MOTHERS’ INSTINCT

Regia: Benoît Delhomme
Cast: Jessica Chastain e Anne Hathaway
Durata: 94′
Genere: Thriller

In sala dal 9 maggio, trailer disponibile qui.

Alice e Céline sono vicine di casa e migliori amiche, così come i rispettivi figli che vanno a scuola insieme e giocano tutti i giorni a casa di uno o dell’altro. Purtroppo questa situazione all’apparenza idilliaca è destinata a deteriorarsi a seguito di un brutto incidente a casa di Cèline, dove suo figlio perderà la vita. Da quel momento non verrà stravolta solo la vita della famiglia di Cèline ma anche degli amici vicini di casa, che assisteranno a un susseguirsi di eventi sempre più ambigui.

Mothers’ instinct è l’opera prima di Benoit Delhomme, secondo adattamento cinematografico del libro Derrière la haine (Oltre la siepe) scritto da Barbara Abel. Delhomme ha voluto realizzare un thriller psicologico dove niente è come sembra, specialmente nelle case di periferia della borghesia americana degli anni Sessanta, con le madri di famiglia perfettamente agghindate, inevitabilmente tagliate fuori dal mondo del lavoro e interamente dedicate ai propri figli. Purtroppo però ci aspettiamo sin dall’inizio del film che venga smontato tutto quel mondo perfetto, perché i personaggi – specialmente le due protagoniste – non mostrano grandi sfaccettature. Ogni sguardo, ogni battuta, persino la musica in sottofondo, è talmente ostentato che non apre mai la strada ad un vero climax e quindi assistiamo a questo susseguirsi di eventi che dovrebbero cadere come una valanga, ma di cui non sentiamo la potenza perché il regista ci tiene per mano per tutta la durata della pellicola.

Il film è distribuito da Vertice 360.

 

 

 

 

Francesca De Santis

(Ab)normal Desire

T.i. Desiderio ( a) normale
( Seiyoku)
Regia: Kishi Yoshiyuki
Cast: Higashima Ayaka, Sato Kanta, Aragaki Yui, Isomura Hayate , Inogaki
Sceneggiatura : Minato Takehito Goro, Yamada Maho
Music: Iwashiro Taro
Paese: Giappone

Che cos’è la normalità? Partiamo dal presupposto che la normalità è un concetto che varia a seconda del contesto e delle norme sociali, culturali o individuali. In generale si riferisce a ciò che è considerato comune, tipico o accettabile all’interno di una determinata comunità o società. Tuttavia, è importante notare che la normalità può essere soggettiva e può variare da persona a persona. Ciò che è considerato normale in una cultura o in una società potrebbe non esserlo in un’altra. Inoltre, le definizioni di normalità possono evolversi nel tempo, riflettendo i cambiamenti sociali e culturali. Nel campo sessuale, il feticismo è considerato una forma di perversione in cui l’individuo trae piacere o gratificazione da oggetti inanimati o parti del corpo non sessuali.

Altro punto da evidenziare è che il feticismo non deve essere considerato una condizione patologica a meno che non causi disagio o danni alle persone o agli altri.

Tratto da un romanzo di Asai Rho, The Kirishima Thing, basato su un dramma adolescenziale, il film racconta la storia di quattro personaggi ai margini della società a causa delle loro pulsioni sessuali non convenzionali. La studentessa Kanbe Yaeko teme gli uomini a causa di un trauma del passato, ma si innamora di Morohashi Daiya, un affascinante compagno di studi che nasconde un oscuro segreto. Di pari passo Kiryu Natsuki e Sasaki Yoshimichi, nonostante vivano una vita apparentemente “normale“, condividono le loro perversioni che non possono confessare a nessuno.

Metafora di tutti i pregiudizi e barriere mentali, questo film ci promuove alla tolleranza, all’inclusione, alla capacità di accettare e comprendere idee, opinioni e modi di vivere diversi dai nostri, attraverso la scioglievolezza delle idee, l’esplorazione di nuove prospettive e la fluidità dell’acqua. Essere fluidi come l’acqua implica la capacità di adattarsi, di superare gli ostacoli e di trovare nuovi percorsi, come un fiume che scorre intorno ai suoi ostacoli nel suo cammino.

