CONTAMINAZIONI n 15 – Il viaggio di Antonius Block… e il primo amore maledetto di Marco Tullio Giordana.

La peste sta mietendo vittime lungo la costa… Antonius Block, un Cavaliere di ritorno dalle crociate, incontra la Morte e la sfida a scacchi per guadagnare un po’ di tempo: il suo scopo è capire, avere delle risposte.

Aldo Moro è stato ucciso da poche settimane quando Riccardo rientra in Italia dopo una permanenza di cinque anni in Sud America. Qualche tentativo d’integrazione, di comprensione di un mondo che trova molto cambiato: decide di andare incontro alla morte, unica prospettiva per dare un senso alla sua vita.

In questo forzato isolamento per la moderna pestilenza che ha sconvolto il mondo intero nei primi mesi del 2020, in una giornata particolarmente intensa, il caso o la necessità mi hanno fatto incontrare a breve giro questi due film.

“Il settimo sigillo” (1957) di Ingmar Bergman (che avrò visto almeno quattro o cinque volte nella mia vita) mi sembra di rivederlo ora per la prima volta, come leggere “La montagna incantata” a diciotto anni e poi rileggerla dopo i cinquanta.

“Maledetti vi amerò” (1980) il film d’esordio di Marco Tullio Giordana, mi arriva con una mail affettuosa proprio da lui, dopo uno scambio di idee, di confronti sulle cose che ci sembra contino, nel riconoscimento di una fratellanza. Ma il caro MT non è un molto tecnologico e mi manda via Wetransfer un file che contiene solo una prima parte del film (28 minuti).

Mi ci vogliono due giorni per riuscire ad aprirlo (nemmeno io sono un computer wiz). La storia, il linguaggio, il clima del film mi prendono subito e mi fanno pensare a molte cose… ma dopo 28 minuti s’interrompe. Mi chiedo: È il caso di chiamarlo per chiedere un altro file con tutto il film? Magari c’è un altro modo… e infatti lo trovo su YouTube, per intero. Per puro caso, noto che anche “Il settimo sigillo” è disponibile e free.

Come tutti quelli della mia generazione e non solo, ricordo il giovane Max Von Sydow, magro e allampanato, con il suo coraggio e la sua ansia di sapere. All’inizio degli anni 90’, a casa di Ingrid Thulin a Sacrofano, ebbi occasione di incontrarlo. Ingrid era stata per un po’ la mia insegnante di recitazione, nel mio tentativo di intraprendere un’improbabile carriera di attore all’inizio degli anni 80’.

Ingrid Thulin e l’autore dell’articolo

 

Eravamo diventati amici e almeno una volta al mese la andavo a trovare, portandole sempre qualche bottiglia di vino friulano che apprezzava molto. Negli anni 60’ aveva iniziato a lavorare in Italia con Bolognini e Visconti, poi negli anni 70’ con Montaldo e Tinto Brass. Decise di traferirsi in Italia e ci rimase fino a poco prima della sua morte (17 gennaio 2004). Girò il suo ultimo film nel 1991 con Marco Ferreri (“La casa del sorriso”) mentre l’ultimo con Bergman è del 1984 (“Dopo la prova”). Nella mia memoria rimarrà sempre impressa per “Il posto delle fragole”, un ricordo codificato della passione di studente del Centro Sperimentale di Cinematografia per uno dei grandi capolavori della storia del cinema.

Ingrid Thulin nel film “Il posto delle fragole”

 

Abitava in una villa in campagna, sobria e lineare, un unico grande blocco rettangolare con una piscina che dava sulla valle quasi incontaminata a sud di Sacrofano. Me lo aveva detto al telefono che era arrivato “Max”, ospite per qualche giorno e c’ero andato apposta, subito… ma rimasi deluso: non si dimostrò particolarmente interessato a me (mi domando che cosa mi aspettassi). Fu un incontro breve e non mi proposero neanche di rimanere a cena. Credo di essermi sentito fuori luogo per aver inseguito quell’occasione, forse un po’ stupido… ma non potevo pretendere che l’incontro con un’icona (Antonius Block) fosse alla stregua di un incontro con un qualsiasi volto noto del mondo dello spettacolo, al quale oramai ero abituato pur provenendo dalla provincia del Nord. La partita a scacchi con la Morte è qualcosa che colpisce nel profondo, un pensiero inconscio che tocca tutti, prima o poi.

