Le giornate professionali di Riccione

Le giornate professionali di Riccione e di Sorrento sono l’unica vera occasione professionale per valutare lo stato di salute del cinema e delle Sue componenti.

Quasi tutti i distributori presentano i loro listini, composti in parte da acquisti ed in parte da produzioni, e cercano di impressionare gli esercenti che occupano in massa l’immenso salone del Centro Congressi di Riccione o dell’Hilton di Sorrento.

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L’esercente di base è un commerciante con la sua bottega e cerca di capire quali siano i prodotti da esporre che gli consentano di guadagnare: lo fa esaminando i trailer dei film ed ascoltando le parole dei direttori commerciali che esaltano la bontà del loro listino. Gli applausi sono un primo metro di valutazione del gradimento del prodotto.

Le giornate vengono introdotte da un convegno nel quale, sotto la direzione del bravissimo editore Vito Sinopoli, si esibiscono i vertici del nostro cinema, e che anno dopo anno ripetono stancamente le loro tesi ottimistiche, arrivando a valutare come eccezionale la stagione in corso.

In realtà difendono il loro operato, che trova una controprova nello stato miserabile del fatturato dei film italiani giunto proprio durante Riccione al 7% di quello nazionale mentre quello americano è al 74%. È paradossale il divario che separa il palco dalla platea: sul palco si esalta la bravura del nostro cinema, di RAI Cinema, dei produttori principali, dell’Anica, mentre la platea è composta da operatori che non capiscono il miracolo, si preoccupano di come pagheranno la stanza d’albergo e contano esclusivamente sui prodotti americani.

La legge Franceschini ha creato questi paradossi, con pochi produttori baciati dal tax credit e dalla RAI e molti produttori alla ricerca di qualche sostegno, i primi nei grandi alberghi circondati da solerti funzionari ed i secondi nelle pensioni pur confortevoli della riviera.

Le cifre non contano più nulla: Bellocchio per il suo film “Rapito” dichiara un costo di euro dodicimilioniseicentomila mentre il maestro Avati non supera i tre milioni per l’ultimo film “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”: una differenza di quasi diecimilioni di euro! Difficile da credere!

Come sia possibile che “La Chimera” della Rohrwacher dichiari un costo di quasi diecimilioni di euro e la Cortellesi, neo regista, di quasi nove, lo sanno solo i produttori, che evidentemente non devono fare i conti con i ricavi, che non bastano di solito nemmeno per pareggiare le cene al ristorante, ma che si preoccupano solo del tax credit.

Il cinema non è più un’attività commerciale per i nostri operatori, se il primo film in classifica al decimo posto è un documentario sulla Carrà distribuito per 3 giorni dalla Nexo!

A Franceschini ed i suoi seguaci è rimasto solo il convegno che introduce le Giornate Professionali: lì sono autorizzati ad autocelebrarsi nella speranza che nessuno li ascolti.

Avv. Michele Lo Foco

Cinecittà e il PNRR

Il “piano nazionale di ripresa e resilienza” è una delle dizioni politiche utilizzate per far capire alla gente che si tratta di un affare di grandi proporzioni e non farne capire i contenuti.

Le parole che la politica talvolta adotta, Welfare, hub, e da ultima “resilienza” sono utilizzate per introdurre nell’ambiente concetti impalpabili, vaghi ma autorevoli destinati ad incartare una serie di provvedimenti di varia natura e di notevole impatto economico.

Cos’è la resilienza, parola usata raramente e certamente cacofonica?

“E’ la capacità di affrontare resistere e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo eventi particolarmente traumatici.”

Bene, ciò detto, il piano di “resilienza” è un intervento economico europeo teso ad agevolare le nazioni nello sforzo di sistemare aspetti delle loro strutture. Cinecittà è la struttura individuata da Franceschini per indirizzare 300 milioni di euro: dal momento che non aveva altre strutture apprezzabili, gli era sembrata la soluzione proponibile, anche se lo stato dei luoghi dopo la cura Abete era già costata allo Stato decine di milioni di euro.

Cinecittà, gli studios compiono 80 anni e tornano allo Stato ...

Pertanto la “resilienza” si è trasformata in un progetto faraonico, sostenuto da giornali e giornalisti, con a capo Gloria Satta, nel quale Cinecittà sarebbe diventata virtualmente lo studios degli studios, Roma caput studios.

La moltiplicazione di terreni e capannoni è diventata un effetto speciale ed a tutti è stata pubblicizzata l’immagine di Maccanico con la spada sguainata e i nemici europei distrutti.

Improvvisamente però la resilienza ha un brivido: il Ministro che se ne occupa comunica che qualcosa non va, le rate non arrivano, l’Europa vuole spiegazioni, il piano italiano è sbagliato. Cinecittà non invade l’Italia con 17 nuovi capannoni, ma ci ripensa, sono la metà e sempre entro il 2026.

Cosa diranno le banche e gli appaltatori, dove finisce il sogno degli studios degli studios? Cinecittà fa una doccia di realismo, e comincia a pensare che forse sarà utile rivedere i conti e dare una calmata alla Satta.

Maccanico rinfodera la spada e pensa alle vacanze, che sono alle porte, tanto Cinecittà è affittata per lo più ad un’azienda straniera, e quella paga.

Ma c’è un ultimo trucco da utilizzare: basta con il nome di Istituto Luce Studios, torniamo a Cinecittà S.p.A., cioè il nome che aveva l’azienda quando io fui nominato consigliere quarant’anni fa.

Da allora le carte sono state rimescolate varie volte e le fusioni si sono succedute per confondere i conti. Prima Ente Cinema S.p.A., poi Cinecittà Studios, poi Cinecittà Luce, poi Luce Cinecittà, poi Istituto Luce Studios e qualcuno lo dimentico. Non sono un indovino ma temo che degli Studios, comunque si chiamino, e del parco a tema, ne sentiremo parlare ancora, e non solo per la resilienza ma per la loro sopravvivenza.

Avv. Michele Lo Foco