Si fa presto a dire Major

Carl Laemmle il promotore della Universal

Quando una casa di produzione diviene grande e piuttosto nota viene definita con un velo di ammirazione dagli addetti ai lavori e non: una Major (con la M maiuscola). Ma così come non si capisce bene quando qualche granello di sabbia inizia ad essere un mucchio di sabbia, non è altrettanto chiaro quando una società cinematografica può essere definita major e allora il termine viene utilizzato con incredibile facilità e spesso a sproposito. Innanzitutto va detto che il concetto è inscindibilmente connesso allo studio system americano (difatti major non è che la contrazione della definizione completa Major Film Studio), la cui nascita si può datare precisamente l’8 giugno del 1912 quando, grazie soprattutto all’iniziativa del produttore Carl Laemmle, venne costituita una nuova società cinematografica, la Universal Film Manufacturing Company, nel cui nome stesso traspare un’ambizione smisurata che non fu mai coronata in quanto restò sempre tra le 3 little major. Fa sorridere pensare che il primo tentativo di major film studio nacque come una realtà in funzione antimonopolistica contro la Motion Picture Patents Company conosciuta anche come “Edison Trust“. Sembra un paradosso ma la Universal fu una “indipendente”. Nel giro di due anni la Universal costruì uno studio a nord di Hollywood che fu l’embrione di un complesso celeberrimo ed ancora esistente noto come Universal Studios. Se si considera che ai quei tempi le società di distribuzione possedevano le sale cinematografiche è facile osservare come la Universal completi così il processo di integrazione verticale che va dalla produzione alla gestione dei cinema. Questo è il vero criterio costituente dello status di major. Non importa quanti film e di quale successo una azienda abbia prodotto, distribuito o proiettato, per essere definita major una società deve governare l’intera catena del valore.

Adolph Zukor produttore e dirigente Paramount
Adolph Zukor produttore e dirigente Paramount

In questo caso meglio sarebbe utilizzare il tempo del verbo al passato poiché nel 1948 il governo degli Stati Uniti d’America, vincitore di una vertenza che vide la suprema corte opposta alla Paramount Pictures (la seconda nata tra le major fondata nel 1914 sotto la spinta di Adolph Zukor e W.W. Hudkinson dall’unione di undici società di distribuzione), ingiunse alle major di vendere le sale cinematografiche, rompendo così un incanto durato comunque più di trentanni. Da ciò ne discende che ormai l’appellativo di major è come un titolo nobiliare che non può più essere né attribuito e né tramandato.

Douglas Fairbanks e Mary Pickford
Douglas Fairbanks e Mary Pickford

Molte società pur gloriose del passato non furono mai delle grandi major, tra queste forse la più famosa è la United Artist nata il 5 febbraio del 1919 sulla singolare iniziativa di due attori (Douglas Fairbanks e Mary Pickford ) e due registi (Griffith e Chaplin), che insofferenti alle pressioni che le major esercitavano sulla loro attività creativa decisero di promuovere autonomamente i propri film. Nonostante che la United Artist mise la propria firma su capolavori indimenticabili (si pensi solo a “La regina d’Africa” ed a “Mezzogiorno di fuoco”) non raggiunse mai quella dimensione d’integrazione verticale da entrare nel novero delle big.

il magnate Howard Hughes
il magnate Howard Hughes

Al contrario la RKO Pitcures (acronimo di Radio-Keith Orpheum) che fondata nel 1928 era tra le ultime nate, assurse rapidamente e pienamente al ragno di major, ma si ridusse man mano a poca cosa dopo essere capitata tra le grinfie del geniale e squilibrato Howard Hughes, che la smembrò e la vendette alla General Tire and Rubber Company dando così inizio ad una carambola di cessioni e incorporazioni che meriterebbe un trattato a sé stante. Il concetto di major è quindi storico oltre che aziendalistico ed è profondamente connesso al contesto americano. In conclusione le major sono 8: 5 grandi major (20th Century Fox, RKO Pictures, Paramount Pictures, Warner Bros e MGM) e 3 piccole major (Universal Pictures, Columbia Pictures e United Artists). Al giorno d’oggi nel mercato globale, per definire una major, non si può prescindere da una valutazione della dimensione anche geografica e dalle quote di mercato possedute e così il panorama che si ottiene è molto differente da un tempo e quel che si vede non ha più il fascino di una volta, ma per completezza dell’esposizione è giusto precisare che oggi le major sono 7 ed è scomparsa la suddivisione tra grandi e piccole, perché ormai bisogna per forza essere grandi. Esse sono (in rigoroso ordine di grandezza) Columbia, Warner Bros, Walt Disney (e pensare che nell’epoca d’oro era un indipendente!), Universal, Lionsgate Films, 20th Century Fox e Paramount Pictures. Se qualcuno quindi se ne dovesse uscire dicendo che quel produttore di casa nostra, per quanto grande, è una Major, siete autorizzati a prenderlo delicatamente per il gomito e, spostandolo, dirgli “ma mi faccia il piacere”.

