La duale coincidenza. Favole della realtà.
Quentin Tarantino, C’era una volta…a Hollywood (Once Upon a Time in…Hollywood), USA, 2019.
L’immagine osservata, l’immagine vissuta, l’immagine creata. In un’intervista di qualche anno fa, Tim Burton sostiene che delineare un confine tra realtà e fantasia è per lui un atto privo di senso. Fantasia, non finzione: la fantasia non mente, costruisce nuove realtà. Favole della realtà, come nel nono film di Tarantino C’era una volta… a Hollywood. Nella dissolvenza dei confini tra i livelli comunicativi e percettivi, Tarantino riflette, cinefilo anche di se stesso, sul proprio cinema attraverso quello altrui, autentico o fittizio.

La recitazione degli interpreti si carica, sempre immersa in una volontà artistica ed espressionista, che non imita ma amplia il reale cinematografico. Mentre il protagonista interpreta, non ricorda la parte, a causa dell’alcolismo; e si adira con la propria immagine allo specchio – per il danno che arreca alla propria credibilità come attore e quindi come personaggio.
In un infinito gioco di variabili, Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) compare in una mai girata pellicola del realmente esistito Antonio Margheriti; ma anche in alcune sequenze in cui si richiamano, con l’uso del lanciafiamme contro alcuni nazisti, le scene conclusive di Bastardi senza gloria: dove a guidare la propria squadra militare nell’impresa non era DiCaprio, ma Brad Pitt – che in C’era una volta… a Hollywood è Cliff Booth, controfigura di Dalton.
Nei momenti in cui la mancanza di situazioni filmiche troppo pericolose per il goffo Dalton non richiede la presenza delle acrobazie di Booth, quest’ultimo, oltre l’occhio della macchina da presa, vive quasi al posto dell’uomo a cui fa da controparte. Tra le tante azioni (tutte ugualmente importanti quanto inconsistenti) che si succedono sui set e nelle ville hollywoodiane, lo stuntman è in grado di compiere, nel finale del film, l’unica che possa davvero scrivere la Storia; ma sotto l’effetto di una sigaretta imbevuta di acido quasi non se ne accorge, e scambia gli hippies omicidi inviati da Charles Manson per i personaggi di un western. Diventa protagonista, per poi riassorbirsi nel protagonista stesso.

Ferito gravemente, cade la controfigura, cade il cinema nel cinema: Rick Dalton, che ha infine imparato ad utilizzare il lanciafiamme, sconfigge l’unico dei tre aggressori sfuggito alla furia annebbiata di Booth. I piani si unificano; con l’avvio di una nuova carriera per Dalton, fino ad allora fossilizzato nel ruolo del cattivo, la negatività del reale e quella dell’illusorio si annientano a vicenda. Come i brandelli del volto mitragliato di Hitler bruciavano assieme a quelli dello schermo incendiato nell’inferno del cinema.
Silvia Marcantoni Taddei