Primavera. Aprile, quando i ciliegi tradivi sono ancora carichi di boccioli.
Haruki è uno studente solitario e introverso, che passa le sue giornate a leggere romanzi, privo di qualsiasi interesse per gli altri. Un giorno, nella sala d’attesa di un ospedale, trova per caso il diario di Sakura, affabile e loquace compagna di classe. Sfogliandolo, scopre la malattia terminale della ragazza, che la spegnerà in pochi mesi. Da quel momento, Haruki diventa il custode del suo segreto, di cui solo familiari e medici sono a conoscenza; da quel momento, nasce una complicata relazione tra i due, che insegnerà molto ad entrambi: sull’amicizia, sull’amore.
Tenera, disarmante, corrusca semplicità. Termine, quest’ultimo, ricorrente nella descrizione dell’animazione giapponese dell’ultimo trentennio. Chiaro, sentendo nominare la parola anime– tendete le orecchie: anima, limpida, traboccante di vita (e di morte) – la mente guizza inevitabilmente all’epocale produzione dello Studio Ghibli,ai suoi fondatori e “animatori” (letteralmente): Hayao Miyazaki – dagli estremi: “Nausicaä della Valle del vento” (1984) e “Si alza il vento”(2013) – e Isao Takahata – “Una tomba per le lucciole” (1988).
Dietro di loro però – riposto nel “guscio” del cult(o): “Ghost in the Shell” di Mamoru Oshii (1995) -, a fianco a loro – le allucinazioni vivide di Satoshi Kon:”Paprika – Sognando un sogno” (2006) -, e, adesso – dalla scomparsa di entrambi: dalla scena il primo, dall’esistenza il secondo -, oltre di loro.
Oltre la toccante femminilità del Mono no aware– sentimento tra nostalgia e fascinazione (per il Bello) – e del pacifismo militante, dove brulica un universo parallelo, rigoglioso, lussureggiante, i cui abitanti, giovani registi emergenti, tentano di afferrare il testimone – le “matite” (ancora appuntite) – dalle abili mani dei maestri.
In questo Mondo nuovo, vede la luce l’opera prima di Shinichirō Ushijima. Tratto dall’omonimo best-seller di Yoru Sumino, “Voglio mangiare il tuo pancreas” è il racconto in prima persona – l’Io narrante del protagonista – dell’attrazione di due opposti: lei, Sakura, “fiore di ciliegio” appassito dalla malattia, e lui, Haruki, “albero primaverile” romito, cresciuto all’ombra delle altre piante.
Sul ramo del Boy Meets Girl, germoglia un delicato Coming-of-Age, dove, nella stagione dell’adolescenza – la primavera, metafora della ri-nascita (di un’identità individuale) -, due gemme serotine sbocciano in giovani adulti. Grazie all’amore – «Voglio mangiare il tuo pancreas», le confesserà il ragazzo: divorare la malattia, il dolore -, Sakura – “fanciulla in fiore” – esaudirà i suoi ultimi desideri, per poi conciliarsi con la Fine imminente; Haruki, invece, riuscirà ad integrasi nel consorzio umano, a stringere nuove amicizie (le prime), perché «nessun uomo è un’isola».
Pur non toccando le vette de” La forma della voce”di Naoko Yamada (2016), il film di Ushijima strappa una lacrima; solo una, piccola, salata, autentica, versata per i nostri fratelli digitali, surrogati sintetici, così puri – e per questo inutili -, innocenti: «Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Alessio Romagnoli