Fantascienza tra i ghiacci delle dolomiti

Con la possibile eccezione del Western (quello classico ovviamente, non lo “spaghetti“) ormai tutti i generi sono stati sdoganati in Europa. C’è stato un tempo in cui un inseguimento, per essere credibile, doveva avvenire sulle infinite highways americane, così come un serial killer doveva operare ovunque tra boschi, villette e metropoli, purché all’interno dei confini degli Stati Uniti d’America. Gli alieni in visita si presentavano più o meno garbatamente alla Casa Bianca e persino i virus letali, se volevano l’alloro della pandemia come si deve, facevano bene ad incominciare a diffondersi oltreoceano. Ora per fortuna l’Europa ha riacquistato fascino ed internazionalità con le sue location che sono sempre più frequentate anche dalle case di produzione americane. Ghiacciaio di sangue poi è ambientato nel fantastico scenario delle Dolomiti che non fanno rimpiangere minimamente le Rocky Mountains. La trama magari non è originalissima ma non è per niente banale ed i tributi che Marvin Kren rende a John Carpenter contribuiscono a rendere il tutto estremamente DOC per gli appassionati del genere. Kren non è affatto nuovo ai virus ed i più maniaci ricorderanno il fortunato Rammbock del 2010, uno zombie movie prodotto con dovuti mezzi dalla ZDF e ben accolto dai festival di genere di mezzo mondo, ma in questo film il virus, pur centrale nella narrazione, non ha niente a che fare con i non morti ed ha il compito di introdurre una riflessione ecumenica circa il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. D’altro canto la casa di produzione Allegro Film (non fatevi ingannare dal nome italiano che si riferisce però alla terminologia musicale e denuncia così una provenienza rigorosamente viennese della società) ha sempre avuto il pallino dell’ecologia tanto da produrre eccellenti documentari cinematografici come “L’incredibile viaggio della tartaruga” (2009) e “Un mondo in pericolo” (2010), un grido d’allarme sull’estinzione delle api. In oltre 25 anni di onorata attività la Allegro Film non è mai stata in vena di colpacci mordi e fuggi ed anche in questo caso ha dotato Kren di mezzi finanziari adeguati alla realizzazione di un film Sci-Fi che risulti gradito al difficile palato del pubblico di appassionati del genere. Il film ha esordito a Toronto 3 anni or sono e nel frattempo ha vinto 4 premi (anche se tutti in casa propria) tra cui quello a Gerhard Liebmann come miglior attore. Esce ora il 20 marzo in contemporanea digital delivery e DVD grazie al distributore 30 Holding, che ha il merito di rimpinguare in Italia l’offerta di un genere negletto come la fantascienza.

Mortadello e Polpetta due agenti ormai non più così segreti

Continuano i fortunati remake di grandi personaggi dei fumetti vintage (si pensi anche solo ai Puffi ed al recentissimo film dedicato ai “Peanuts” di Schulz) con un nuovo lungometraggio di Mortadello e Polpetta che verrà finalmente distribuito in Italia da Twelve Entertainment  e Sommo Indipendent la prossima primavera. Nati in Spagna nel 1958 dalla fantasia del catalano Francisco Ibáñez Talavera, sono noti in tutto il mondo come Mort e Phil. Anche questo episodio che si intitola “Mortadello e Polpetta contro Jimmy lo sguercio” è stato scritto e diretto da Javier Fesser che già nel 2003 aveva realizzato il precedente lungometraggio intitolato “Spia + Spia 2 superagenti armati fino ai denti”. La casa di produzione è la madrilena Ilion Animation Studios che dopo “Planet 51” torna alla ribalta con questa nuova azzeccata commedia d’animazione dove i due agenti della T.I.A. (voluta presa in giro della ben più nota C.I.A.) sono impegnati in una missione piuttosto “implausible” come è definita giustamente nella versione internazionale del titolo.

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Perché proprio 35 MM?

