PERSONA E L’ORIGINE: IL CINEMA E LA MATERNITA’.

L’incipit di Persona su cui sono stati scritti fiumi di parole contiene a mio parere due momenti/ossessioni centrali: il Cinema e la Maternità.

Bergman parla, proprio nell’Incipit, sia delle origini del Cinema, sia di Maternità, cioè ancora delle origini, questa volta, della vita.

Ed eccola la sequenza che, a mio parere, è tutto il film.

Il bambino (Bergman) si sveglia, legge ma il momento intellettuale si interrompe presto ed ecco lui accarezza lo schermo (il cinema?) delle due interpreti del film che si fondono, delle sue madri.

È la mancanza di maternità capovolta, è il figlio a cercare una madre e non la madre che ha bisogno del figlio, anzi addirittura lo rifiuta.

Non dobbiamo dimenticare l’esperienza personale di Bergman vissuto da piccolo in un ambiente molto rigido. Nella sua autobiografia parla di un’educazione basata su i concetti di peccato, confessione, punizione, perdono e grazia. E di un’educazione alla menzogna, per evitare punizioni.

In Persona la dottoressa dice:” meglio rinchiudersi nel mutismo, così si evita di mentire”.

Eccolo tutto il cinema di Bergman: ma ecco anche tutta la mancanza di “amore” che il bambino, accarezzando lo schermo, cerca.

E immediato è il collegamento con Johan, il piccolo di “Il silenzio” (tra l’altro lo stesso giovanissimo attore di Persona) che si trova anche lui a cercare amore tra due donne. Una, la zia, troppo occupata dalla intellettualità della propria malattia, l’altra, la madre, in cerca di una sensualità continua. Lui, il bambino, è affascinato prima dal viaggio in treno (le immagini dal finestrino) che poi è il cinema, e poi dal teatro e da quei nani in albergo. Solo, in albergo, anche lui, a cercare un affetto tra le due sorelle che si macerano nel loro rapporto “malato”.

In Persona eccole di nuovo queste due donne, il bambino la/le accarezza all’inizio e assiste con noi a questo film in cui una fa da infermiera (madre addirittura forse) all’altra.

Ed eccole le due a macerarsi su maternità non volute, aborto(la foto strappata), a fare di questo complesso di colpa per il figlio rifiutato, non voluto una “masturbazione” intellettuale che forse qualche carezza, come suggerito dal fotogramma iniziale,  avrebbe risolto.

Persona è un film sulla maternità, questo grande problema femminile e che non è innato nella donna. La donna diventa “madre” dopo la nascita dei figli, c’è molta sovrastruttura  stereotipata in questo concetto della “maternità” per forza legata ad un figlio. In Persona l’infermiera rivendica la propria sessualità nel racconto sulla spiaggia, staccata dal rimanere incinta. E rivendica l’essere infermiera come gesto di amore per gli altri, una maternità surrogata.

L’altra, l’attrice, fotografa il ragazzo che insieme a noi sta vedendo il film, lo/ci fotografa ma si stacca. Alma, l’infermiera, le rinarra il suo non desiderio di avere un figlio, di volerlo morto e invece, lui, il bambino, “fu preso da un immenso amore per te”. In un monologo/dialogo Alma fa da contrappunto a tutti gli stereotipi sulla maternità.

Persona è un film sulla maschera, sulla menzogna, sulla maternità ma è anche un film sul cinema.

E finisce con dei fotogrammi, con una macchina da presa e con l’infinita carezza del bambino che cerca amore.

Serena

PREPARATIVI PER STARE INSIEME PER UN PERIODO INDEFINITO DI TEMPO

Un film di Lili Horváth

(Ungheria 2020, Durata 95 min)

il candidato ungherese all’Oscar

interpretato dalla Shooting Star della Berlinale Natasa Stork

DAL 2 MARZO AL CINEMA

Marta, neurochirurga di 40 anni, si innamora perdutamente. Decide di lasciare una promettente carriera da chirurga negli Stati Uniti e di trasferirsi a Budapest per iniziare una nuova vita con l’uomo che ama.

Ma all’appuntamento che hanno preso, lui non si presenta. Marta inizia disperatamente a cercarlo e quando finalmente lo trova, l’uomo le dice che non si sono mai visti prima.

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Questo accade nei primi 10 minuti del film, il resto è tutto da scoprire…

INTERVISTA CON LA REGISTA LILI HORVAT

Da dove nasce l’idea del film?

Una donna, travolta dall’amore, si trasferisce lontano per iniziare una nuova vita. Al suo arrivo, l’uomo reagisce inaspettatamente, “Non ti conosco. Questa è la prima volta nella mia vita che ti vedo”. È un momento da brividi: non sappiamo se a dire la verità sia lui olei. Quando ho pensato a questa scena, non sapevo ancora chi fossero i miei personaggi, ma da qui è iniziata a costruirsi l’idea del film. Ho custodito con me questo germoglio di scena a lungo temo, quando un giorno, improvvisamente – ero su un bus a Berlino – l’idea ha iniziato a costruirsi. Due medici sulla quarantina, la donna viene da un altro continente e ha sacrificato tutto per l’uomo che ama. Da lì ho capito: nel mio film volevo raccontare il ruolo decisivo che ha la nostra immaginazione quando ci innamoriamo di qualcuno. Anche proseguendo nella preparazione del film, quella prima scena è sempre rimasta il cuore di tutto. E anche con i due attori principali, era su quella scena che continuavo a concentrarmi. Dovevano riuscire a fare qualcosa di estremamente complesso ma che risultasse sincero e onesto, non solo quando lo spettatore guarda quella scena, ma fino alla fine del film. Durante la fase di montaggio ho capito che il vero inizio del film rimane quella scena del primo incontro. È lì che volevo catturare l’attenzione dello spettatore, e perciò doveva essere uno dei primi momenti del film; per questo abbiamo deciso di non iniziare il film in modo classico, con le belle scene d’amore abituali che vediamo nei film d’amore.

 

Giovanni De Santis