Le imponenti rovine della Roma imperiale, con un automatico paragone in difetto, facilmente ci suggeriscono considerazioni sulla decadenza della civiltà contemporanea.
Pensiamo al Colosseo, al Pantheon, a Villa Adriana, alle terme di Caracalla e a quello che rimane del passaggio dei romani in ogni angolo dell’impero: l’arena di Pola in Croazia e di Arles in Francia, la porta Nigra in Germania, l’anfiteatro di ElJem in Tunisia, le terrazze di Efeso e il teatro di Aspendos in Turchia…
Un patrimonio sconfinato e ineguagliabile contro le continue lamentele sul degrado della Roma di oggi, con le buche che rendono pericolosa la circolazione anche in centro e i servizi che non funzionano.
Ai tempi di Augusto e Livia c’erano già oltre un milione di abitanti e sicuramente ci si lamentava anche allora, magari idealizzando il periodo agropastorale di Romolo e Remo, i fondatori, quando lontani dai vizi della decadenza ci si occupava di sane attività, del tipo… procurarsi femmine per generare una discendenza.
Come predoni i primi romani calavano sui popoli vicini per rapire le loro donne, eppure il “ratto delle Sabine” anche sui libri di scuola non è mai stato dipinto come uno stupro di massa ma piuttosto un necessario aggiustamento nella prospettiva dello sviluppo di una grande civiltà. Strano che nessuno abbia ancora segnalato il caso alle attivissime vendicatrici di “Me Too”, ma forse questo è davvero fuori tempo massimo.
La civiltà romana si diffuse in quasi tutto il mondo allora conosciuto, portando un metodo, un’amministrazione pubblica efficiente, delle regole di convivenza codificate… imponendo la sua visione innovativa a popolazioni che erano molto più indietro, più o meno dei “barbari”. Non è senza senso quindi la battuta attribuita a un romano di oggi che si rivolge a un inglese:
“E’ inutile che vi diate tante arie… Quando ancora abitavate nelle caverne noi romani eravamo già froci!”
Il paradosso sembrerebbe qui dare un valore positivo alla diversità sessuale quando in realtà vuole solo imporre ad ogni costo la propria superiorità nella disputa, ricorrendo persino alla presunta negazione di pregiudizi omofobici… ma la battuta è filologicamente corretta poiché la percezione dell’omosessualità nell’antica Roma era lontana dalla condanna e dal pregiudizio, codificati più tardi con la chiusura mentale delle religioni moderne.
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha dichiarato che preferirebbe vedere suo figlio morto piuttosto che omosessuale, una posizione abbastanza comune, e non solo tra i simpatizzanti di una dittatura militare che in Brasile, hai tempi del “plan condor”, ha torturato e ucciso.
A un certo punto nella cultura occidentale sono state definite delle regole che qualcuno si è impuntato a far rispettare con la violenza e la coercizione, come ancora accade in Arabia Saudita, Yemen, Sudan, Nigeria, Tanzania… una settantina di paesi del mondo dove la legge punisce questa “diversità”.
Un caso curioso è rappresentato dall’Iran, dove è prevista la pena di morte per gli omosessuali, ma solo per gli uomini, mentre per le lesbiche ci si limita a cento frustate.
Allo stesso tempo dal 1985, già in epoca khomeinista, la legge permette il cambio di sesso. Il primo uomo a diventare donna in Iran fu un certo Feridun Malekara (conosciuta anche come Maryam Khatoon Molkara) che si rivolse direttamente a Khomeini spiegando il suo problema. Pare che tra i due ci fosse un legame di parentela, una voce che gira a Tehran ma non ne ho la certezza. Mi sembra però un’ipotesi più che plausibile: per avere il coraggio di andare dall’Ayatollah in persona e rompergli i coglioni con una richiesta così assurda, e in piena guerra con l’Iraq… beh, come minimo doveva essere il suo nipote preferito.