Nel 1891 Thomas Alva Edison aveva già inventato il fonografo, la lampadina elettrica, il sistema di distribuzione dell’elettricità, dieci anni prima, insieme a Bell aveva fondato una compagnia telefonica, molte altre cose avrebbe fondato ed inventato negli anni successivi tra cui il dittafono, la stampante, il primo studio cinematografico, la “major” cinematografica ante litteram Motion Picture Patents Company, nota anche come Edison Trust, aggregando nove case di produzione dell’epoca. Insomma dobbiamo pensare un uomo di eccezionale dinamismo, dannatamente e perennemente straoccupato al quale un giorno un suo brillante assistente, tale William K. L. Dickson, domandò: “Quanto larghi devo tagliare i nastri di pellicola che sono arrivati dalla Eastman Kodak?” Non è difficile immaginarlo seduto ad una scrivania ingombra di un presepe di fogli, disegni, modelli, quaderni, regoli, squadre e calamai sulla quale il celebre inventore stava inseguendo una nuova intuizione quando rispose ad un tratto “35 mm”. Si badi bene, non disse “1 pollice” che con i suoi soli 2,54 cm e al netto dei fori per l’avanzamento del nastro avrebbe generato delle pellicole troppo sottili per ospitare anche i fotogrammi, ma neppure si fece influenzare dalla pur imperante egemonia delle unità di misura anglosassoni indicando un pollice e mezzo pari a 38,1 millimetri, invece il grande Edison rispose “35mm” pari a 1 pollice e 3/8, segno di un’innegabile tributo a Delambre e Mechain e soprattutto al sistema metrico decimale che contribuirono a fissare. Forse Edison fu influenzato dalla nomina a commendatore ricevuta dalla Francia nel 1878 (pochi anni dopo avrebbe addirittura ricevuto l’onorificenza della Legion D’onore) o forse, mi piace pensare abbia ceduto alla maggior duttilità del metro abbandonando le misure mutuate dal mercantilismo inglese così comode per il commercio, ma evidentemente meno pratiche nella scienza. Doveva essere una misura provvisoria, soggetta a successive verifiche ed eventuali miglioramenti. Rimase invece lo standard di fatto della cinematografia sino all’avento del digitale. Il buon Dickson praticò quattro fori per lato al fine di permettere ai denti delle ruote del kinetografo e della macchina da presa di far avanzare la pellicola e siccome anche la lama per affettare le enormi bobine della Eastman Kodak a sua volta aveva una sua irriducibile “fisicità” la larghezza esatta della pellicola risultò essere per l’esattezza 34.98 ±0.03 millimetri (pari a 1.377 ±0.001 pollici). Per il fotogramma restava uno spazio utile di soli 24 mm × 18 mm, con un rapporto d’aspetto di circa 1,33 (come quello degli schermi televisivi in formato 4/3). Con l’avvento del sonoro tocca ricavare spazio per la colonna sonora, per questo il fotogramma venne dapprima portato a 21 mm × 18 mm, con un rapporto larghezza-altezza di circa 1,16 e, in seguito, a 22 mm × 16 mm (dovendo calcolare dello spazio nero di riserva tra un fotogramma e l’altro), con un rapporto larghezza-altezza di circa 1,37. Quest’ultimo è il formato Academy, lo standard che di fatto denunciava ormai la potenza crescente dell’industria cinematografica americana. Quindi alla fine dei giochi non c’è una vera ragione per il 35 mm o se c’è essa risiede nella valutazione rapida e geniale di quell’uomo non comune che fu Thomas Edison. D’altro canto non è forse l’uomo la misura di tutte le cose (Homo omnium rerum mensura est)?

BAFF XIV edizione- dal 12 al 19 marzo Busto Arsizio ritorna capitale del cinema.

“Sguardi e punti di vista sul cinema italiano”, l’edizione di quest’anno del Busto Arsizio Film.  Il Festival regalerà ampio spazio alla commedia ricordando un dei suoi piú grandi interpreti: Dino Risi.

L’ omaggio al maestro del cinema italiano inizia al Baff per terminare a dicembre al Moma di New York che dedicherà a Dino Risi una retrospettiva.

Non solo cinema e proiezioni all’ interno del Baff ma anche progetti legati al cinema, in particolare prenderà il via Mostri 2.0, ideato dal Professor Gianni Canova, preside della facoltá di Comunicazione, Relazioni pubbliche e Pubblicità presso l’Universitá IULM di Milano. Il progetto ispirato alla pellicola del maestro Risi si propone di produrre per il prossimo anno 20 cortometraggi della durata variabile da 15 secondi a 15 minuti che raccontino i nuovi mostri che vivono all’ interno dei Social Media e che rappresentano uno spaccato della nostra contemporaneità.

Durante il Festival verrá proiettato inoltre il filmato realizzato dall’ Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni che racconta il progetto ” A regola d’ arte” promosso da MediaFriends
Onlus, che promuove la formazione di cittadini consapevoli attraverso interventi dedicati ai ragazzi nell’ambito dello sport e della musica. In particolare vedremo come l’ approccio ad uno sport di  squadra come il Rugby produce coesione, collaborazione ed accettazione delle regole.

Molte le anteprime tra cui segnaliamo “On air” il film realizzato da Radio 105 e “D.A.D.” di Marco Maccaferri.

Madrina di questa edizione la giovane e talentuosa Matilde Gioli, molto apprezzata nel film ” Il capitale umano”.

Segnaliamo inoltre la presenza speciale di Laura Morante che presenzierà alle serate di apertura e di chiusura del festival.

Raffaella Corradini

Attacco al Potere 2 (London has fallen)

Adrenalina e ovvietà nel sequel del fortunato thriller di Antoine Fuqua

Arriva al cinema il 3 marzo Attacco al potere 2, thriller ad alto tasso di adrenalina: stesso cast del precedente  (Gerard Butler, Aaron Eckhart, Morgan Freeman, Angela Basset), cambio di regia (Babak Najafi).

In una Londra che si prepara ai funerali del suo primo ministro, morto in circostanze poco chiare, accorrono tutti i leader mondiali per partecipare alle esequie. Una ghiotta occasione per i nemici della Democrazia (con la D maiuscola), per ordire un complotto senza precedenti: riusciranno il presidente degli Stati Uniti, interpretato da Aaron Eckhart, e il suo fidato capo dei servizi segreti, Gerard Butler, a salvare se stessi e il mondo da questo attacco all’Occidente?

