In questo faticoso viaggio del cinema italiano verso una sperata normalità manca totalmente un elemento: i ricavi.
Sembra incredibile che l’attenzione dei media, dei commentatori, degli operatori abbia completamente trascurato quello che dovrebbe essere il traguardo di qualunque industria, o di qualunque impresa, cioè il guadagno, l’utile.
Questo è uno dei più pericolosi effetti della legge Franceschini, ed ha qualcosa a che vedere con una più generale filosofia dell’agire filmico, quasi una nuova epistemologia della conoscenza filmica, che non prevede né ricavi né spese, ma solo Stato, Tax Credit e burocrazia, in un crescendo di gigantismi societari stranieri ormai talmente estesi da non consentire nemmeno una chiara identificazione.
Questi nuovi mostri, dall’appetito insaziabile, che divorano tutte quelle entità capaci di creare progetti e di collegarsi con Rai, si propongono come l’unica fonte di programmi, fiction, film in grado di sopportare ritardi e incertezze legislative e di gestire i flussi finanziari tramite le proprie banche. Ed è’ uno di questi mostri a presentare a Berlino un nobile prodotto della cultura italiana che ha il nome di Rocco Siffredi, assurto al ruolo di protagonista dei costumi nazionali con la complicità dei media.
Al contrario i produttori veramente indipendenti, privi di risorse finanziarie, agonizzanti per i ritardi burocratici, inginocchiati davanti al Ministero e a Rai Cinema, esalano i loro ultimi respiri sapendo che il loro modesto prodotto audiovisivo che hanno completato con enorme sforzo non troverà, salvo miracoli, alcuna collocazione remunerativa e dovranno accontentarsi di un posticino su Amazon Prime in ultima fila.
La legge Franceschini ha anche effettuato una operazione chirurgica mai eseguita prima: ha separato le sale, l’esercizio, dal prodotto filmico nazionale, e mentre le prime hanno potuto godere e abusare dei molti film stranieri di grande successo (Barbie è incredibilmente un film d’essai), il nostro prodotto si è salvato formalmente solo con la Cortellesi, che ha rappresentato da sola il 30% dell’incasso, ma non si è salvato sostanzialmente perché anche quel film è stato realizzato e distribuito dalle società straniere che ho descritto poc’anzi, e che si sono impadronite persino delle tradizioni popolari nazionali a partire dal commissario Montalbano fino a don Matteo .
Esempio macroscopico, icona, totem della materializzazione della legge Franceschini e della totale assenza di ricavi è il film “Finalmente l’alba”, costato apparentemente 29 milioni di euro, con 9 milioni di Tax Credit, contributo selettivo, e una partecipazione Rai esagerata:
Risultato ad oggi in sala poco più di 300.000 €uro.
Produttrice sempre una società straniera, una di quelle dall’appetito insaziabile. Che tipo di operazione è questa? Quale logica la giustifica?
I ricavi sono la differenza tra il costo industriale del film (costi di produzione e distribuzione) e i corrispettivi della commercializzazione del prodotto in Italia e all’estero.
Ma dal momento che diversamente da quanto espresso dai giornalisti all’estero non vendiamo nulla, o molto poco, il movimento di denaro si sviluppa solo nel nostro paese, ed è solo lo Stato nelle sue varie espressioni a cantare e suonare lo strumento “ricavi”.
I dati della commercializzazione ormai sono il residuato bellico di un’epoca che la legge Franceschini ha sepolto, e nessuno si preoccupa più’ di calcolarli. In fondo a che serve?
Avv. Michele Lo Foco