RAPACITA’ (1924)

Il regista austriaco Erich Von Stroheim è stato il primo vero, grande regista “maledetto” della storia del cinema, colui che più di ogni altro ha subito l’ostracismo di una miopia congenita
che ha fatto di tutto per oscurare il suo genio superlativo. La sua è una storia di lotte e incomprensioni contro l’ottusità di produttori meschini, disinteressati alle esigenze dell’arte.
Almeno per due terzi, la sua produzione è stata manomessa da sceneggiatori e montatori agli ordini di finanziatori cinici e dissennati, così che spesso noi siamo “costretti” a confrontarci
soltanto con ciò che è rimasto, nonostante tutto, della sua opera. Hollywood lo ha ostacolato in ogni modo, non riuscendo però ad impedirgli di assurgere al ruolo di “maestro indiscusso” della
settima arte, perchè quel che ci è stato tramandato, pur incompleto, è materiale davvero sufficiente per farci comprendere appieno l’inventiva innovativa e la creatività assoluta del suo lavoro.

Il suo “RAPACITÀ” (Greed, 1924), un affresco sull’avidità umana, costituisce il primo esempio di cinema realista. La pellicola è un adattamento del romanzo “McTeague” di Frank Norris.
La durata originale era di circa nove ore. Ma, per volere dei produttori, fu tagliato fino a coprire una durata complessiva di poco superiore alle due, con la conseguenza che il metraggio
mancante si è trasformato nel “Santo Graal” della cinematografia. Poiché solo una dozzina le persone hanno avuto la possibilità di assistere alla versione integrale di “Rapacità”,
viene da chiederci se le bobine rimaste sul pavimento della sala montaggio avrebbero reso il film ancora migliore di quanto già ci appaia oggi.

Riccardo Cusin

Studioso della storia del cinema