Ed ecco che cercando “Maledetti vi amerò!” mi imbatto di nuovo nel capolavoro più emblematico di Bergman, nel ricordo di Ingrid con i nostri pranzetti “Al Grottino” di Sacrofano e di quell’incontro un po’ neutro e deludente con “Antonius Block”.

Una bella giornata di sole a Roma. In condizioni normali me ne andrei a fare una passeggiata al mare, ma mi accontento di andare fino al supermercato dove devo aspettare quasi mezzora in coda… Trovo in offerta un branzino da un chilo, una degna consolazione per la serata. Tornando a casa, il percorso che ben conosco di solito intasato dal traffico urbano, appare ora come lo scenario di un B movie post atomico, che mi prepara a riprendere la visione del film di Marco Tullio dal 28° minuto.

YouTube. Flavio Bucci/Riccardo (grandissimo!) finisce a casa di un tossico napoletano che ha soccorso dopo un pestaggio e in un cassetto vede la pistola che tornerà utile per il finale del film.

Al di là della storia, che mi sembra un bel pretesto per smuovere le acque, il ritorno del protagonista dal Venezuela (con l’assurda illusione di poter piazzare dei “felpatini con il paraorecchie” peruviani sul mercato italiano, unica speranza di combinare qualcosa, come lui stesso confessa) serve a fare il punto partendo da un nuovo inizio:

“… fatto in contemporanea a quel che succedeva in Italia in quel momento, disponendo delle poche cose che la (dis)informazione metteva in campo, molto di parte, molto blindate.”E questo non può essere messo in discussione perché sono parole dell’autore.

 

Dopo la visione del film gli ho scritto una mail.

 Il tuo film mi ha fatto subito pensare a due cose.

La prima.

“Dobbiamo tenere aperte le contraddizioni”, il mantra di Franco Basaglia, che poi viene anche citato nel film: “Bisaglia (di destra) Basaglia (di sinistra)… Che cosa vuol dire una vocale…!”

 Tutta la tirata di Riccardo su “destra e sinistra” (l’erotismo è di sinistra, la pornografia di destra… la vasca è di destra, la doccia di sinistra…) sembrerebbe un’anticipazione della celeberrima canzone di Gaber pubblicata nel 1994.

 La seconda.

Forse per un’inconscia necessità di classificazione ho pensato subito: Ecco un degno figlio de “Il conformista”..! Il montaggio e la libertà del racconto, la recitazione quasi stilizzata di Flavio Bucci che mi ha ricordato Trintignant/Marcello Clerici. Anche l’uso della musica è abbastanza sorprendente, dalle canzonette anni 30′, a Bach, al meraviglioso carillon quando il protagonista si veste prima di uscire per andare incontro alla morte annunciata.

Non mi sento così a mio agio nel propormi qui, anche se solo per un momento, per quello che non sono e non voglio essere, un “critico cinematografico” che cerca di posizionare il film nella storia del cinema e nel contesto che lo ha generato, e forse non dovrei svelare i frammenti di una conversazione privata tra due amici… ma le “contaminazioni” per loro natura vanno a contaminare dove capita e non riesco mai a porre dei limiti.

C’è un momento in cui il regista compare fisicamente nel film (aveva trent’anni!) mentre cerca di far partire una moto.

Un momento che potrebbe sembrare inutile ma che invece mi ha colpito. L’ho trovato straordinariamente evocativo, come un segno, un piccolo segreto seminato per chi lo volesse cogliere, con la macchina da presa che passa oltre dopo essersi fermata qualche secondo a registrare un fatto apparentemente marginale.

Un altro tocco leggero e magistrale è il sintetico dialogo di Riccardo con la bambina, la figlia senza padre di una ex fidanzata che gli ha confessato di non sapere con chi l’ha fatta, in linea con la conquista di una nuova libertà sessuale da parte della donna. I tempi coincidono (l’età della bambina, la sua fuga in Sud America) e il dubbio che possa essere sua figlia emerge dalla semina precisa di qualche inquadratura discreta e dallo sguardo del protagonista che indugia sulla piccola intenta a fare le sue cose.

 “E’ vero che hai dormito con la mamma?”- chiede la bambina.

“E’ vero. Prima di partire ho dormito con tua madre. Forse potrei essere io tuo padre.”

“Non importa.”

Poco dopo Riccardo va al cinema a vedere Louise Brooks insieme al Commissario amico/nemico (Biagio Pelligra, un caratterista di serie A) che dalla sua scrivania di servitore dello stato “pensante”, gli aveva fornito una possibile chiave di lettura: “Noi forse non dobbiamo prendere i veri responsabili, ma solo dare un senso ai telegiornali, alla stampa…”

Il tentativo di reinserimento nella società civile del protagonista dura ben poco e la sua morte è una soluzione logica, l’unica possibile per le coordinate in gioco.

