Miracolo: Qualsiasi fatto che susciti meraviglia, sorpresa, stupore, in quanto superi i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere o vada oltre le possibilità dell’azione umana. La devozione: Amore trascendentale verso Dio. Siamo a Napoli, si respira un’aria mistica e concreta allo stesso tempo, la regista Alessandra Celesia, sin dalle prime scene ci catapulta in mezzo al popolo partenopeo, un popolo che ha fatto della tradizione la sua forza e delle sue pene una speranza. Un popolo che lotta e sorride per giustificare l’ingiustificabile e per sopravvivere coltiva fede. Al centro della narrazione, la madonna dell’Arco, venerata maggiormente nel sud Italia, “la Madonna ferita” e forse proprio per questo idolatrata più di altre nel napoletano. Intorno a lei ruotano le vite dei personaggi della narrazione, sviluppate separatamente ma con un elemento in comune, la fede, vissuta da ognuno di loro in modo molto personale e diverso.

La regista li insegue con la telecamera nelle loro peregrinazioni quotidiane, nei quartieri, per le strade, nelle case, entrando nella loro più nuda intimità ed è così che da spettatori diventiamo all’istante amici dei personaggi. Ascoltiamo le loro confidenze, li abbracciamo nella notte per incoraggiarli al domani e li comprendiamo nella loro corsa cieca verso un segno che possa rincuorarli sussurrando ” Chi sta sott o sol nun tene fridd”. Il focus registico si sofferma solo sui primi piani, quasi fosse scontato il luogo in cui è girato il film, in effetti l’atmosfera napoletana è già fortemente esplicata nei singoli gesti, sguardi e nell’intenso testo recitato dagli attori, dunque, sarebbe stato ridondante sovraccaricare di immagini un contenuto già così ricco ed introspettivo. Credo che la scelta tecnica della regista sia stata anche filtrata dal buon gusto empatico, percepire un luogo e la sua magia, è proprio come la fede, non è necessario vederlo. Ma tra i personaggi una scettica c’è, ed è Giusy, Un’antropologa in sedia a rotelle, che si interroga continuamente sul perché a lei è toccata quella sorte e dov’è questa Madonna che fa miracoli! Cerca di comprendere e trovare risposte raccogliendo testimonianze, facendo ricerche, ma nulla la convince se non la forza che lei stessa ha di vivere e andare avanti accettando la sua condizione di disabile. A sostenere invece la speranza nei miracoli, una transessuale, Fabiana, fedelissima alla Vergine Maria, che di notte si prostituisce mentre di giorno è a capo di un’associazione di fedeli della Vergine. Questa Madre dolorosa è tutto ciò che ha di più caro e trasmette la sua fede alla nipotina dodicenne, a cui insegna anche a vivere. Fabiana è ancorata al suo quartiere popolare, ma vorrebbe volare lontano, magari a Parigi o a Nizza che ha un mare bellissimo di cui lei non sa dire il nome. Altro personaggio femminile del film, una giovane pianista coreana trasferitasi a Napoli dopo aver abbandonato la Grande Mela per ritrovare se stessa per mezzo del a musica. Un viaggio attraverso l’arte in quanto miracolo di creazione. Avvicinarsi alla sua forma più pura le avrebbe aperto il cuore e avrebbe potuto contaminare i giovani, indirizzandoli verso un percorso di arricchimento umano. Ognuna di loro spera in un piccolo miracolo, ognuna di loro ha una sua visione di fede che inconsapevolmente la spinge al cambiamento, alla ricerca, all’accettazione e alla condivisione. Questo è il miracolo. Probabilmente alcuni lo hanno già compreso, altri hanno bisogno di materializzarlo in una persona, in un oggetto, in una ferita, per poterlo toccare e quantificare, perché i sensi rassicurano. “Anatomia del miracolo” merita un pubblico attento, è un lavoro di equilibri che rispetta ogni sfaccettatura del credo ed apre riflessioni antropologiche e introspettive pluridirezionali.
Francesca Bochicchio