Una squadra di scienziati a bordo della stazione spaziale internazionale ha il compito di recuperare la sonda di ritorno da Marte con il suo carico di campioni raccolti sul suolo del pianeta rosso. La scoperta sensazionale di una forma di vita pluricellulare si trasforma ben presto in un incubo. Come è intuibile c’è poco altro da dire ed anche quel poco che è stato detto non può che spoilerare l’esile trama di cui è fatto il film.
Anche se il pay off lo dice chiaramente il limite è stato oltrepassato. Nonostante Daniel Espinosa sia il regista del buon “Child ’44” del 2015 (non inganni il nome ispanico: è nato a Stoccolma quarant’anni fa) e il cast non abbia nulla da farsi rimproverare (c’è persino Hiroyuki Sanada il giapponese d’ordinanza di ogni TV serie che si rispetti da “Lost” a “The Last Ship“) la sceneggiatura era evidentemente troppo “marziana” per essere salvata. In questo modo il limite dell’attenzione dello spettatore viene irrimediabilmente oltrepassato. C’è lo scienziato di colore (Aryon Bakare) che come il tale con la tutina rossa di Star Trek già sa che non vedrà i titoli di coda, c’è l’ufficiale medico riflessivo ed empatico (Jake Gyllenhaal), c’è la comandante di missione in gamba ed efficace ( tale Olga Dihovichnaya russa nel film come nella realtà che è veramente brava ed efficace come il suo personaggio e che sarebbe bello rivedere in altre pellicole), c’è l’ufficiale di quarantena (la svedese Rebecca Ferguson) con grande sensibilità ma con i suoi ordini segreti, il pilota impulsivo e rompicollo ma in che in fondo è un ottimo elemento (Ryan Reynolds, alias Deadpool, alias Lanterna Verde), non manca neppure il dilemma di chi compirà l’estremo sacrificio per salvare tutta la baracca. Insomma ci sono tutti gli stilemi di tutti gli altri film del genere che chi ha già visto non ha voglia di ripercorrere.
Eppure Rhett Reese e Paul Wernick sono la coppia ben collaudata di film ben riusciti come “Deadpool” e “Zombiland” ,anche se qui qualche buco e incongruenza di sceneggiatura non mancano di certo. Espinosa sa e lo dimostra nel film come creare suspense ed autentici colpi apoplettici da spavento ricalcando i cliché tipici del genere. E allora dove sta l’inghippo? Forse il problema è nell’età di chi scrive e che di questi film ne ha visti tanti, troppi e va alla ricerca di qualcosa di nuovo in un genere dove è stato detto tutto. Poi mi ricordo del recente “Arrival” di Denis Villeneuve e mi tocca spogliarmi della croce dello scettico perché è la dimostrazione evidente di come la vena della Sci-Fi è ben lungi dall’essere esplorata. In fin dei conti è un genere che per definizione si occupa di ciò che è alternativo, futuro, speculativo. Non resta quindi che attendere nuove forme di vita capaci di soggetti e sceneggiature più inedite e coinvolgenti. Nel frattempo se qualcosa di sconosciuto vi capita tra le mani, ricordatevi i sani principi appresi nei primi anni di vita, che valgono sia per il vaso Ming della zia ricca che per le meduse spiaggiate sulla battigia: non toccate.
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