Nuovo decreto sul diritto d’autore

Verso la fine del 2021 il nostro legislatore è intervenuto sul diritto d’autore, e lo ha fatto con le modalità serpentesche che hanno sempre contraddistinto l’azione di Franceschini, vale a dire poca pubblicità, totale impronta politica, nessun rispetto del mercato e massima valorizzazione della burocrazia.

Esattamente il contrario di quello che serve all’Italia in un momento di recessione, quando dovrebbero essere eliminati cavilli, strozzature, ritardi per favorire la fluidità del lavoro e dei capitali.

Ma la politica di sinistra, sulla cultura, ma non solo, ha come principio base l’appartenenza all’apparato e la obbedienza cieca alle regole statali, anche se palesemente sbagliate e settarie.

L’ultimo decreto ne è un esempio: non solo l’estensione all’equo compenso agli “adattatori” e ai “doppiatori” è un modo per dilatare a dismisura i termini della sovvenzione, ma soprattutto l’obbligo per i produttori di rendiconto, quanto meno semestrale, diventa un enorme aggravio delle incombenze e delle finanze.

Inoltre la partecipazione di tutti ai ricavi ricorda quelle formule del vecchio comunismo nelle quali la parola d’ordine era “spartema tot” in dialetto emiliano, cui si opponeva ironicamente il commilitone comunista che ribatteva “…e no, la bicicletta ce l’ho davvero”.

Ma nessuno si è accorto del decreto, ed ovviamente l’Anica si è ben guardata dal commentarlo.

Nel frattempo il capo di gabinetto di Franceschini è stato designato ad alto più importante e molto meglio remunerato incarico e la Dott.ssa Malanga lascia momentaneamente Rai Cinema per sostituire Monda alla Festa del Cinema, ribadendo che se sei parte delle truppe di sinistra, anche se non sai nulla del lavoro che svolgerai, verrai comunque collocata.

La Dott.ssa Delli Colli è stata oscurata e “Monda”, che si è sempre sentito un palmo sopra tutti, è cascato dal trono per far spazio ad una donna che da Franceschini ha imparato a nascondersi, a far rispettare gli ordini, a favorire quelli di sinistra, e a non motivare le proprie scelte.

In sostanza gran parte delle attitudini portate all’eccesso da Putin.

A proposito, Marco Giusti oggi scrive: “gran parte delle commedie italiane sono invedibili, non hanno idee, sceneggiature, gli attori sono buttati lì”.

I remake e i sequel sono più brutti degli originali e i contratti sembrano scritti sulle tovaglie del Bolognese.”

Esattamente quello che dico io da molto tempo e aggiungo: questo è il risultato della politica culturale della sinistra, affidata a funzionari senza capacità e senza mestiere, capaci solo di misurare il potere coercitivo del loro posto.

Avv. Michele Lo Foco

CINECITTA’ FOR EVER

E ’più che una sensazione, leggendo l’articolo che il Corriere di domenica ha riservato a Cinecittà, quella di essere presi in giro dal giornalista, dal giornale, e dagli intervistati.

Viene costruito uno scenario, che non fosse per la totale mancanza di elementi, sembrerebbe realistico, ed invece è o-sceno, nel senso che è fuori da qualunque logica scenica imprenditoriale.

Diciamo subito che se i 200 milioni di euro promessi fossero devoluti alla tabaccheria di Via Tacito, anche il tabaccaio riuscirebbe ad inventarsi qualcosa di mirabolante, ma dal momento che i soldi, per una ripartizione che sa di manuale Cencelli, il Ministero della Cultura avrebbe dovuto in qualche modo giustificarli, ecco che l’unica struttura, seppur baraccosa, seppure massacrata da Abete, seppur invasa di personale era Cinecittà, ed  ecco che era necessario costruire l’immagine accettabile di un luogo privilegiato e operoso.

Da qui l’assunzione di Maccanico, l’unico uomo nominato a cinque anni amministratore delegato dell’asilo nido, che ha lasciato lo scomodo posto a Vision dopo aver trattato uno stipendio adeguato, o la nomina di una Presidente direttamente istruita da Giancarlo Leone e sostenuta non si sa perché dalla Borgonzoni, il fantasma culturale della Lega.

Da qui il riversare su Cinecittà di incarichi incompatibili con le forze in campo, come il Pubblico Registro Cinematografico, che dal suo alveo naturale e storico della Siae è stato traslocato baracca e burattini nella azienda di teatri di posa dove è stato accolto come sgradito ospite, provocando una specie di palude melmosa nella quale i contributi statali restano impigliati.

Ma la macchina politica non si ferma davanti a nulla, agevolata dai media e dai complici, tanto che  “dominus” di tutto il complesso giro di denaro, destinato nessuno ha saputo spiegare come, ma certamente in gran parte ad istallazioni inutili e fuori tempo, è stato messo un personaggio enigmatico sia fisicamente che caratterialmente, Goffredo Bettini, anima del PD ma già artefice del festival più costoso dell’epoca, il Festival di Roma, che oggi viene realizzato con un decimo delle cifre di allora.

Pertanto Bettini controllore e notaio dei fondi? Sembrerebbe l’unico motivo per giustificarne la presenza, in un settore nel quale forse non era un grande esperto.

Così, a distanza di quasi vent’anni dal tentativo fallito di Urbani di rivitalizzare Cinecittà, siamo da capo a dodici, ci riprova Franceschini, che dopo aver fallito la sua “Netflix all’italiana” con la sciagurata operazione Cili, deve rivalersi in qualche modo, per lasciare un segno che non sia una grande voragine.

Cinecittà, per chi non la conoscesse, non è altro che un appezzamento di terreno, nemmeno troppo grande, con sopra capannoni semindustriali, alcuni ricchi di amianto, in alcuni dei quali sono stati girati i film di Fellini,  il quale è il grande nume titolare dell’area,  che diversamente sarebbe ricordata solo come la tomba di alcune decine di miliardi, a partire da Musolini transitando per Grippo, Blandini, Livolsi ed ora Maccanico, che intanto è riuscito nel difficilissimo compito di affittare parte delle strutture a Freemantle, società estera,  estero diretta e bulimica, che probabilmente pagherà la pigione ed occuperà nel tempo anche il resto.

 

Avv. Michele Lo Foco