Dal Canada ogni tanto arrivano sorprese davvero pregevoli e non mi pento di svelare così l’opinione positiva sul film già in apertura della recensione. Faccio invece ammenda per aver snobbato le precedenti opere del Quebecoise Denis Villeneuve, classe 1967, come “Sicario” e “Prisoners” ad esempio, perché non c’è solo mestiere nella regia, ma anche un originale ed interessante talento.
Dodici oggetti mastodontici appaiono nei più disparati punti del nostro pianeta, uno di essi è sospeso a pochi metri da terra in una valle del Montana ed il governo americano ingaggia la professoressa Louise Banks (Amy Adams), rinomata linguista, con lo scopo di comunicare con gli alieni e scoprire le loro intenzioni. Altre nazioni stanno cercando di scoprire se si tratta di amici o nemici ed alcune di esse, tra cui la Cina e la Russia, propendono per ritenere i visitatori come una minaccia. Prima che qualcuno perda la testa è quindi vitale che Louise ed il team scientifico composto da scienziati di tutte le discipline, tra cui il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner), stabilisca un contatto ed inizi a dialogare con gli esseri venuti da un altro mondo.
Adattato dal libro “Story Of Your Life” di Ted Chiang dal 47enne Eric Heisserer, sceneggiatore del fortunato remake de “La Cosa” (2011), il film è incentrato sul concetto di comprensione e comunicazione. In sanscrito il termine utilizzato per guerra, significa originariamente “desiderio di più mucche” e questo è l’esempio che la professoressa Banks utilizza per spiegare al colonnello Weber (Forest Whitaker) quanto è delicato il processo d’interpretazione e traduzione. Ci sono situazioni apparentemente chiare che invece celano substrati in realtà molto più complessi e questa è una verità che si applica non solo al contatto con esseri di un altro pianeta, ma anche quotidianamente tra i normali esseri umani.
Capire l’altro implica vedere il suo punto di vista, condividere il suo sistema di valori e di percezioni. Nel film spicca il mondo semplice e becero di causa effetto ove vivono i militari di tutto il mondo, uno status di non comprensione che può generare solo equivoci potenzialmente letali, contrapposto all’ambiente degli accademici impegnati ad immaginare un modo diverso , una modalità “altra” dalla propria, con cui vedere la medesima realtà. Nella trama del film ad esempio è centrale il concetto di tempo, che noi umani viviamo in maniera lineare come una serie di eventi che seguono uno all’altro con una connessione univoca, ma il contatto con gli extra-terrestri suggerisce l’ipotesi di un tempo che è invece circolare, con interconnessioni tali che rendono invece la nostra visione sequenziale inadatta a descrivere la realtà.
Anche la loro scrittura non è fonetica bensì è basata su ideogrammi circolari che esprimono nel medesimo unico segno numerosi concetti contemporaneamente. Imparare un’altra lingua cambia il modo di vedere la realtà. Secondo lo studioso Panos Athanasopoulos imparando il giapponese, in cui ci sono diversi termini per il blu chiaro e il blu scuro, il cervello arriva a percepire il colore in modi diversi ( Athanasopoulos et al., 2010). Per conto suo Federico Fellini era arrivato a teorizzare che: “Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita“.
Nel film Villeneuve ricorre al decadrage così come ad inquadrature capovolte o riprese in verticale per obbligare ad avere una visione differente dall’ordinario, un occhio nuovo per nuove situazioni. Così come anche l’uso frequente di primissimi piani, suggeriscono un’osservazione nel dettaglio anche di ciò che ci è noto; l’impietoso emergere di ogni difetto della pelle ricorda che la realtà è fatta di cose minute e spesso queste contengono imperfezioni. Non a caso la superficie degli oggetti alieni che appare come una forma lenticolare non è né liscia né perfetta, ma materica ed irregolare se vista da vicino (quanta differenza dal perfetto monolite di “2001 Odissea Nello Spazio” di Kubrick). La comprensione passa quindi attraverso l’osservazione, un’analisi attenta e scevra di preconcetti. Procedere alla comunicazione senza prima aver stabilito un terreno comune di reciproca comprensione può portare solo alla catastrofe.
Azzeccato e suggestivo anche il commento sonoro grazie al compositore islandese Jóhann Jóhannsson che aveva già lavorato con Villeneuve in “Sicario“e “Prisoner” oltre che con James Marsh ne “La teoria Del Tutto“. Si tratta di una colonna sonora volutamente “aliena” (che ricorda Bjiork come anche i Deep Forest) che ribatte lo sprone a voler approcciare a cose nuove con mente aperta e a vecchi preconcetti con mente nuova. Jóhannsson affiancherà Villeneuve anche nel sequel di Blade Runner e dopo aver visto Arrival devo dire che è diminuita l’ansia nell’attesa di veder metter mano ad un grande classico della fantascienza.
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