The Gangster, the Cop, The Devil: ciò che conta sono le domande!

A ben vedere questo poliziesco del coreano Won-Tae Lee non sembra particolarmente innovativo ed in particolare sembra poco utile per la formazione anche perché la violenza si spreca. 

Dal momento però che in tutte le aziende troviamo una “Carta dei Valori Aziendali” appesa tra il Ficus Benjamina e il distributore delle bevande, vale la pena di fermarsi a riflettere sull’enorme distanza che separa la morale, declamata in ogni organizzazione, dall’etica, visibile nei comportamenti.  

Ad una prima lettura il film sembra semplicemente il riuscito incontro tra “le Iene” di Tarantino, “Black Rain” di Ridley Scott e “il Silenzio degli Innocenti” di Jonathan Demme. In particolare da quest’ultimo viene ricavata palesemente ed onestamente la struttura narrativa: il poliziotto stringe un patto con un criminale per arrestarne un altro. 

       La ricerca di Won-Tae Lee fa perno sulla radice del male, ciò che è sottolineato più volte da entrambi i cattivi, che al poliziotto chiedono: “Credi di essere veramente diverso da noi?”. Ciò che sembra essere il vero protagonista è il destino delle persone, che si incarna in un ruolo, ed ogni ruolo ha la sua logica. 

       In questo senso geniale è il Gangster, un tatuato capo-mafia che dispensa ceffoni da Bud Spencer a quelli che non capiscono la situazione. Lui invece è un Leader che sa comportarsi e percepisce immediatamente chi è in fuori gioco. Guarda negli occhi i prepotenti e aiuta i più deboli: alla fermata dell’autobus cede il proprio ombrello alla studentessa che sta prendendo la pioggia. Sequenza dopo sequenza porta gli spettatori dalla propria parte proprio perché fa sempre la cosa appropriata, che non necessariamente è un gesto buono. Ed in effetti quanto contano i cosiddetti valori, quando il poliziotto, pur di raggiungere i propri scopi, stringe un patto con il gangster? 

       Quindi il testo di Won-Tae Lee sull’umanità e sulle organizzazioni ci dice cosa ha veramente un peso, ovvero il destino, le ambizioni personali, la capacità di fare la differenza. Dal passato ereditiamo la nostra missione, nel caso del Demonio è la coazione a fare il male, nel caso del Gangster è un ruolo difficile (“i miei uomini hanno famiglie da mantenere”), nel caso del poliziotto è un ruolo speculare al Gangster ma più facile (“Siete pagati per sparare…”). Una specularità sottolineata in uno dei tanti dialoghi dove il Gangster dice al poliziotto: “Se io non esistessi tu non avresti un lavoro!”. Ma la vera domanda la pone il Diavolo: “Qual è la tua filosofia?” 

Quello che è certo è che l’umanità non si divide in buoni e cattivi, ma tra chi capisce e chi non capisce, tra chi fa le domande e chi non ha le risposte. I valori, per Won-Tae Lee, se ci sono, non si vedono, se si vedono, non ci sono, e se non ci sono, non sono la risposta!  

Luigi Rigolio

37TFF: Ginevra Nervi firma la colonna sonora de “L’ultimo piano”

Ginevra Nervi, cantautrice e compositrice di musica elettronica, firma la colonna sonora de L’ultimo piano, il film collettivo diretto da nove registi (Giulia Cacchioni, Marcello Caporiccio, Egidio Alessandro Carchedi, Francesco Di Nuzzo, Francesco Fulvio Ferrari, Luca Iacoella, Giulia Lapenna, Giansalvo Pinocchio, Sabrina Podda) della Scuola d’Arte CinematograficaGian Maria Volonté” promotrice e produttrice del film, che verrà presentato al 37. Torino Film Festival il 29 novembre (ore 15, Cinema Reposi, 2).

Attraverso l’uso di distorsori, bassi elettrici, chitarre in reverse, pianoforti riverberati e simulatori di nastro magnetico Ginevra realizza delle sonorità post-rock che servono a restituire l’aspetto “vintage” che caratterizza l’appartamento in cui è ambientata la storia.

La distorsione e la manipolazione del timbro sono elementi chiave della colonna sonora: attraverso queste due strade riesce a dare una nuova veste, molto più cruda e grezza, agli strumenti musicali scelti da lei in partenza.

NOTE DELL’AUTRICE:

Sapere che il film era stato realizzato da nove registi mi ha intrigata fin da subito. L’ultimo piano è il mio primo film come compositrice di colonne sonore, lavorare a stretto contatto con così tante teste è stata una bella sfida, ho imparato molto da questa esperienza.

Ero rimasta da subito colpita dal tipo di immagini, di colori, di luoghi che avevano scelto i registi per questo film. Guardando il primo montaggio ho capito che l’appartamento non era solo la cornice, il palcoscenico dove si svolgeva tutto. Era un personaggio nascosto che volevo far parlare.

Volevo raggiungere una texture che mi trasportasse verso una dimensione di dormiveglia… come se la musica fosse qualcosa presente solo nella nostra memoria e che a mala pena riusciamo a ricordare. Metto sempre molta poesia nelle scelte timbriche e nelle manipolazioni che faccio. Per me non è semplice scienza del suono applicata ad una forma d’onda. Quello che facciamo ha qualcosa di magico e di estremamente umano, per me è importante capire accuratamente quale direzione al suono voglio far prendere. Tutto è timbro, qualsiasi scelta io faccia durante la manipolazione del suono mi sposta inevitabilmente verso una direzione piuttosto che un’altra. Per questo essere stata ben allineata e in contatto con la poetica dei registi è stato fondamentale.

(Ginevra Nervi)