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Netflix è un portale meraviglioso: ti propone sempre qualcosa di nuovo e tu comunque non sai cosa scegliere. Lui prova a darti delle linee guida come: continua a guardare, i titoli del momento, premiati dalla critica oppure perché hai guardato questo (quasi volesse accusarti di qualcosa), ma è tutto inutile. Orientarsi in mezzo a tutta quella varietà è quasi sempre estraniante.

Chiwetel Ejiofor ed il regista Joshua Marston

Oggi, per non passare 40 minuti davanti al computer senza decidere, mi sono lasciata influenzare dalla pubblicità. Il poster del film “Come Sunday” di Joshua Marston tappezza tutte le pagine internet che apro e, nonostante la storia di un pastore che perde la fede non mi interessi particolarmente, finisco per vederlo lo stesso. Il film introduce il pastore evangelista Carlton Pearson, interpretato egregiamente da Chiwetel Ejiofor, al massimo del suo successo. E’ la star della chiesa e tutti credono ciecamente ai suoi insegnamenti: chi vive fuori dal peccato, avrà accesso al paradiso. Sembra tutto procedere secondo i piani di Dio, finché un lutto familiare, e i filmati del genocidio in Ruanda lo porteranno a riflettere nuovamente sulle scritture e sul perdono divino. Come può un Dio misericordioso, condannare all’inferno tutte quelle persone, solo perché non avevano avuto la possibilità di accoglierlo nelle proprie vite? Arriva ad affermare che Gesù è morto per espiare i nostri peccati, garantendo a tutti un posto in paradiso. Questo messaggio di inclusione non viene accolto positivamente dalla comunità di Tulsa, dai suoi amici e dalla sua chiesa, che lo etichettano come eretico. L’abbandono delle sue certezze lo riavvicina a Dio, nel dubbio ritrova la sua fede.

Gary Odlman in un immagine tratta da “The Darkest Hours”

Il film è un ottimo spunto di riflessione non solo per i temi trattati ma anche per un altro motivo: è tratto da una storia vera. La parabola del pastore è solo uno dei tanti biopics che Netflix ha prodotto, basti pensare che per realizzare “The Crown” vengono investiti 13 milioni di dollari a puntata. Questa tendenza dell’industria è emersa anche dalle nomination degli oscar di quest’anno: “The Darkest Hour“, “Dunkirk”, “The Phantom Thread“, “The Post“, “Mudbound e I“, “Tonya“, tutte narrazioni che partono da fatti realmente accaduti, abbiamo forse perso il bisogno di sognare? Oppure abbiamo bisogno di storie reali che ci facciano sognare?

Giulia Lo Foco

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