Sceneggiatura non brillante in una trama scontata che punta tutto sugli effetti speciali e i combattimenti corpo a corpo (sembra di essere in un videogame). Il maestoso Morgan Freeman, che qui interpreta il vice-presidente degli Stati Uniti, viene relegato in un ruolo poco incisivo che non gli permette di esprimere le sue potenzialità.

Come è già accaduto in altre pellicole simili, non mancano le solite ovvietà: i leader mondiali, ad esempio, vengono dipinti con tratti ormai desueti ed anacronistici. Non sorprende quindi che il capo di stato più imbarazzante sia quello italiano, troppo impegnato ad ammirare il paesaggio, in compagnia di una bella e giovane donna, in una Londra (forse) sull’orlo del baratro.

Giovanni De Santis

PPZ – Pride and Prejudice and Zombies

Orgoglio e pregiudizio (Pride and Prejudice) è uno dei più celebri romanzi della scrittrice inglese Jane Austen, pubblicato il 28 gennaio 1813.
Il romanzo ha come temi principali (che danno il titolo all’opera) l’orgoglio di classe del signor Darcy e il pregiudizio della protagonista Elizabeth Bennet nei confronti di quest’ultimo. La trama si concentra sulle vicende della famiglia Bennet.

Detto questo, come si snatura un romanzo per assoggettarsi alla modo dei vari film alla twiligth, miscelando action, horror e ambientazione d’epoca, con le giovani figlie che fanno il verso a coraggiose cacciatrici di zombie e padrone (oltretutto) di arti marziali, che non si addicono agli esili corpi.

Il bene contro il male, il giovane altolocato che si innamora di una delle figlia di Bennet, siamo alle solite, con la colonna sonora che spara a mille vedi fast&furios e combattimenti alla Van Damme. Mentre non morti … o poco vivi, fanno la guerra agli altri.

Gli interpreti sono: Sam Riley (Maleficent) nel ruolo di Mr. Darcy, Douglas Booth (Posh e Jupiter – Il destino dell’universo) nella parte di Mr. Bingley, Bella Heathcote (Dark Shadows) in quella di Jane Bennet e Jack Huston (American Hustle – L’apparenza inganna) nel ruolo di Mr. Wickham.

CA VA SANS DIRE, questi sono i tempi… e i modi per portare al cinema i ragazzini, appassionati del genere zombie/action/horror.

Giovanni de Santis

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Rosso Mille Miglia

Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. (dal manifesto del Futurismo di Marinetti)

Ci voleva coraggio a sfrecciare su quei bolidi per mille miglia quando l’automobile non aveva compiuto che i primi passi e molto era ancora a venire. La meccanica era materia esotica che affascinava i futuristi e le corse erano faccenda di gentiluomini. Altrettanto coraggio ci vuole oggi per produrre un film al di fuori delle logiche tipiche dell’industria cinematografica quasi coeva dell’automobile e dagli sviluppi attualmente molto più incerti. Ecco perché si perdona al produttore, Lucere film srl, un product placement a tratti troppo smaccato, ma evidentemente necessario per poter portare a compimento un progetto ambizioso come questo film.

Maria Esse (Martina Stella) è una giovane giornalista affermatasi in Germania, ma originaria della provincia Bresciana, che torna in Italia per un servizio sulla corsa delle Mille Miglia. Il nonno era un famoso meccanico che negli anni ’30 correva la storica gara insieme al notabile del paese, proprietario di una OM 665 Superba. Ci fu un incidente seguito da uno scandalo e la passione dell’avo fu interrotta bruscamente. Ma non è questa l’unica zona grigia nella storia della sua famiglia. C’è un passato nascosto da una nebbia che il vento degli eventi è destinato a dissipare a beneficio di un presente radioso e tutto da vivere. E’ con il tono della commedia che Uberti affronta i temi delle relazioni umane e del rapporto tra l’uomo e la propria passione, reificata qui nel feticcio dell’automobile. Sono rappresentati i rapporti nelle loro declinazioni verticali ed orizzontali, ovvero tra le generazioni ed all’interno di esse; sotto l’aspetto, formale, parentale, amicale ed infine amoroso. Anche il rapporto con la passione per l’automobilismo non è che una sublimazione del rapporto amoroso, spesso anzi ne è un succedaneo,, con tutti gli inconvenienti che comporta. Ogni personaggio del film trova il suo doppio nell’autovettura a cui è legato. Ognuno guida un auto che lo rappresenta, una sorta di avatar in salsa cyber o steam punk, dove vi è una commistione intima tra uomo e macchina. Così Maria Esse guida una Mercedes molto in voga ai giorni nostri che sembra un prolungamento degli altri accessori tra cui spiccano dei trampoloni onnipresenti e tremendamente scomodi come il ruolo di donna inscalfibile che ha deciso di vivere. Marco (Fabio Troiano), Il giovane meccanico che correrà la Mille Miglia in coppia con Maria, possiede di suo un vecchio carro attrezzi OM (legame narrativo con la 665 Superba su cui correva il nonno di lei), ma il suo sogno è quello di correre su di una mercedes 300 SL del ’54 con le portiere ad ali di gabbiano, chiaro riferimento ad uno più profondo spirito visionario e libero. La coppia di amici , inseparabile come una pattuglia delle forze dell’ordine, non a caso correranno su di una vecchia Lancia della polizia. Ed infine la coppia formata dalla acida e rancorosa discendente del notabile che fu compagno del nonno di Maria e del di lei marito (Remo Girone) su di una Porche d’epoca, raffinata ed esclusiva, ma con u cuore straniero. Al di là del mistero in sé, la scoperta alla fine del racconto sembra suggerire che l’olio che lubrifica i rapporti tra le persone e la benzina che li fa muovere ed evolvere verso un futuro migliore non è legato alle glorie della competizione o alla passione per gli oggetti, pur rari e bellissimi che siano, ma sono la genuinità dei sentimenti e la grandezza del perdono. Sì perché il Futurismo con il suo inno all’uomo al volante,  nel frattempo è rimasto nel passato e noi si deve vivere in un inemendabile presente. Se la sceneggiatura e la regia a tratti non sono scevre da imperfezioni, c’è comunque una credibile prova corale di recitazione, che poggia su due pilastri indiscussi come Remo Girone e Victoria Zinny, la quale alla fine ci consegna una commedia intelligente che rifugge da parolacce, torte in faccia e tradimenti. Un’ottima ragione per andarlo a vedere, per tacer poi della scorpacciata di magnifiche auto d’epoca.