“Zio, zio…”
“Cosa vuoi ancora?”
“Mi sento intrappolato in un corpo che non è il mio. Mi sento donna!”
“Oh cazzo…! Ma sei sicuro?”
Khomeini si dev’essere poi rassegnato all’idea, ordinando di approvare subito una nuova legge, ma molto generica.
“E’ possibile cambiare sesso.” Basta.
La feroce repressione dell’omosessualità combinata alla facilità nel cambio di sesso (basta essere maggiorenni) ha fatto sì che in Iran molti transgender abbiano seguito questa strada (oggi circa duemila casi all’anno, secondo solo alla Tailandia) e la scienza si sia evoluta al punto che questo paese è diventato un pioniere in materia anche dal punto di vista medico.
Non c’è traccia del passaggio dei romani in Iran: si fermarono in Turchia senza mai riuscire a conquistare la Persia. L’imperatore Valeriano fu sconfitto nel 260 d.c. dall’esercito dei Sasanidi, comandato dal re Shapur.
Tutto questo è stato rievocato pensando a una recente visita alle terme di Caracalla, alla scoperta di una straordinaria installazione sonora di Alvin Curran.
Lo spazio delimitato dalle mura perimetrali si compone di enormi palestre e piscine, dove il popolo romano poteva curare il proprio benessere, socializzare, passare il tempo. Un’opera ciclopica, che suggerisce l’apice di una grande civiltà e quasi intimidisce per la sua grandiosa intelligenza progettuale.
L’equazione di Alvin Curran e di mettere in relazione questo enorme oggetto apparentemente inanimato con un’infinita combinazione di suoni in una serie di altrettanto infinite sequenze prodotte da un computer, con diffusori posizionati secondo una logica precisa che fa arrivare il suono dalle più variegate angolazioni. Se s’aggiunge anche il cambiamento della luce naturale e poi la staticità dell’illuminazione notturna, ecco che il quadro è quasi completo. Dico quasi perché mancano altre varianti, come il movimento e la presenza degli eventuali visitatori e la vita “naturale”, selvaggia, che si è impossessata dello spazio… Ci sono gabbiani, gatti, topi ovviamente, e una piccola comunità di falchi pellegrini…
Durante il complicato allestimento, mentre i diffusori venivano portati perfino nei cunicoli del sottosuolo sfruttando come via di fuga una serie di aperture, e poi in altri punti più in alto, ci si è posto il problema di questi rapaci, specie protetta e delicata. Un diffusore stava per finire proprio nel loro nido… ma i falchi pellegrini già dalle prime prove tecniche non avevano fatto una piega, anzi, sembrava che quasi gradissero l’intromissione di quel mondo sonoro che un po’ alla volta veniva loro imposto nella composizione del lavoro.
Possiamo quindi affermare, dopo averlo verificato sul campo, che “al falco pellegrino piace la sound art”.
L’arte sonora è una forma di espressione artistica molto sofisticata e di grande impatto emotivo che, diversamente da quanto generalmente si crede, non nacque negli USA con John Cage (che ne fu certamente un importante e innovativo interprete e catalizzatore) ma nell’Unione Sovietica di Lenin. Quasi tutta la straordinaria sperimentazione dei “soundartisti” sovietici fu distrutta da Stalin che era contrario alle avanguardie. Quello che ci è rimasto, che si è riusciti a recuperare, lo si deve a un’idea geniale di Vladimir Il’ič Ul’janov (il vero nome di Lenin – 22 aprile 1870 – 21 gennaio 1924) che offrì a tutti gli artisti della Russia la possibilità di viaggiare gratis in treno.
Molti di loro erano senza fissa dimora… come ci ricorda persino il nome di uno dei protagonisti de “Il maestro e margherita” di Mikhail Bulgakov, il poeta Ivan Nikolayevich Ponyrov, detto “Bezdomny”, cioè “senza casa”. Molti artisti vivevano viaggiando in lungo e in largo per il paese, abitando i treni e le stazioni, fermandosi quando e dove potevano.