Il film è un documento importante per una lettura a posteriori, ma con gli occhi di allora, di quel giro di boa irripetibile dove allo smarrimento e alle contraddizioni corrispondeva un’anima rivoluzionaria ancora attiva e una grande creatività: non “prima della rivoluzione”, ma certamente un po’ prima dell’omologazione di massa…

“…una sorta d’istinto anarchico-liberale, insofferente alle mistificazioni e alle dittature (oggi ormai trasformate in monarchie assolute) con la finzione del web che libera tutti e invece li schiavizza come una tossicodipendenza!”

E’ di nuovo l’autore che parla.

Qualche ora dopo il branzino al sale è ormai un cumulo di lische… eccomi di nuovo su YouTube alle prese con le prime immagini de “Il settimo sigillo”. Qualcosa mi ricordo, ma molti dettagli li avevo dimenticati.

Un po’ mi disturba la voce dello scudiero, affidata al grande doppiatore Pino Lochi: ogni volta che parla è difficile non pensare a James Bond. Tutto il resto rientra nella sonorizzazione standard di quel tempo, ma l’adattamento e le voci funzionano. Nemmeno ci provo a cercare la versione originale in svedese.

Non mi ricordavo l’ironia che accompagna le vicende dei guitti, il gruppo itinerante di teatranti che seguono Antonius Block e il fido scudiero nel loro viaggio attraverso la foresta per raggiungere il castello, lasciato quando il Cavaliere aveva deciso di partire per quell’inutile crociata.

 

Uno degli attori seduce la moglie di un fabbro, donna di facili costumi e dalle mille risorse, che di fronte al marito tradito e abbandonato, nonostante la sua evidente e indifendibile natura fedifraga, riesce ad abbindolarlo ancora una volta… mentre l’attore inscena un finto suicidio con un pugnale dalla lama retrattile, ma poco dopo non sfuggirà alla Morte che ormai è diventata l’ombra del Cavaliere.

Alla coppia di giovani attori innamorati, genitori di un pargolo, sarà affidato il finale del film. Il giovane padre, che possiede la dote del visionario, è l’unico a vedere il Cavaliere e la Morte impegnati nella partita a scacchi, e capisce. Come diversivo per distrarre la Morte, il Cavaliere fa cadere alcuni pezzi della scacchiera permettendo così alla famigliola di fuggire per sottrarsi a quel destino che per lui e gli altri compagni di viaggio è ormai segnato.

Al castello, dove la moglie del Cavaliere ha atteso per anni il ritorno del marito, il gruppo viene accolto al riparo… ma arriva anche la Morte, che ora tutti vedono e alla quale, ignari, danno il benvenuto. Ormai sono condannati.

La famigliola dei guitti si salva dalla tempesta e, raggiunto finalmente il mare, riprende il cammino sotto un sole rassicurante. In un’ultima visione, la Morte trascina i morituri in fila, sul ciglio della collina, in una danza macabra e solenne.

Fine.

Gli anni di piombo, la strategia della tensione, l’antica e la nuova peste, la recente morte di un vecchio e caro amico a Montreal (Bill Kemp, un antropologo che parlava la lingua degli eschimesi) che non sono riuscito a salutare…

I dubbi per la (dis)informazione che subiamo ogni giorno, a maggior ragione in questa condizione di emergenza. Penso al “romanzo delle stragi” di Pasolini, alle bugie sui tanti misteri, in particolare sulla trattativa Stato-Mafia che mi ha un po’ sconvolto per la sua gravità, un’ennesima pagina nera nel volume degli scandali italiani. E’ un patto che tuttora regge, che mise fine alla stagione delle stragi e degli attentati una ventina di anni fa, fino alla secretazione e poi distruzione di un’intercettazione imbarazzante del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al telefono con l’ex ministro Nicola Mancino.

La disgustosa “blindatura” di cui parlava Marco Tullio…

Il generale Mori
Il ministro Mancino e il presidente Napolitano

 

Che fare?