Corrado Parigi

Corn Island

La storia semplice e meravigliosa di un’isola dove cresce il grano e l’uomo preserva i valori più sacri

Tra la Georgia e l’Abkhazia scorre il fiume Enguri che origina dal ghiacciaio del monte Shkara, un rilievo che con i suoi oltre 5.000 metri è il picco più alto della Georgia. Ogni primavera, con lo sciogliersi delle nevi, l’Enguri trascina sedimenti verso il Mar Nero formando nelle sue anse delle isole di suolo tanto fertile quanto instabile. Sono isole destinate a durare una sola estate e che le piogge dell’autunno smembreranno per ricondurre i detriti verso la foce. Eppure ogni anno i contadini della zona s’installano su questi campi instabili per seminare e coltivare il granoturco, che raccoglieranno, si spera, prima dell’arrivo delle piene. Corn Island è la storia di un vecchio contadino che, con l’aiuto della giovane nipote, ripete il rito antichissimo di colonizzare e mettere a frutto un’isola nel fiume Enguri. Il passo del vecchio misura la lunghezza dell’isola, le mani saggiano la qualità del terreno, lo sguardo esperto valuta i pro e i contro della posizione e infine la vanga affonda nel ventre della terra che va mondata dalle pietre e difesa dalle improvvise piene. Il tempo è scandito dal ritmo del lavoro nel campo, la pesca nel fiume e la costruzione di un riparo, tutte attività fondamentali che non lasciano spazio a speculazioni. Dalle rive opposte, dove si confrontano i soldati georgiani e le milizie abkhaze, giungono rumori di spari e ogni tanto una lancia dell’una o l’altra parte, percorre il fiume in perlustrazione. “Nonno, a chi appartiene quella terra?” domanda ad un certo punto la nipote. “La terra appartiene a chi l’ha creata.” Risponde pragmaticamente il nonno, incapace di spiegare la pazzia che ha portato due popoli perfettamente integrati da secoli a combattersi con ferocia inaudita da neanche trent’anni. E’ per questo che quando un soldato ferito giunge sull’isola non si domanda a quale etnia appartiene e se ne prende cura, come è naturale e umano che sia.

Il tema della disintegrazione culturale e sociale, ancor prima che politica, del proprio paese è reso simbolicamente da questo incredibile ed allo stesso semplice racconto di George Ovashvili (leva 1963). Un film girato con sobria e toccante poesia, dalle immagini così evocative e dalle sequenze così eloquenti che non sorprende che i dialoghi siano rarefatti e deputati esclusivamente ad esprimere fattualità altrimenti inesprimibili. Il vecchio contadino è interpretato da Ilyas Salman, un attore turco più noto in patria per le sue parti brillanti e che stupisce in questa pellicola per l’intensità della recitazione non verbale. La nipote è interpretata da Mariam Buturishvili, una giovanissima attrice georgiana alla sua prima prova e forse proprio per questo così calzante in un ruolo che richiede una indispensabile genuinità. Se con il suo precedente film The other bank (Gagma Napiri 2009) Ovashvili affrontava il tema del viaggio iniziatico, con Corn Island vuole ribadire come i valori universali dell’uomo non hanno patria e bandiera e non poggiano su una terra sempre troppo mutevole e farraginosa per costituire le fondamenta di un edificio etico;  bensì albergano in ciascuno di noi, si nutrono di cose semplici e si tramandano di generazione in generazione, depositandosi come i sedimenti di un fiume a formare una concrezione che chiamiamo tradizione.

Il film è giunto in Italia grazie alla distribuzione di CINEAMA che l’ha portato in sala con un’edizione sottotitolata e che con un po’ di malizia è possibile rintracciare nei cinema della propria regione.

