Che il cinema italiano, con il suo speciale tax credit, sia anche una fonte di guadagni illeciti, di speculazioni e di operazioni strumentali lo dico da anni e l’ho dimostrato più volte, ma che Rutelli presidente Anica oggi dia la colpa al Ministero per la carenza di controlli è più che paradossale, è la dimostrazione di quanto sia capace l’ex sindaco di Roma per ammortizzare tutto il suo precedente entusiasmo per il successo del cinema italiano.
Quella di Rutelli si chiama, in termini filosofici “morale eteronoma” ed è quella di chi passa col rosso se non c’è il vigile e si contrappone, secondo Kant, alla morale autonoma di chi prende coscienza dei limiti.
Anica si è posta come elemento strutturale della politica di Franceschini e la figura di Rutelli, fino a quel momento estranea alla vicenda cinematografica, è stata cooptata, in particolare su suggerimento di Lucisano, come fondamentale collegamento con il ministro.
Rutelli ha posto lì la sua base professionale, interpretando il ruolo di morbido assemblatore delle esigenze dei potentati, ed è diventato anche imprenditore, inventando una strana quanto invisibile ricorrenza annuale dal titolo Videocittà, anch’essa largamente finanziata dalle istituzioni.
Anica avrebbe dovuto tastare il polso dell’industria ed avvertire che la febbre stava salendo assieme al finanziamento pubblico, ma al contrario ha inneggiato ai continui slanci di Franceschini, che, mi auguro, del tutto incoscientemente ignaro delle conseguenze pratiche, con la sua visione politica ha inciso talmente nel profondo sul dna del settore per farlo diventare non più un elemento di cultura ma pane per il saccheggio di fondi statali e per speculazioni nazionali ed internazionali.
Anica ha applaudito in ogni sede, soprattutto festivaliera, al fatto che l’Italia fosse invasa dagli stranieri attirati dal miele del tax credit, ed ha partecipato come protagonista al banchetto, rilasciando interviste entusiastiche e ricevendo applausi.
Non si è ricordato Rutelli che già ai tempi di Veltroni si era verificato un fenomeno simile, quando la parola “culturale” aveva provocato la devastazione dei fondi pubblici: registi che fino al giorno prima ricevevano un corrispettivo di quaranta milioni, ne ottennero quattrocento, più cento per la moglie assistente, cento per un montatore e qualcosa per i nipoti. La “cultura” di Veltroni ebbe l’effetto di demolire l’industria, eliminare il merito, è di far evaporare quasi cinquecento milioni di “fondo rotativo” tramite film che poi lo Stato dovette digerire con la cosiddetta “cartolarizzazione”.
Sarebbe stato onesto da parte Anica comprendere che era il caso di intervenire per regolamentare il flusso dei fondi, esaminando con coscienza e non con l’attuale cattiveria il disagio del Ministero costretto da Franceschini a lavorare su norme incomplete e talvolta imbarazzanti, costretto a seguire l’onda delle richieste sempre più numerose e pressanti, costretto a subire la tracotanza di una sinistra artisticamente esosa e sorretta da Anica.
Invece oggi, nel momento in cui comincia a venire a galla l’indecenza di alcuni finanziamenti, e la Guardia di Finanza si accorge che qualcosa non torna nei costi del film, Anica dichiara che la colpa è di Borrelli che non ha vigilato, che il Ministero manca di dirigenti e che pertanto i produttori sono privi di responsabilità.
Dispiace ascoltare queste frasi, perché la mancanza di una seria presa d’atto delle proprie responsabilità rende tutto possibile, anche quello che non lo sembra.
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