Sin dalle prime scene il regista ci trasmette magistralmente il contatto e l’immersione dei corpi in questa fluidità di estasi e pace e la macchina da presa segue i personaggi mostrandone sapientemente tutti gli angoli più oscuri.

Kishi Yoshiyuki ha debuttato con il suo primo lungometraggio, Double Life, nel 2016 e AbNormal Desire è la sua ultima opera, distribuito in Giappone in novembre del 2023 e presentato al 26 °Far East Film Festival di Udine.

Potete vedere qui il trailer.

Miriam Dimase

 

FLY ME TO THE MOON

Hong Kong
Resista e sceneggiarice: Sacha Chuck
Cast: Wu Kang-ren. Sasha Chuck, Angela Yuen

European Premiere | In Concorso | Candidatura al White Mulberry Award
Trailer disponibile sul nostro canale YouTube.

Fly me to the moon è un film molto interessante sul problema dell’identità culturale e delle radici.

1997. Hong Kong, da sempre città di immigrati, non è stata particolarmente accogliente con gli immigrati arrivati dalla Cina continentale negli anni Novanta, quando sono state allentate le restrizioni per il passaggio di Hong Kong alla Cina. Per quanto siano all’origine di alcuni ottimi film pieni di empatia, le storie della diaspora cinese a Hong Kong sono state raccontate per lo più dagli hongkonghesi.

Ora che la generazione dei figli degli immigrati dal continente è diventata adulta, può raccontare l’esperienza dell’immigrazione a Hong Kong secondo la propria prospettiva.
La sceneggiatrice e regista Sasha Chuk appartiene a quella generazione e se è vero che il suo primo lungometraggio, Fly Me to the Moon – adattamento di un suo racconto breve del 2018 – è soprattutto un’opera di finzione, nella sua esplorazione dell’identità e delle radici attinge direttamente alla sua vita.

Il film racconta in tre atti la storia di una famiglia di immigrati nel corso di 20 anni. Nel 1997 la piccola Lin Tsz-yuen, di appena otto anni, arriva a Hong Kong per ricongiungersi con il padre, Min (un bravissimo Wu Kang-ren). Non solo Yuen si trova ad affrontare le difficoltà legate al suo essere una straniera che non parla una parola di cantonese ma in più Min è un tossicodipendente e un ladro, che passerà la vita dentro e fuori dal carcere.

Le cose però migliorano quando arriva in città la sorellina Kuet e la famiglia è di nuovo al completo. Il nucleo familiare è il tema dominante di questa sezione.
Il secondo atto, che è anche il più convincente, è ambientato nel 2007 e descrive le difficoltà adolescenziali delle due sorelle.
Il terzo atto chiude il cerchio sul tema dell’identità: mentre Kuet (Angela Yuen) è completamente assimilata nella sua patria adottiva come attivista per la conservazione del territorio locale, Yuen (interpretata dalla stessa Chuk) preferisce trascorrere il suo tempo all’estero come guida turistica, eternamente intrappolata in un limbo culturale, da cui non sa o non vuole uscire.
Chuk respinge abilmente la narrazione stereotipata della diaspora cinese, utilizzando le vite divergenti delle sorelle per mostrare come le loro radici non determinino quello che diventano da adulte.
Ma la parte altrettanto interessante del film è la narrazione del rapporto delle due sorelle con un padre debole e inetto vittima lui stesso di uno spaesamento sia personale nei rapporti con la famiglia sia sociale di fronte a un paese che non è comunque il suo e in cui non è mai riuscito a inserirsi.

Molto brava questa regista alla sua prima opera nello scolpire figure femminili decise anche se con fatica ad integrarsi e una maschile, il padre, debole e incapace di collocarsi in un luogo lontano da quello suo natale.

Un film sull’identità e il rapporto padre figlie decisamente interessante.
Da premiare.

Serena Pasinetti