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La fine di una stagione

Le giornate professionali di Riccione, ben organizzate e ben collocate in un paese con uno straordinario centro congressi, segnano in qualche modo la fine di una stagione cinematografica ma anche la fine della cinematografia nazionale, che presenta, come ultimo rantolo d’arte, solo il film di Sorrentino, oltretutto esibito da una distribuzione nuova, la Piperfilm, presieduta dal buon Massimiliano Orfei, ma diretta dalla signora Luisa Borella, quale testimone inequivocabile di una proprietà straniera e di una dietrologia straniera.

Se a prevalere come sempre non fosse l’ipocrisia, qualcuno di quelli che interpretano le strutture nazionali dovrebbe ammettere che la attuale stagnazione del settore dipende dall’eccesso di tax credit, dalla mancanza conseguente di risorse, dall’incapacità dei delegati di affrontare rapidamente la situazione e dalla altrettanto conseguente mancanza di autori e registi di talento.

Invece il refrain, il ritornello intonato dai vertici è sempre lo stesso: grande stagione a conferma della vitalità del settore, ripresa della centralità della sala, provvedimenti quasi pronti, e soprattutto…grazie alla Disney che ci onora dei suoi capolavori.
Incredibilmente l’esercizio, vale a dire il settore che mette le strutture e incassa, deve la sua sopravvivenza ai film/cartoni animati straordinari delle major straniere che non usufruiscono della “rivoluzione ministeriale” ma sono semplicemente ottimi prodotti, per noi inarrivabili. Il che vuol dire che la percentuale di fatturato dei film italiani è sempre più bassa, meno del dieci per cento. Gli stessi esercenti, interpellati in proposito, mortificati dai film nazionali, attribuiscono al tax credit la colpa della disastrosa qualità dei nostri prodotti, dei quali si sente la mancanza.

Ma se le sale riescono a sopravvivere con i film capolavoro stranieri, non altrettanto riescono a fare i produttori indipendenti, o almeno quelli realmente indipendenti e non tutelati da Rai Cinema o da Rai Fiction, strutture che rappresentano oramai dei moloch insaziabili cui non si può fare altro che offrire sacrifici umani.

Una volta, a parziale difesa del settore, esisteva l’Anica, che nonostante personaggi singolari come Cianfarani e Massaro, ma anche tramite uomini di grande equilibrio, come Manfredi Traxler e Paolo Ferrari, riusciva a rappresentare le istanze delle categorie nei confronti del Governo, intervenendo laddove sembrava necessario. L’ Anica di Rutelli ha modificato i propri assetti, intanto fornendo al Presidente un lauto stipendio e molte comodity, che prima erano assenti, ma soprattutto mettendosi di fianco al ministro Franceschini in una delirante politica di sostegni senza controllo che ha portato all’ attuale situazione di paralisi.
Ancora oggi la struttura sostiene che va tutto bene, e se c’è qualcosa che non va dipende dal Ministero e dai controlli non effettuati, come dire che la teoria era giusta ma l’applicazione talvolta no. Resta il dato formale che l’Anica ormai rappresenta solo le major che pagano i contributi e nessuno tra i produttori indipendenti che avrebbero bisogno di assistenza.
Ne è la prova clamorosa la presidenza dei distributori attribuita al direttore di “01”, che essendo azienda statale, e non rischiando in proprio, non dovrebbe nemmeno essere tollerata in Anica: ma come si sa quello grosso ha sempre ragione, anche se condivide il proprio listino con la “Leone Film Group”, che si approvvigiona con facilità sul territorio americano.

Pertanto con Riccione si conclude una stagione di insuccessi e di privilegi, di burocrazia e di attese, di vassallaggio ai distributori stranieri e di servilismo alle strutture statali, di continua ipocrisia, ma permane negli operatori la speranza che, pur con ritardo, si affacci all’orizzonte una nuova consapevolezza, con nuovi interpreti e nuove regole.

Delle nuove regole si sa poco, si vociferano percentuali e nuovi limiti, nella consapevolezza che il “bancomat” statale non potrà essere più così generoso e che come sempre, in ritardo in Italia, qualcuno pagherà per le colpe pregresse. Ma le centinaia di milioni di Euro finiti laddove non era necessario non sarà facile recuperarli, perché è facile immaginare che abbiano assunto un’altra fisionomia.

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