Non molto. Già facendo poco la fatica è immane e i risultati modesti, ma non vedo altre strade perché un impegno più attivo potrebbe arrivare solo sulla via di Damasco, come un’illuminazione, e bisognerebbe essere pronti a sacrificare tutto per un bene comune troppo vago e lontano. Non rimangono che azioni di disturbo, come sparare con una carabina contro un carro armato. Un piccolo segno comunque rimarrà e maggiore sarà la precisione del tiro tanto più quel segno perdurerà nel tempo, come per “Maledetti vi amerò”, che oggi mi regala ancora qualcosa, un’emozione forse illusoria ma che contribuisce alla speranza, a “tenere aperte le contraddizioni”, che mi spiega e mi ricorda, nella sintesi di un artista, quello che la (dis)informazione ogni giorno manipola e nasconde.

Oggi abbiamo mille canali, informazioni in tempo reale da ogni angolo del pianeta la cui attendibilità spesso non è verificabile. Abbiamo un cellulare che ci accompagna ovunque e ci sottrae ore di attenzione con il continuo scambio d’informazioni per lo più inutili, distraenti e fuorvianti… ma come sottrarsi a un trend che trascina come una valanga?

Franco Basaglia porta i “matti” a volare

 

La chiusura dei manicomi

 

Non a caso Basaglia parlava di “utopia della realtà”, nel descrivere l’impegno quotidiano per riuscire a dimostrare che l’impossibile può diventare possibile, nel suo caso con una riforma rivoluzionaria che portò l’Italia all’avanguardia nel mondo. Anche se poi si perderà terreno e il nuovo stato delle cose faticosamente raggiunto non dovesse durare, anche se ci sarà una recrudescenza della visione ottusa, conservatrice ed egoista che cerchiamo di combattere… beh, questo fa parte del gioco, della dinamica a cui siamo abituati, ma intanto avremo dimostrato quello che ci stava a cuore: la “possibilità” di migliorare, di conquistare nuove consapevolezza, di innestare un processo virtuoso in uno dei tanti settori. A ciascuno il suo.

Questa sicurezza, questa determinazione che è nella natura di una parte dell’umanità, equivale al finale positivo del film di Bergman: procedere a testa alta camminando fiduciosi in una bella giornata di sole.

 

Ferdinando Vicentini Orgnani

 

 

UN DIVERTISSEMENT FILMICO CONTRO IL COVID-19: PPZ – PRIDE + PREJUDICE + ZOMBIES

Nel momento in cui redigo questo scritto, che potrebbe assumere, in un prossimo futuro, le fattezze di un memoriale (benché non elevato a modelli più noti), una parte dell’umanità sta vivendo un periodo molto difficile. Sono tempi cupi e funerei, perché su molte zone del mondo pare si sia adagiata una spessa coltre lugubre, che ha colto di sorpresa molte popolazioni e messo vari paesi del mondo in stato d’allarme. Il Covid-19 (acronimo di CoronaVirusDisease 19) è un virus che colpisce le vie respiratorie, e la sua pericolosità non è tanto per gli effetti, che spesse volte sono a livelli di una semplice influenza, ma per i velocissimi tempi in cui si trasmette, infettando migliaia di persone quotidianamente. Tale rapidissima propagazione, che satura gli ospedali e costringe a misure risolutive le politiche sociali ed economiche, sta scombinando la vita normale a cui le popolazioni si erano abituate. Una delle azioni più drastiche che alcuni stati hanno dovuto adattare, per tamponare la propagazione, è stata quella di mettere in stretta quarantena molte zone, delimitando la libertà personale – per giusti e ovvi motivi – e creando delle zone rosse.

Intorno al Covid-19 sono sorte differenti discussioni, tra cui quella su come si sia generato tale virus. Una larga fetta di opinione pubblica è fermamente convinta che sia un virus creato in laboratorio, da utilizzare come arma chimica per destabilizzare uno o più paesi. Su internet, serbatoio immenso di queste opinioni, girano svariate notizie – alcune divenute anche virali – su tale assunto dai toni evidentemente da complotto. La comunità scientifica, invece, ribadisce che è semplicemente un virus, un poco più “subdolo” dell’influenza comune. Le uniche notizie, per il momento assodate, sono che le prime avvisaglie sono avvenute a Wuhan, città della Cina, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Da quel focolaio, di trasmissione in trasmissione, il virus è arrivato anche in altri paesi del mondo. L’utilizzo di una forzata quarantena (il governo cinese, per vigilare che nessun cittadino di Wuhan uscisse dalla zona, ha utilizzato l’esercito con permesso di sparare a vista) ha fatto costatare che i casi di contagio si sono abbassati.