Le registrazioni degli esperimenti dei “soundartisti”, sono state ritrovale negli archivi di alcune piccole città, in alcuni casi sperdute, dove la distruzione ordinata da Stalin non ha colpito con l’efficacia sistematica adottata nelle grandi città.
Tra questi pochi superstiti ci sono esempi straordinari e imponenti, come l’opera di Arseny Avraamov che, nel 1922 a Baku, registrò “Symphony of Factory Sirens”, un evento livenel quale dirigeva l’azione delle sirene in alcune fabbrica circostanti.
Una fine tragica toccò a Vsevolod Mejerchol’d, fautore della prima sincronizzazione: fu arrestato, torturato e ucciso, durante le purghe di Stalin nel 1940.
Un altro grande sperimentatore fu Lev Theremin, scienziato e inventore di strumenti musicali, in particolare l’eterofono, (ribattezzato poi “theremin”). Nel 1938, al ritorno da una permanenza di alcuni anni in America, fu internato in un campo di lavoro, ma sopravvisse e fu poi riabilitato grazie a una proficua collaborazione con il KGB nella progettazione di tecnologia spionistica. Morì a Mosca nel 1993 a 97 anni.
Sono molti gli artisti contemporanei che si dedicano anche (o solo) alla sound art, una forma espressiva ancora poco nota al grande pubblico. Se prendiamo come paragone una classica mostra istituzionale, che ne so… i soliti “impressionisti”, Frida Kalo o Jan Vermeer (magari alle scuderie del Quirinale) la proporzione di pubblico interessato alla soud artforse non arriva l’1%, ma non è certo questo che ne sminuisce il valore. L’esperienza attiva di chi fruisce un’opera sonora può essere qualcosa di veramente speciale: una percezione che utilizza anche il senso dell’udito fa provare sensazioni che coinvolgono in profondità.
All’Auditorium di Roma, Anna Cestelli Guidi, una curatrice sensibile e determinata, ha inventato il “Sound Corner”, sfruttando un corridoio che si allarga all’interno della struttura progettata da Renzo Piano, in uno spazio sufficientemente riservato, adatto alla bisogna.
Questa iniziativa va avanti da qualche anno e contribuisce a diffondere la consuetudine alla sound art a Roma… ma è ovvio che la differenza con un grande spazio aperto come quello delle terme di Caracalla affrontato da Alvin Curran a singolar tenzone, è sostanziale.
La grandiosità dell’intervento di Alvin, più vicino alla land artche a un’installazione sonora, ci riporta idealmente alle sperimentazioni del suono sui grandi spazi, intraprese dei sovietici ai tempi di Lenin, in una sana contaminazione con la tradizione occidentale di John Cage, di cui lui certamente è un degno erede.
Angelo Farro, giovane compositore e collaboratore di Alvin, mi ha spigato le particolarità tecniche dell’opera: utilizzando dei logaritmi, un computer va a pescare i file sonori da diverse “cartelle” e li rielabora seguendo una casualità che potrebbe vedere lo stesso frammento ripetuto a breve distanza oppure no… un’intelligenza artificiale che una volta attivata, entro certi limiti, collabora autonomamente. Otto diffusori sono stati posizionati nel sottosuolo, mentre altri dodici in vari punti in tutto lo spazio delle terme, su altri due livelli: in altro (le mura in alcuni punti superno i trenta metri) e ad altezza d’uomo. Questo comporta una combinazione di tre diverse provenienze del suono con una specie di effetto dolby sourround. Ci sono poi dei suoni “sinusoidali”, cioè puri, limitati a una precisa frequenza, che viaggiano attraversando lo spazio come delle lame taglienti e invisibili… a loro volta combinati con loro simili che si differenziano solo per pochi hertz. La complessità tecnica e teorica si spinge molto più in là e può avere un senso per gli addetti ai lavori… quello che conta è la percezione di un sistema complesso.