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Andrés Rafael Zabala, regista di “A DARK ROME”

En el pasado Festival de Cine Fantástico de Torremolinos, tuvimos el placer de conocer a Andrés Rafael Zabala, director de “A Dark Rome”, un thriller con toneladas de humor negro, rodado con escaso presupuesto, pero muchas dosis de talento y buen hacer.

Adquirido el compromiso de visionar previamente la obra, con el fin de así ofreceros una mejor opinión, al tiempo que una entrevista más completa, un servidor ha podido disfrutar de un pase privado, gentileza del propio realizador, y como paso previo a la habitual batería de preguntas, os dejamos, a modo de ilustración, nuestro propio análisis del film.

Agradecer a Andrés, el material gráfico enviado a tal efecto para la entrevista, que contiene imágenes exclusivas de la película, las cuales podéis disfrutar en primicia.

A Dark Rome

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 Sinopsis: Patrick, un joven artista del tatuaje, entra a trabajar en un centro de belleza de la capital romana, al que asisten como clientes una buen número de sacerdotes. Con un gran ansia por ocupar el puesto de Frank, amigo que le ha recomendado, hace ver al jefe del centro, un peligroso individuo, que su mujer tiene un romance secreto con él, sin saber que está a punto de desencadenar una serie de acontecimientos nefastos para su persona.

Partiendo de una base tan disparatada como eficaz, que alude al consumismo banal del propio clero romano, Andrés Rafael Zabala ha construido un film curioso, que comparte y recorre con acierto algunos lugares comunes de la capital transalpina, dibujado con un sutil acabado estético, y un aroma narrativo profundamente irónico, que seguro hará las delicias de aquellos que busquen cierto tono de frescura e irreverencia, bastante más fácil de rastrear en el cine de corte independiente.

Un trabajo muy estimable, que sabe embarcar hábilmente al espectador en su ingeniosa mezcolanza de géneros, que transitan desde la comedia a lo criminal, e incluso a un tipo de cine espectral, refugiado con gran solvencia en esa oscuridad a la que alude el título, factor omnipresente y destacado de la cinta.

Es así como se perfilan los oscuros callejones físicos y morales de un film noctámbulo, que contempla la arquitectura empedrada de Roma como un testigo mudo del pasado, y que sencillamente recoge siglos de historia en su haber, convirtiendo la silueta del Castillo de Sant’Angelo, tan cercano a la curia Vaticana, protegido por sus característicos guardianes de piedra, casi en un inquietante y deseado personaje más de la trama.

Buen nivel interpretativo, para un grupo de actores aquí más bien desconocidos, pero que saben aportar buenas dosis de credibilidad a sus perfiles, que en algunos casos requieren de cierto esfuerzo, por la complejidad de adoptar ciertas decisiones, que seguramente, y en manos de alguien menos implicado, podía haber afectado al tono general de la obra.

Finalmente, recomendar si reservas este paseo por esa Roma oscura y vanguardista, da gusto ver que aún existe gente con capacidad e inventiva en un universo cinematográfico tan sobresaturado por la mediocridad, algo de lo que sabe aislarse el film, para crear un discurso genuino y envolvente, de esos que se quedan impresos en la memoria.

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Entrevista

– Antonio Alcaide: Ante todo enhorabuena Andrés, la película me ha gustado mucho más de lo que esperaba, es muy dinámica, nada aburrida, y administra muy bien los recursos a su alcance. Imagino que la acogida debe ser muy buena, háblanos de ello.

– Andrés Rafael Zabala:  Primero, muchas gracias por la atención que han prestado a mi película, y por esta entrevista. Por suerte, confirmo que a día de hoy, la cinta ha sido seleccionada por 9 festivales en Italia, Estados Unidos, Canada y España, y ha encontrado un distribuidor internacional, la 30 Holding.

A DARK ROME será presentado en los majores mercados, como el EMF, European Film Market, durante la próxima Berlinale del 2016, entre muchas otras películas de medio y alto presupuesto.

– A.A: Sentimos gran curiosidad por saber en que medida, puede la Iglesia Católica haberse tomado mal esa genial idea de un centro estético para sacerdotes, ¿ha habido algún tipo de reacción al respecto?

– A.R.Z: En Italia hay una comisión de censura para obtener la aprobación necesaria con la que conseguir su salida cinematográfica. Esta comisión esta compuesta por 8 personas entra las cuales tiene que estar un representante de la Iglesia Católica Romana, a veces és un sacerdote, y otras un miembro de una asociación Católica.

Normalmente uno les manda el film y ellos ponen un sello, en cambio cuando vieron A DARK ROME me llamaron y me hisieron algunas preguntas. Yo les recordé que en la película ningún sacerdote está directamente implicado en actos criminales (si bien son confesores de criminales – pero eso nunca fue un problema para ellos), los sacerdotes van al centro estético, pero no les hacen nada que se desvíe de las normales atenciones que se pueden recibir en esos centros, no hay escenas de sexo ni de droga ni de violencia de parte de ninguno de ellos. El representante de la Iglesia me pidió explicaciones sobre los tatuajes y yo le recordé que en mi film ellos simplemente se hacen tatuar cruces y imágenes de ángeles.