Anche l’Italia si è trovata obbligata ad adottare la quarantena, essendo i dati numerici degli infetti e dei morti molto tragici. Le città sono cambiate radicalmente, con molti locali chiusi, strade deserte (o semi-deserte) e con molta gente seriamente preoccupata, che esce di casa con mascherina e guanti. Queste scene, a tratti, sembrano desunte da un Day After, da una catastrofe appena passata. Benché la situazione non sia facile, e non si sappia di preciso quando la vita potrà scorrere nuovamente con normalità, questo delicato momento deve essere vissuto senza farsi prendere dal panico. Per la forzata quarantena a cui la popolazione è assoggettata, sono stati dati molti consigli pratici per come passare il tempo rinserrati dentro casa, tra cui leggere e/o guardare pellicole. In ambito letterario, molti si sono riversati a (ri)leggere La peste (1947) di Albert Camus, come se volessero cercare lì delle risposte alla propria salvezza. Oppure, altra opera molto citata è il nostrano Decameron di Giovanni Boccaccio, anche perché vi è descritta una situazione simile di quarantena. Molto più interessante e fecondo, invece, è il versante delle pellicole. Come si è scritto precedentemente, vi è una convinta tesi che il Covid-19 sia frutto di un esperimento sfuggito di mano, e scorrendo i listini cinematografici, si possono trovare una miriade di pellicole che hanno per tema quest’argomento. Su Youtube, altro serbatoio in cui moltissimi internauti – vanesi – inseriscono quello che gli frulla per la testa, sono stati rapidamente caricati – e velocemente cancellati per mancanza di avallo di Copyright – moltissimi film che hanno per tema il virus. Una vera manna per i fermi complottisti, che possono suffragare le loro tesi. In ambito televisivo, al contrario, i palinsesti non si sono prodigati a trasmettere questo tipo di pellicole, sia per semplice rispetto alla tragedia che si sta vivendo e sia per non alimentare le paranoie complottisti. A lato di queste pellicole incentrate su ipotetici virus, c’è anche chi tira in ballo il variegato genere “zombies”, perché i morti viventi si sono generati e moltiplicati per contagio da un virus sconosciuto.

Partendo da ciò, ecco che quest’ultima parte di questo scritto vorrebbe agganciarsi a quei consigli dati per patire meno la quarantena. Seppure il momento storico sia scuro, bisogna anche un poco celiare e restare allegri d’animo, come insegnava Boccaccio, attraverso i personaggi/narratori, nel Decameron. Se i libri e i film possono essere un rimedio, ecco che dal gigantesco cassettone cinematografico è dilettevole recuperare, come puro divertissement, PPZ – Pride and Prejudice and Zombies (2016) di Burr Steers. In poche parole, ecco in un colpo solo letteratura e cinema fusi insieme, oltre alla questione “zona rossa” (la città di Londra è circondata da altissime mura). Tratto dall’omonimo romanzo, pubblicato nel 2009, da Seth Grahame-Smith, poliedrico autore tra cui sceneggiatore di Dark Shadows (2012) di Tim Burton, PPZ è un “folle” e irridente mix di generi. L’idea balzana è quella di inserire nella famosa trama di Pride and Prejudice (1813) di Jane Austen, il disturbante elemento degli zombi romeriani. Quindi, ecco che i compiti e sentimentali (svenevoli?) giovani aristocratici vengono trasformati in valenti guerrieri per proteggere la città e le loro vite. Sceneggiato dallo stesso Steers, PPZ, benché piacevole alla visione, si attesta a un livello sufficiente rimanendo solo un blockbuster usa e getta, perché non riesce cinematograficamente a esaltare questa contaminazione di generi. Sarebbe stato intellettualmente divertente fondere assieme il cinema raffinato di Oliver Parker o Ang Lee (regista della più nota trasposizione del testo della Austen) con quello truculento ed efficacemente politico di George A. Romero. Però, è gustoso vedere le scene in cui l’affascinante Elizabeth Bennet (Lily James), proto-Alice di Resident Evil, combatte contro gli zombie, oppure la scena della dichiarazione d’amore di Mr. Darcy (Sam Riley) a Elizabeth, che si risolve in un pugnace duello. È assodato che le pellicole (o i libri o le canzoni) possono essere ottimi rimedi per sorpassare momenti difficili, e possono dare anche consigli utili, soprattutto se basati su fatti reali. Può sembrare strano, ma PPZ, strambo divertissement, non solo può far trascorrere un allegro momento (sempre che non si sia di gusti troppo intellettuali), ma può anche far comprendere che non bisogna soccombere, e lottare fino alla fine, con spade o senza armamenti.

Roberto Baldassarre