All’inaugurazione del lavoro di Alvin a Caracalla (Omina Flumina Roma Ducunt– Tutte le strade portano a Roma – Architetture sonore di Alvin Curran, a cura di RAM radioartemobile) ho incontrato Donatella Spaziani, un’artista romana, forte, una cara amica… e mentre tutti i visitatori dal grande spazio all’entrata s’incanalavano a destra per procedere in senso anti orario, ci siamo ritrovati a camminare insieme in senso orario, contromano, costeggiando i bellissimi mosaici dalla parte che per tutti sarebbe stata la fine del percorso, dove non c’era ancora nessuno. Era da un po’ che non ci vedevamo, un paio di mesi almeno. Abbiamo cominciato parlando dei nostri dubbi e complicazioni sentimentali e della sua attesa per una nuova sede d’insegnamento. Chissà in quale accademia andrà a finire… Poi abbiamo parlato di un libro scritto da un amico che in copertina riporta una sua opera. Me lo aveva regalato prima dell’estate e per fortuna ho fatto in tempo a leggerlo.
ESCHE, di Andrea Fiorito, è un libro piuttosto sorprendete sia per la forza della scrittura che per il continuo spiazzamento che impone al lettore… ma si sente che non lo fa per stupirti o per farti vedere quanto poco sia convenzionale, è proprio così che funziona il suo cervello con il quale stabilisce un filo diretto che il suo stile scarno e volutamente grezzo riesce sempre a mantenere a fuoco, mentre vaga tra mondi ed esistenze marginali, puttane, disperati in cerca di sesso, solitudini e ossessioni…
Esauriti gli argomenti finalmente ci accorgiamo della meraviglia ci circonda e per un po’ ce ne siamo in silenzio. Camminando lungo una specie di passerella, mentre ascolto la complessità del lavoro di Alvin, mi viene in mente uno straordinario film, ARCA RUSSA (2002) di Alexander Sokurov, un lungo piano sequenza, un punto di vista fantastico che si muove dentro il Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, attraversando varie epoche della storia della Russia.
La passeggiata a Caracalla tra le imponenti architetture romane, immerso nelle architetture sonore di Alvin, mi fa sentire come “trasportato”, non solo nello spazio ma anche nel tempo, un tempo che non cerco di definire pensando a quei suoni misteriosi come a una rievocazione soggettiva… La memoria mi riporta all’esplorazione dello Stalker nel capolavoro di Andrei Tarkovsky, che cerca una risposta ai propri dubbi sconfinando nella “zona” proibita, uno spazio pieno di pericoli mortali, dove le regole del mondo esterno sono sospese.
Il mondo reale, i rumori metropolitani della Roma di oggi che arrivano un po’ ovattati fanno da tappeto alla polifonia dei suoni “architettati” in centinaia di file gestiti dal computer e ripescati dal logaritmo che li combina in sequenze imprevedibili.
Poco dopo il tramonto incontriamo Mario e Dora e ci fermiamo qualche minuto, giusto per provare un po’ di affettuosa invidia per il loro entusiasmo, per la loro energia inesauribile: questo grande sforzo produttivo è stato possibile grazie alla loro determinazione e all’impegno della direttrice di Caracalla Marina Piranomonte.
Mario indica verso l’alto.
“Eccolo… il falco pellegrino!”
Alziamo gli occhi e intravediamo un’ombra alata volteggiare sulle gigantesche mura, ma è un attimo: il cielo scuro l’ha già inghiottita e non è possibile identificarla con certezza.
Mario non ha dubbi. E’ stata una giornata perfetta e la presenza regale del mitico rapace completa il quadro. Il nume tutelare dell’arte deve essere per forza lì presente, in forma di falco pellegrino, sopra le nostre teste.
Ferdinando Vicentini Orgnani