Nel marzo del 1960 usciva La dolce vita. Fellini diventava artista del mondo. Ma con un prezzo da pagare, perché il film fu accolto molto male, per lo meno da quella che possiamo definire l’Italia benpensante. Sappiamo cosa rappresentò quell’opera: un degrado impietoso di Roma e, di conseguenza, dell’Italia. Raccontato in una chiave artistica altissima, naturalmente. Disse la sua la Chiesa attraverso il suo organo, L’osservatore, che pubblicò alcuni articoli persino violenti (Sconcia vita), firmati pare, dal supermoralista Oscar Luigi Scalfaro.
Certo è un grande film, anche se, visto adesso, in alcuni momenti fatica per la sua mole. Cosa che non accade, per esempio, a 8 e mezzo, di 3 anni dopo. Perfetto nella sua “vedibilità”, anche adesso. Della Dolce vita la memoria del cinema conserva le sequenze che sappiamo: la Ekberg nella fontana, la tragedia famigliare del mentore di Mastroianni, la confusine di finta felicità di via Veneto, l’assedio dei paparazzi, il mostro alla fine sulla spiaggia. Troviamo persino il Celentano 22enne che fa del rock.
La Dolce vita è dunque un modello, rilevante, rilanciato, del nostro cinema di quegli anni. Ma non è l’unico. Quella stagione era un trionfo italiano. Alludo agli anni intorno a quel 1960. Fellini ottenne la Palma d’oro a Cannes. Un altro fenomeno di quell’anno è Rocco e i suoi fratelli, altro film discusso, beatificato da alcuni, demonizzato da altri. Comunque portò a Luchino Visconti il Leone d’argento alla mostra di Venezia. Venezia, l’anno prima aveva premiato, ex equo, col Leone d’oro La grande guerra (poi nominato all’Oscar) di Mario Monicelli e Il generale della Rovere di Rossellini, nobilitato dalla performance di Vittorio De Sica. A ritroso, Monicelli: regista nel 1958 dei “Soliti ignoti” -altro titolo della più bella antologia, un precursore- dove aveva trasformato Gassman, talento “super classico”, in attore comico. Arriva un altro eroe della nostra commedia, Dino Risi che nel 1961 firma Una vita difficile, dove Alberto Sordi illustra un manifesto straordinario del primissimo dopoguerra della nazione. E l’anno dopo, ancora Risi col “Sorpasso” firma un altro titolo da storia del cinema. I primi Sessanta portano altri film di quella qualità, estraggo Il boom di De Sica e quell’unicum per cultura e invenzione che è “Brancaleone”. Infine l’opera d’arte maggiore che è stato il già citato 8 e mezzo.
Era il nostro cinema e i nomi erano quelli. Nomi, e titoli, mai più ritrovati.
Era la stagione del passaggio di testimone dal genere del realismo a quello, evoluto con evasione, della Commedia. E non era facile mantenere quella velocità. Ma i nostri ci riuscirono. Adesso… siamo meno veloci. Il tutto, dalla “Dolce vita”.
Pino Farinotti
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