Martedì, 28 agosto 2018.
Un volto enigmatico, sfuggente, misterioso. Un volto perfetto per il cinema noir, il genere che l’ha resa celebre. Il suo sguardo ammaliatore, la sua figura eterea, una vita tormentata la fanno ricordare come una diva fragile ma elegante. Gene Tierney è un angelo nero, come recita il titolo della retrospettiva a lei dedicata nel corso di questa rassegna.
Per aprire la seconda giornata di festival non c’era film migliore del capolavoro di Otto Preminger “Laura” (in Italia distribuito con il titolo “Vertigine“), un vero monumento del noir classico che vanta un’immensa interpretazione della diva. Si tratta di un elegantissimo giallo dell’anima, illuminato magnificamente da Joseph LaShelle (Oscar alla miglior fotografia in bianco e nero), in cui un detective (Dana Andrews) è ossessionato da Laura (la Tierney, appunto), donna trovata assassinata all’inizio del film e che rivive solo nei flashback e in un ritratto, come un fantasma. Il film di Preminger mantiene la sua sconcertante modernità: è un’opera sul turbamento e sulla spettralità, sul doppio, il simulacro, e sull’impossibilità di ricostruire oggettivamente la verità. È un piacere riscoprire, nell’occasione di questa rassegna, un film come Laura in versione restaurata.
Nel pomeriggio il fotografo Francesco Acerbis, già protagonista di un incontro nella serata di ieri, ha tenuto un workshop, dal titolo Immagini e parole. Per una fotografia letteraria, sul rapporto tra arte fotografica e parola, dunque letteratura, in relazione al suo recente progetto parigino Nero. È stato illuminante sentirlo parlare della fotografia come testo, cioè come mezzo per veicolare le idee, dunque libero da specifiche modalità di fruizione o tecniche di produzione/creazione. “Faccio foto anche con il cellulare”, ha detto.
Si è tornato a parlare del noir, con i noti fumettisti Ratigher & Marco Galli. Il secondo, in particolare, ha evidenziato un tema importante: il noir è il mondo dell’amoralità. Nelle storie noir, a differenza dei racconti o romanzi gialli, non esiste un confine ben definito tra bene e male, ma solo labili sfumature, come nella vita.
La “dark night” di martedì 28 è stata riscaldata da uno straordinario film, “Most beautiful island“, scritto, diretto, prodotto e interpretato dalla giovane Ana Asenzio. Una storia di forte impatto sull’immigrazione e la precarietà umana ambientata in un’alienante New York contemporanea, dove tutto è come assorbito, grazie alla suggestiva fotografia di Noah Greenberg, in una spirale di claustrofobica surrealtà. Girato con stile documentaristico, in location reali, il film riesce a trasfigurare la realtà che racconta, e raggiunge momenti cinematograficamente esaltanti, giocando magistralmente con la suspense, col sonoro metallico, nonché incentrando tutto il racconto sulla protagonista, Luciana, che viene pedinata quasi zavattinianamente. Le influenze del film, a detta della stessa regista, sono varie e molteplici: il realismo dei fratelli Dardenne e di Andrea Arnold si mescola con le atmosfere paranoiche di David Lynch e Krzysztof Kieślowski (la luce acida, malata di alcune sequenze del film rievoca quella dei capolavori del regista polacco). Eppure la voce di Ana Asenzio è nuova, originale e potentissima. La giovane esordiente spagnola porta la macchina da presa nei meandri dell’animo umano, come nei migliori noir, e pone delle domande decisive sulla società e la libertà, smascherando l’ipocrisia menzognera del cosiddetto sogno americano. Un nuovo cinema politico è alle porte.
Matteo Blanco.