film con Maria Roveran, Thierry Toscan, Jasmin Barbara Mairhofer, Andrea Pennacchi, Alessandro Averone.
Protagonista di “Resina”, film diretto da Renzo Carbonera e selezionato dal Festival des Films du Monde de Montréal, è l’attrice veneziana Maria Roveran, che ritorna al suo paese, una sperduta enclave dove si parla ancora il “cimbro”, una lingua quasi perduta, per la scomparsa di suo fratello in un tragico incidente con il trattore.
Qui comincia a fare i conti con una serie di piccoli grandi problemi. Prima di tutto l’effetto serra comincia a mostrare i primi segni di cambiamento climatico e rischia di compromettere i già magri raccolti. Poi c’è la crisi economica, inevitabile per un piccolo paese che vive del proprio territorio montano fatto di legname e piccolo artigianato locale e che deve far tornare i conti di attività che contano solo sulle persone che lavorano con le loro capacità e il sudore della fronte.
E così, quasi per caso entra nello sparuto coro polifonico di Ruda, prettamente maschile ed over 60, più deditio all’alcol che al canto, creando delle suggestioni musicali intorno a luoghi e persone.
Dopo la perdita del fratello, la madre, la figlia e la cognata sapranno superare con forza e tenacia le difficoltà che si sono trovate ad affrontare.
Un’opera per la quale si potrebbe coniare il termine “film sostenibile”.
Giappone, 2037. L’influenza canina infetta i cani di Megasaky City. La minaccia di un contagio umano è elevata. Il sindaco Kobayashi ordina l’esilio degli animali su un’isola di rifiuti ai confini della città. Il piccolo Atari, nipote del primo cittadino, parte alla volta della discarica marina, dove, assieme ad un branco di nuovi amici a quattro zampe, si mette alla ricerca di Spot, il suo cane-guardia.
Nei manuali di storia del cinema, gli epigoni di D. Bordwell ricorderanno il primo ventennio degli anni ‘00 per la diffusione capillare del cinema d’animazione. Grazie all’affrancamento del genere dalla mera produzione di film per famiglie, le pellicole animate hanno rappresentato l’espressione cinematografica più prolifica, creativa e innovativa dei primi decenni del XXI secolo – da “Strings” di Rønnow-Klarlund(2004) a “Coraline e la porta magica” di H. Selick (2009); da “Wolf Children” di M. Hosoda (2012) a “Your Name” di M. Shinkai (2017).
Non è un caso, quindi, che uno dei maestri del cinema contemporaneo si sia (ri)avvicinato a questa pratica – ed è in buona compagnia, si veda, per esempio, G. Verbinski con “Rango”(2011).
Dopo “Fantastic Mr. Fox” (2009), Wes Anderson (fresco vincitore dell’Orso d’argento per la miglior regia) torna alla tecnica dello stop-motion– resa famosa dalla Aardman Animations–, riversando il suo inconfondibile tocco naïf ed eccentrico nei personaggi di plastilina sullo schermo. Ogni fotogramma è un tripudio di estro e fantasia, di gioco e di colore – si veda la riunione canina nel bunker di fondi di bottiglia. C’è un godimento fanciullesco nel film – che aveva toccato l’apice in “Panico al villaggio” di S. Aubier e V. Patar (2009) –; sapientemente stemperato, però, dalla perfezione geometrica della messa in quadro. Anderson è un architetto delle immagini. Ogni particolare è studiato nei minimi dettagli: le linee spezzate dei movimenti di macchina, i décadrage, la costruzione simmetrica dell’inquadratura, la profondità di campo occupata da elementi narrativi –si osservi, a tal proposito, la prima sosta del viaggio di Atari, dove il regista suggerisce ed anticipa, attraverso una fotografia, il rapporto tra Spot e Chief.
Diviso in capitoli teatrali ispirati alla tradizionale nipponica – i protagonisti assomigliano alle marionette del Bunraku –, scandito dal battito dei Taiko (si veda l’incipit), il racconto mette in scena una distopia canina in cui i personaggi a quattro zampe lottano per la loro libertà, alla riscoperta dell’amore per i propri padroni. Non solo, la struttura narrativa strizza l’occhio alla filmografia dello stesso Anderson – “Le avventure acquatiche di Steve Zissou” (2004) –, con un personaggio guida, Atari, che ci porta alla scoperta di un mondo isolato, l’isola dei cani – reificazione del “muro” trumpiano.
La maniacale ricerca visiva del cineasta texano però non può che togliere spazio alla storia, subordinandola all’impianto visivo, prepotentemente influenzato dal cinema e dalla pittura del Sol levante. Lo stile Ukiyo-e – il personaggio del maggiordomo appare come una versione raggrinzita de “L’attore” di T. Sharaku –, l’immaginario post-apocalittico Kaiju, le lezioni dei maestri Mizoguchi – si pensi alla leggerezza condivisa con I” racconti della luna pallida d’agosto” (1953) – e Kurosawa – la tavolozza dei colori di “Kagemusha – l’ombra del guerriero” (1980) o la prossemica samurai in “Sanjuro” (1962) – danno vita ad una stile animato che “azzanna” la vista dello spettatore, lasciandolo senza fiato, come Atari di fronte al matrimonio canino celebrato tra un animale e il suo padrone.
Rakib, un giovane ragazzo indonesiano, diventa assistente di Purna, ex generale del regime in pensione. Quando Purna inizia una campagna elettorale per essere eletto sindaco, Rakib si lega all’uomo, diventato per lui mentore e figura paterna. Un giorno, però, un manifesto elettorale di Purna viene trovato vandalizzato: un gesto che avrà conseguenze inimmaginabili per entrambi. Con un ritratto intimo di due generazioni che vivono sotto lo stesso tetto, il regista Makbul Mubarak ripercorre un doloroso periodo storico della sua nazione con un thriller intenso, che presenta forti risonanze con la contemporaneità ed una forte universalità del tema della lealtà e della vicinanza al potere.
In occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio) ci sembra opportuno segnalarvi una selezione di film nel nostro catalogo che sono stati fondamentali nel racconto di ciò che è successo durante gli anni della dittatura nazista: dai film di propaganda ai documentari, dalle prime opere realizzate nella Germania Est al cinema hollywoodiano, per conoscere il ruolo fondamentale della settima arte nella storia, nonché importante strumento di conoscenza.
Nelle sezione “Guerra” sul nostro sito potrete quindi trovare capolavori come “I figli di Hitler”, un’aspra critica del regista Edward Dmytryk sull’educazione hitleriana, al vincitore del Festival di Locarno “Rotation” e il film perduto della propaganda nazista “Das Ghetto”.
L’associazione e compagnia teatrale le Muse Impenitenti, Marinetta Martucci e Arianna Villamaina, due attrici potentine, tornano a calcare il palcoscenico con una nuova esilarante ed originalissima commedia: Come lo zucchero per il caffè – ‘‘O Teatro è ‘o paese d’ ’o vero. Una commedia divertente e con performance di danza fuori le righe, che ci trasporta in un musical vero e proprio per poi allietare il pubblico con una sorpresa golosa. Lo spettacolo è un contenitore di arte a tutti gli effetti ed è un inno alle mille sfaccettature che in essa sopravvivono.