Giorno 3 – IL FASCINO DEL CRIMINE.
Il mondo del crimine, visto da prospettive differenti, è stato protagonista di questa terza giornata
di kermesse.
Il secondo film della retrospettiva dedicata a Gene Tierney, Femmina folle (Leave Her
to Heaven) di John M. Stahl, è un meraviglioso melodramma in technicolor a forti tinte noir, con
una protagonista assolutamente memorabile. Ellen (la Tierney, bravissima, è stata candidata
all’Oscar come miglior attrice): una donna innamorata ma anche gelosa e possessiva, pronta a
tutto (anche al crimine) pur di tenere con sé il suo amato Richard. Sembra quasi Nietzsche a
scandire i motivi ricorrenti di questo film: “Tutto ciò che è fatto per amore è fatto al di là del bene e
del male”, scriveva il filosofo tedesco. Ed ecco che la protagonista ci appare come un’eroina tragica
in cui riusciamo a immedesimarci. Anche di fronte ai suoi più biechi e meschini misfatti, siamo
pronti a difenderla, a giustificarla, a soffrire con lei, a comprenderla. O almeno, io sì. Il suo crimine
è attraente e affascinante.
Nel secondo workshop della settimana, quello con i fumettisti Ratigher & Marco Galli, si è
affrontato l’argomento del cattivo, il fascinoso villain. Per i graphic novelist: “Basta giocare sulle
sfumature di grigio. Un atto oggi sovversivo: creare una narrazione con buoni buoni e cattivi cattivi,
netti però!”.
In serata si è tenuto l’attesissimo incontro con Giancarlo De Cataldo, celeberrimo autore di
Romanzo criminale, che ha parlato delle sue due ultime opere “Sbirre” (suo è uno dei 3 racconti
che il libro include) e “L’agente del caos” e si è soffermato anche lui sul tema del crimine, offrendo
una visione a dir poco esaltante sulla storia della criminalità. “Il noir è un racconto del disordine”,
ha poi sottolineato, “che nasce dopo la crisi di Wall Street, con l’affermarsi della criminalità
organizzata”.
La notte si è chiusa con il realismo, o meglio con un film realista.
La terra dell’abbastanza, opera
prima dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, acclamata all’ultima Berlinale e film-rivelazione
dell’anno in Italia, è una boccata d’aria fresca per il nostro cinema, e in particolare per quel cinema
definito di periferia. Il racconto delle classi subalterne e dei protagonisti Manolo e Mirko si
intreccia con una storia di criminalità organizzata: i due ragazzi entrano infatti a far parte di un clan
di malavitosi. Il crimine, per i due adolescenti, diventa la prospettiva di una vita differente, di una
vita migliore. Il male è attraente e affascinante, anche nel film dei D’Innocenzo. Manolo e Mirko
sono degli emarginati, senza futuro, destinati probabilmente a una vita di stenti come i loro
genitori e in cerca di un riscatto. E la strada del crimine può essere quel riscatto. Come dice Bob
Dylan, “Se non hai niente, non hai niente da perdere”. E allora i due ragazzi si tuffano e nuotano nel
fiume vorticoso della criminalità, fino a rimanerne intrappolati.
I giovani registi romani si spingono oltre la semplice rappresentazione del crimine e del fascino che
questo produce su certe classi sociali, alimentando piuttosto nello spettatore delle domande
concrete sui suoi protagonisti: fino a che punto la scelta dei due ragazzi è una scelta responsabile,
voluta, cercata e perseguita? Quanto invece la società, la morale, l’ambiente che li circonda, si
insinuano nelle loro vite a condizionarli? Cosa significa e cosa comporta la loro innocenza?
Domande importantissime e attualissime, che catapultano i D’Innocenzo nel panorama dei nuovi
autori del cinema italiano contemporaneo.
Matteo Blanco.