Además añadí que yo no veía nada de malo en que un sacerdote actuara de dicha forma. Finalmente, no sabían que hacer, pero me pusieron el sello para que A DARK ROME pudiera estrenarse (con un voto de 6 a favor y solo 2 contrarios).

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Lo importante es que no encontraron argumentos validos como para prohibirla, la verdad, con toda la violencia, amoralidades e injusticias sociales presentes en el cine “main stream”, hubiera sido injusto que A DARK ROME, que tiene además un tono de humor negro y surrealista pagara lo que otros no pagan.

Las reacciones del publico “real” son otra cosa y por lo que veo hay gente a la que A DARK ROME gusta menos y otra que lo atrapa y que se divierte. Difícilmente encontrarán alguien a quien la película lo ha dejado indiferente, y eso para mi es muy importante. Si me regalas 93 minutos de tu tiempo te debo mostrar algo qua antes no habías visto, una historia que nadie te había contado. Hay que respetar el tiempo de los demás. El tiempo es lo mas precioso que tenemos.

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– A.A: ¿De donde, o como surge la idea para A Dark Rome?, Son varios los géneros que contempla, ¿se pensó así desde un primer momento, o surgieron nuevas lineas argumentales durante el rodaje?

– A.R.Z: Yo quería hacer un film que expresara lo que pienso sobre el sentido de culpa, creo que es interesante como cada uno de nosotros encuentra el modo de vivir con el sentido de culpa, y como buscamos una salida propia de esa situación.

La verdad és que yo nunca entendí la confesión en la Iglesia Catolica Romana, supongamos que yo te hiciera algo de malo a ti, y voy a pedir el perdón a Dios, a través de un sacerdote, el cual decide cual será mi penitencia, ¿tú estarías contento conmigo? No por nada tantos mafiosos se ha descubierto como Católicos muy fervorosos, y eso ha llevado a curas que frente a un juez han dicho que ellos tienen el derecho de proteger el secreto de la confesión, lo que realmente protege a muchos criminales feroces.

Si tu me vienes a confesar un crimen yo debo ir a la policía, un sacerdote puede no hacerlo, un sistema que funciona así desde el medievo. Esto creo que es una problemática moral muy seria, pero yo también creo en el poder de la sonrisa. Pensé entonces a como la Iglesia se ocupò por siglos de la estética de sus tiempos, los más grandes artistas de la historia han trabajado para los Papas de Roma, pero los sacerdotes no deberían practicar el “culto del cuerpo”, Se me ocurrió entonces la idea del centro estético para curas como ambiente en el cual un joven busca la solución a su sentido de culpa.

La mezcolanza de géneros, es a mi modo de ver lo que ha producido el mejor cine que he visto en los últimos 30 años, como es el  horror/non-sense de El Jovencito Frankenstein”, de Mel Brooks, el thriller/noir/comedia negra de “Reservoir Dogs”, de Quentin Tarantino, la “comedia negra/noir/surreal de “El gran Lebowski”,” de Los Hermanos Coen, o films de guerra/románticos como el “El Paciente Ingles”, de Antony Minghella.

Yo intenté construir la historia de A DARK ROME con un cambio de ritmo constante, entre el thriller/ghost movie y la comedia negra, como el algunas canciones de los Led Zeppelin o de los Red Hot Chilli Peppers, que se caracterizan por un constante cambio de ritmo.

Vivimos inmersos en un mundo multicultural, caracterizado por un absurdo capitalismo frenético, vivimos demasiado en nuestro propio mundo, todo es una experiencia similar al Zapping televisivo, moverse entre dos o tres atmósferas diferentes ya es limitar nuestra experiencia de vida por un par de horas. No estamos acostumbrados a concentrarnos es una cosa, ni en una atmósfera única, por más de algunos minutos. Por eso creo que tienen éxito las películas como las que he citado, no solo porque son grandes films.

El problema de nuestro PATRICK en A DARK ROME es dramático, pero como en la vida, lo trágico a veces se hace ridículo, y las situaciones en las cuales el joven tatuador se encuentra en esta Roma son tragicómicas, como a veces lo son también en nuestra vida.

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Yo trabajo siempre con un Storyboard que sigo durante cada día de rodaje, no puedo trabajar bien sin estar preparado, sin un proyecto de dirección. Lo que he cambiado ha sido el montaje, porque la primera versión no me convencía. En esta re-edición me ha ayudado Piero Spila, guionista y critico cinematográfico, el cual hace muchos años fue uno de mis profesores de cine. Yo que hoy soy profesor de cine (en la RUFA, Rome University of Fine Arts), igualmente fui a buscar a mi ex profesor para un consejo, “Solo se que no se nada” (Sócrates). Ahora, finalmente, parece que A DARK ROME funcione.

– A.A: Cuéntanos algunas anécdotas del rodaje, seguro que debe haber cientos de ellas, ¿con cuales te quedas?, y en esa línea, los actores están estupendos, ¿que tal el trabajo con ellos?

