Regia di Kore’eda Hirokazu.
Cast: Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke, Clémentine Grenier, Manon Clavel.
La verità – La vérité è un’opera densa e complessa di tematiche (la maternità, la riconoscenza, il senso di colpa, l’abbandono al vizio) sviscerate con garbo ed eleganza nell’ultimo film del regista giapponese Hirokazu Kore’eda, che per la prima volta si cimenta in un’opera in lingua francese. Autore anche della sceneggiatura, Kore’eda ci porta nell’universo di Fabienne Daugeville (Catherine Deneuve), una star del cinema nazionale che da poco ha pubblicato un’autobiografia.
Il film si apre con un’intervista alla quale la diva di “sottopone” svogliatamente. Il giornalista le fa una serie di domande sul suo ruolo di attrice, su quello delle sue colleghe, sui ciò che la donna ritiene più importante nella sua esistenza e lei, di tutta risposta, appare svagata e insofferente come sarà per buona parte della pellicola. Però, anche se non subito e non direttamente, a queste domande Fabienne sarà tenuta a rispondere e risponderà.
La donna ha accettato di girare un film e, nel pieno delle riprese, arrivano a farle visita nella sua villa parigina la figlia Lumir (Juliette Binoche), sceneggiatrice a New York, con famiglia al seguito. È da parecchio tempo che Lumir non mette piede in quella casa, tant’è che la seienne Charlotte neppure riconosce la nonna. Tra le due donne non corre buon sangue, è evidente.
Fabienne rifiuta il suo ruolo di madre, quasi togliesse fascino e valore alla sua aurea di attrice brillante e per parte sua la figlia è ipercritica nei confronti della madre. Ma c’è dell’altro dietro ai rapporti gelidi tra le tue donne: sulle due aleggia una presenza, un “personaggio non personaggio” che non si palesa mai ma che i vari interpreti a loro modo introducono e fanno rivivere nei loro gesti e nelle loro parole. Il “fantasma” in questione è Sara, grande amica di Fabienne e rivale come attrice e come madre, perché meglio di lei ha saputo intessere un legame d’amore con Lumir: la donna ne rimpiange ancora la scomparsa e si indigna di fronte alle memorie distorte e manipolate del libro della madre che oltraggiando il ricordo di Sara. Un film che si nutre di sguardi, di battute quasi sussurrate e altre invece pronunciate con rabbia e vigore, riuscendo sempre a cogliere i tormenti interiori di tutto il piccolo universo di attori che popola questa “messa in scena” che ne contiene al suo interno un’altra (quella del set a cui Fabienne sta lavorando).
La prima, però, è la vita, in un gioco ambiguo e sensuale di verità e recitazione che stupisce e commuove. Fabienne durante le riprese mostra i primi cedimenti, si sente sempre meno all’altezza per l’età che avanza e per una strana forma di gelosia nei confronti della giovane protagonista che le ricorda tanto l’amica defunta. L’incomunicabilità con la figlia, la solitudine e l’assegna di legami pregnanti, la devozione assoluta del maggiordomo che non riesce a riconoscergli in alcun modo, il dramma della recitazione. Sembra che la donna abbia colto il segreto di questa arte, che l’ha resa la star che è oggi, ma al contempo l’ha allontanata dalla vita reale, dagli affetti concreti, dal vivere una vita come qualunque persona normale. Per esprime tutto sulla scena bisogna preservare il proprio spirito.
A farle da contraltare Hank (Ethan Hawk), il marito della figlia, nonché attore mediocre, che proprio a causa della sua profonda umanità verso le persone e la vita è destinato per Fabienne al fallimento professionale. Un film che esprime, attraverso l’eccellenza recitativa dei suoi interpreti, il dramma della vita, il sacrificio e il prezzo che l’arte e la fama richiedono. Presentato in apertura alla 76ª Mostra del cinema di Venezia mostra (2019), il film segue a un altro grande successo di Kore’eda, Un affare di famiglia, Palma d’oro al Festival di Cannes del 2018.
In La verità Il gioco di specchi e inganni che il regista mette in campo è geniale: la scelta della Deneuve come protagonista, ci porta a cadere spesso nell’errore di identificare la nota attrice con la protagonista del film, alludendo forse che a tratti si parli proprio di lei. Dove risiede la verità? Nell’autenticità degli affetti, nella schiettezza dei giudizio? È fuori dal set cinematografico o è proprio il palcoscenico a rendere vero e concreto ciò che altrimenti sarebbe destinato all’oblio? Un meta-film che vuole farci cogliere le diverse facce del prisma multiforme che è la vita, ma non lo fa ricercando facili patetismi, bensÍ con una freddezza lucida e distaccata, che si serve di inquadrature e di una fotografia iperrealistiche, primi piani abnormi e mossi, quasi fosse il nostro occhio ad analizzare gli attori in campo, a sedersi al loro fianco e suggerire le prossime battute di questo dramma intimo e universale.
Al cinema dal 10 Ottobre
Jessica Sottile
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