Gira e rigira, prima o poi molto spesso i filmakers riescono a girare il loro film. E questa è sia una fortuna che una sfortuna allo stesso tempo. Sì perché da questo crogiolo gorgogliante di creatività escono sia i grandi autori di domani, quanto delle sonore boiate che non valgono i 90 minuti impiegati per la visione e che nessuno mai riavrà indietro. Eppure non c’è modo più divertente e veloce per fumarsi una fortuna che produrre un film indipendente. Per coloro che invece vogliono esplorare le rotte di una minima profittabilità è uscito un interessante studio che analizza le performance di 3.000 film usciti tra il 2000 ed il 2015 realizzato da Stephen Follows , analista dell’industria del cinema che ha collaborato con aziende del calibro di Bethesda (mica bruscolini), e Bruce Nash, fondatore della società “The Numbers” (“dove i dati e l’industria del cinema s’incontrano” recita il payoff della company). L’osservatorio contempla solo film a basso budget tra i 500 mila ed i 3 milioni di dollari i quali abbiano generato almeno 10 milioni di dollari di profitti netti per il produttore considerando tutti i canali di sfruttamento (purtroppo sono considerati nel novero anche i proventi del canale ormai scomparso dell’home video e di questo va tenuto conto nella lettura dello studio). Nonostante gli evidenti limiti a calare tale studio nel panorama italiano dove 3 milioni di dollari non sono poi un budget così basso, mentre 10 milioni di dollari rimangono il più delle volte una chimera irraggiungibile, se ne può ricavare un indicazione non trascurabile.
Il genere più profittevole è l’horror, che nonostante il generalmente schifato parere della critica (ha un metascore di appena 65/100) è in vetta al rapporto tra costi e ricavi. La sorpresa è che neppure i fan danno un miglior giudizio sulla qualità media delle produzioni (6,2 su IMDB), ma ugualmente si affollano ai botteghini e fanno (facevano) incetta di DVD. fanalino di coda nelle forme di sfruttamento è ovviamente la TV per le evidenti caratteristiche dei film. Un’intressante eccezione in tal senso è il film “Monsters” in cui i mostri però praticamente non si vedono, diretto da Gareth Edwards che ha anche scritto la sceneggiatura (probabilmente già sapeva che non avrebbe avuto i soldi per i mostri).
Al secondo posto troviamo i documentari. Ebbene sì il rapporto tra costi e ricavi premia il documentario a patto sia incentrato su di un argomento di forte interesse o su un personaggio di grande calibro. Sia la critica che l’audience premia il genere con un punteggio molto alto vicino a 80/100. Sarà l’effetto Michael Moore e anche il costo così contenuto rispetto ad un film da ottimizzare più facilmente il rapporto costi-ricavi, ma il documentario si conferma il miglior investimento dopo l’horror.
Al terzo posto c’è una mezza sorpresa perché troviamo film incentrati sui buoni sentimenti o di argomento religioso . Affossati generalmente dalla critica (il metascore è un disastroso 26/100) hanno invece una forte base di fan che li fanno prosperare in tutti gli ambiti di sfruttamento, inclusa e soprattutto la TV che apprezza la durata media piuttosto alta, attestandosi attorno ai 110 minuti il che gli consente di coprire sia la prima che la seconda serata . Ottimi esempi di produzioni italiane in questo genere sono “7 km da Gerusalemme” tratto dall’omonimo libro di Pino Farinotti (sì proprio quello del dizionario dei film) e “La Strada Di Paolo” di Salvatore Nocita e con Marcello Mazzarella.
La medaglia di legno va al dramma d’autore che al pari dei documentari ha il plauso di pubblico e critica, ma una base di audience piuttosto contenuta ed un endemico problema di visibilità che il passaggio negli innumerevoli e pur prestigiosi festival del mondo non riesce a risolvere appieno. Singolari eccezioni sono rappresentate dai drammi che hanno per oggetto un tema di forte attualità come il razzismo, l’intolleranza, la corruzione o la violenza contro le donne. Possiamo citare a buon esempio “Fruitvale Station” di Ryan Coogle o “Arretez Moi” di Jean-Paul Lilienfeld che tra l’altro hanno il triste pregio di non tramontare di interesse sino a che il problema di cui trattano rimane nelle prime pagine della cronaca.
Salta all’occhio come i grandi assenti siano le commedie, i musical, i thriller ed i film d’azione. Le ragioni sono insite nei generi stessi. Un film d’azione a basso budget è un aporia, sul versante thriller e commedie i stenta a scovare una trama che non sia trita e ritrita, mentre i musical sono da sempre un genere rivolto ad una nicchia troppo contenuta e se poi si aggiunge il limite del basso budget la condanna all’insuccesso è quasi certa. Ma tutto questo accade negli Stati Uniti e rapportandolo all’Italia si dovrebbe rivedere al ribasso la posizione dell’horror ed al rialzo quella delle commedie le quali prosperano facendo leva sulla fabulazione con cui lo spettatore italiano raggiunge una beata quiete rivendendo sempre la stessa commedia, al limite con l’apporto di minime variazioni. Per cui cari filmakers indipendenti, quando metterete in ballo il vostro prossimo progetto, grazie a questo studio, avrete un’altra voce a dirvi: “Vi avevamo avvertito”. Un altro monito di cui beffarsi a cose fatte, comunque siano andate.
No comment yet, add your voice below!