Euforia

Valeria Golino, dopo avere brillato come attrice in molte pellicole di spessore, incanta anche come regista e in questo suo secondo appuntamento dietro la macchina da presa rende evidenza di un antico adagio: da un soggetto déjà vu e non proprio originale è possibile realizzare un bel film.
Il terreno è minato e pieno di insidie, sarebbe stato facile come bere un bicchiere d’acqua cadere nel fumettone o scivolare nel patetico, invece la storia funziona, i personaggi sono credibili, gli attori a loro agio, soprattutto Riccardo Scamarcio in stato di grazia.
Merito di una sceneggiatura a tutto tondo, senza sbavature, e di una regia asciutta, attenta a mostrare, senza enfasi, la struggente storia d’amore e disamore di due fratelli figli dello stesso disagio che li conduce nel turbinio avvincente e crudele dell’euforia.

Nuccio Castellino

Marche ou crève

Regia di Tatiana Margaux Bonhomme.

Un film con Diane Rouxel, Jeanne Cohendy, Cédric Kahn, Pablo Pauly, Clémentine Allain

Quasi contemporaneamente all’uscita nelle sale francesi è stato presentato al Torino Film festival l’opera prima della regista parigina Margaux Bonhomme intitolata “Marche ou crève”, prodotta da “Avenue B” e distribuita internazionalmente da “Charade”.

E’ il racconto autobiografico della sofferta convivenza con una sorella disabile e l’effetto detonante che questo ha sulla vita della famiglia. Due anni di serrata ed accurata preparazione condotta fianco a fianco con attori, medici, operatori e naturalmente la medesima sorella disabile hanno permesso di addivenire ad un film duro e vero come la realtà. Eppure non scevro di allegria e voglia di vivere che permane il motore della narrazione.

La vita è vista come una parete da scalare, dove vengono attivate tutte le risorse e fruiti tutti gli appigli, perché non c’è un’alternativa dall’arrivare in cima. Così è il prendersi cura di una persona fortemente disabile che non è autosufficiente e necessita di costante attenzione. Non c’è spazio per lo svago o per il lavoro e neppure per l’amore, perché lo stato di bisogno e dipendenza della persona amata assorbe ogni minuto di tutta la famiglia che rischia per questo di andare a pezzi. Non solo della disabilità ma anche e soprattutto del rapporto che i famigliari hanno con essa  parla questo film.

Molto brava si conferma Diane Rouxel, che ricordiamo in “A testa alta” (2014) e “Volontarie” (2018) e che qui interpreta la sorella adolescente di Manon, la ragazza disabile, ma incredibilmente realistico e credibile è la performance di Jeanne Cohendy , che per affrontare il ruolo di handicappata ha passato mesi con degli specialisti ed è stata a contatto con la vera sorella della regista per imparare la gestualità ed il comportamento di chi è afflitto da quella particolare inabilità.

A volte si perde la sensazione che si tratti di un film e sembra un documento reale e nitido sino ad essere quasi disturbante. A ciò contribuisce uno stile di regia asciutto senza effetti, dove persino la musica è strettamente diegetica e non c’è alcuna concessione all’estetica dell’immagine. 

Mai scontato e niente affatto ruffiano questo film è una verità (“una” non “la” verità, si badi bene) sul mondo della disabilità. L’intento dichiaratamente non è quello di fornire risposte, ma è quello di descrivere un fatto vivido e toccante così come è stato vissuto dall’autrice. Un film quindi che fa pensare. Cosa che di questi tempi non è poi così frequente.

Presentato al Torino Film Festival 2018

Rosa Trotta