Robert Iger è un nome che non fa parte della memoria mediatica e popolare del cinema, ma è un nome importante, fra i più importanti del movimento. E’ l’uomo che per 15 anni ha governato la Walt Disney. Un dato: il 40% degli incassi totali nelle sale americane, è rappresentato da film della “Disney”. Nel resto del mondo il numero si abbassa, ma… non di molto.

Flash back. Recentemente, nella prefazione del mio libro in uscita Dal libro al film, ragionavo sul rapporto fra letteratura e cinema. Nel quadro “Italia” ho attribuito a Federico Fellini il ruolo “di artista italiano del Novecento”. Non è stato semplice arrivare a quale nome. La leadership è emersa da confronti di generi e di influenze. Occorre un dato e una definizione che riguarda l’arte. Sto alla classicità e alla sostanza: le Arti intellettuali – narrativa, poesia, saggistica -, le Belle Arti – pittura, scultura, architettura. Arti serie, nobili. Dunque Fellini, da dove è emerso? All’inizio del secolo l’Italia propose un movimento artistico che voleva stravolgere tutto, bruciare i musei e le biblioteche, il Futurismo. Tommaso Marinetti firmò il manifesto ma non è l’unico nome che identifica il Futurismo. Non è esclusivo nei crediti. Ho considerato Pirandello, premio Nobel, scrittore del mondo. Ho soppesato a lungo la scrittura e il cinema. Pirandello rappresenta la letteratura alta e nobile, in un certo senso l’accademia. Fellini ha accorpato, in un insieme sincretico, le altre discipline, valendosi di scrittori, musicisti, scenografi del più alto livello. Ho scelto il cineasta. Valgono l’impatto e la qualità, e quella sua magia che è unica al mondo.
Ho poi esteso la ricerca alle maggiori potenze “artistiche” del pianeta. Lo spazio mi concede il focus sull’America. Così, di getto, Hemingway, lo scrittore più popolare d’America e non solo. Rimanendo nell’ambito della fucina di Chicago, si è espresso Frank Lloyd Wright, l’uomo che ha dettato, evoluto, parte dell’architettura e dell’urbanistica del Novecento. Un nome sfiorato è Andy Warhol, che con la sua intuizione “pop”, certo prodotto un’evoluzione, ma non ha scardinato l’arte come ha fatto Picasso in quel 1907 col suo cubismo. E poi ecco appalesarsi un nome, Disney, nel senso di lui, Walt (1901-1966) nome risolutivo. Dico che nella formazione di tutte le generazioni del secolo scorso, e anche di questo, Disney ci ha messo mano. Sono infinite le sue indicazioni: dalla rappresentazione dell’uomo medio americano, concreto, battagliero (Topolino) alla versione antropomorfa degli animali. Alcuni degli eroi animati: da Biancaneve a Cenerentola, a Bambi a Dumbo. E quella produzione geniale che è Fantasia. Fino a Mary Poppins, inutile dilungarsi. E credo che sia davvero difficile reperire fra le sue proposte, esempi che non siano buoni, efficaci.
Morto il gigante-inventore la Disney si è evoluta e si è espansa esponenzialmente, toccando tutte le forme dell’evasione e continuando a creare felicità. Sì, l’esplosione nucleare dell’azienda diventata un gigante del mondo, con 170mila dipendenti. Fine del “flash”.
Iger è stato l’ultimo leader che ha impugnato il testimone partito da Walt. Il manager ha letteralmente divorato il mercato. Ha acquisito la Marvel, significa Spider-man e Iron-man; la Pixar, la Lucasfilm, e le relative Guerre Stellari; ha versato 71 miliardi di dollari alle casse della Fox e si è appropriato della sua televisione e del suo cinema. In sostanza, i film di Hollywood che incassano miliardi sono quasi tutti della Disney. Il nuovo direttore generale della Walt Disney company è Bob Chapek, un veterano dalla compagnia. La fine della grande stagione di Robert Iger ha creato sorpresa e stupore ma l’ex “monarca” ha sdrammatizzato. Ha detto che fuori dal ruolo operativo potrà dedicarsi alla parte creativa. Qualcuno si è accorto che un uomo che ha dimostrato di saper gestire un colosso così articolato e complesso, potrebbe essere capace di gestire una nazione. Il nome Iger comincia a girare in chiave “Casa Bianca”.
Pino Farinotti
