Essere di nuovo alla Berlinale nel 2023, dopo un 2021 totalmente online e un 2022 limitato da restrizioni sanitarie, è un piacevole ritorno anche a Berlino, città mutevole, vero cantiere a cielo aperto.
Sono cambiate alcune sale storiche, per altro legate a caffetterie collocate in posti strategici, aspetto fondamentale per il cinefilo che deve passare da un film all’altro senza mancare di ritrovare l’energia necessaria. Infatti, le certezze della sala e della caffetteria collegata sono determinanti per il divoratore di film.
Il pubblico sembra tornato alla grande. La vendita dei biglietti, anche fino a pochi minuti prima dell’inizio dello spettacolo (il tutto rigorosamente online) e gli sconti per i giovani portano frotte di ragazzi nella nuova grande sala, la Verti Music Hall, da 1.800 posti.
I film sono molti, la scelta complessa.
Il Concorso, quest’anno, sembra sotto tono, con pochi nomi di grido, come Petzold e la Von Trotta. Altri sono solo di nicchia. La Berlinale è un festival internazionale, oltre ad essere il grande festival della città, ma quest’anno pare ridimensionato come qualità.
La pandemia ha costretto anche i registi a ripiegare su loro stessi, trovando dentro di sé le idee per le loro pellicole e a raccontare storie personali o politiche legate a periodi storici passati.
E per parlare del cinema nel suo complesso, sono comunque nate opere eccellenti di Bellocchio, Sorrentino e Spielberg, per fare solo qualche esempio.
Anche alla Berlinale si odora la stessa sensazione.
L’immaginario sovrasta la realtà, il dentro di sé rispetto al fuori. Abbiamo visto opere su racconti del proprio dentro politico tedesco, il dopo riunificazione della Germania, e con i coreani ecco un film alla Slinding doors, e poi un altro che è un vero urlo del proprio immaginario personale e storico delle tradizioni orientali.
E il ricordo di Golda Meir o la narrazione di un amore tra artisti della Von Trotta. Infine, una bellissima metafora australiana sullo sfruttamento dei nativi e la nascita del capitalismo.
Il bilancio lo faremo alla fine, ma per ora rimane la sensazione di un festival del “dentro” e spaccato in due parti, un concorso seguitissimo, ma deludente e le altre sezioni con spunti più interessanti, ma difficili da scovare in un numero eccessivo di offerte.
Maria Serena Pasinetti