– A.R.Z: Te cuento dos. El día que rodamos los exteriores por la mañana del puente de Sant’Angelo, James Butterfield/“Don Paul”, ya estaba vestido de sacerdote, pero tenía que esperar una media hora, porque estábamos terminando otra escena, entonces al pasear por el centro vestido de “Don Paul”, se para en un bar, pide una copa de vino blanco y cuando va a pagar, el tipo encargado de cobrarle le dice que él no tiene que pagar nada.

Otra se desarrolla junto a una de las fotos que les he enviado. El día en el cual rodamos la escena del vivero de plantas, por la noche, que conlleva un diálogo en el cual en la misma imagen está el cadáver de FRANK (Michael Schermi) y su fantasma. La persona que habíamos llamado para ser el extra que interpretaba el cadáver no vino, y yo era el único hombre grandote casi como Michael, entonces me hicieron el tatuaje sobre el brazo izquierdo que iba a ser filmado, me tire en el suelo, me pusieron encima unos gusanos que tenían un olor terrible, me acoplaron los auriculares, y me dieron el monitor portatil en la mano derecha. Así dirigí la escena, sin poder casi ni respirar, dado que estaba muerto. Terminamos al salir del sol. Eso significa hace cine independiente, bastante diferente de la idea que muchos tienen sobre lo que significa ser un director de cine.

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Yo reúno a todos los actores antes de tomar decisiones, y de firmar. Antes de rodar A DARK ROME tuvimos casi tres semanas de pruebas. Eso es muy importante para que los actores mismos puedan improvisar libremente, para que inventen el personaje junto a mi, en un momento en el cual todavía no esta la presión del set, del poco tiempo para rodar, de los problemas técnicos que resolver. Cuando llegamos al set ya sabíamos lo que queríamos hacer. Yo completo el Storyboard durante las pruebas con los actores, dado que al verlos probar a veces ellos sin querer me sugieren como rodar una escena.

Para mi, la dirección tiene que ser de uno solo, pero hay que saber apreciar la creatividad de todos los que trabajan en un film, y coordinarla.

-A.A: Queremos saber más de ti, cuales son tus influencias, y que películas o series tienes de cabecera.

– A.R.Z: Lo más importante para un realizador no es ver mucho cine,sino vivir eventos o leer cosas que lo estimulen para crear nuevas imágenes. Leyendo un libro, cada uno de nosotros se convierte en director de cine, por lo tanto, en vez de mencionar a todos los grandes directores que admiro, prefiero citar de la historia mundial de la literatura a Donatien Alphonse Francois de Sade, Franz Kafka, Robert Luis Stevenson, William Sommerset Maughman, Edgar Alan Poe, Herbert George Wells, Dashiel Hammett, Jim Thompson, Raymond Chandler, y Jorge Luis Borges. También a Julio Cortazar, Osvaldo Soriano (algo de Argentino soy), y de los Estados Unidos,  Charles Bukosky, Don De Lillo, Chuck Palaniuk, Lawrence Block, ¿cuantas paginas me dan? ¡Ah!, no quiero olvidar a Joe R. Lansdale, me encantaría poder rodar una de sus historias.

Cada uno de estos escritores me ispiran, me llenan emociones y de imágenes que me gustaría filmar, sin el temor de imitar a otro director, porque la elaboración sería mía, y no rodaría la cinta basándome el la creatividad de otro cineasta.

Dicho lo cual, si  hay que citar a algún cineasta, yo no soy religioso, ¡pero creo en Stanley Kubrick!

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-A.A: Rodar con apenas pocos miles de Euros debe supone toda una odisea en los tiempos que corren, imaginamos que la crisis afecta tanto o más de lo que parece, ¿ha sido difícil en ese sentido completar el film?

– A.R.Z: Es muy difícil completar un film en estas condiciones, ¡pero se puede!. En A DARK ROME han trabajado detrás de la cámara muy pocos profesionales (a veces yo era el único) y 10 estudiantes de cine de la Rome University of Fine Arts donde enseño. Ellos me dieron la fuerza y la posibilidad de realizar este film en 40 diferentes locaciones de Roma, de un total de 33 dias de rodaje, con 37 actores angloparlantes o Italianos, que sabían inglés, sin una gran producción, todo esto es muy difícil, repito no es fácil pero se puede hacer.

Yo además tengo la suerte de trabajar con mi mujer, Rosanna Fedele, la cual además de ser actriz, “GRETA”, es una cantante (la canción original del film) y dado que es una diseñadora de moda, se encargo de crear todos los retratos que se ven en en la galería de arte, que en el film representan las obras pintadas por “Patrick”. El cine independiente da también la posibilidad de expresarnos a 360 grados.

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Siento también la necesidad de manifestar agradecimientos a mi madre la Abogada Ana Messuti (que muchos conocen en España) por haber creído en mi por tanto tiempo.

El mensaje más fuerte que lleva consigo “A DARK ROME”, es que gracias a las nuevas tecnologías digitales, cámaras y software, hoy un film – si tiene un guión que sea un guión y que este bien rodado – puede competir con un film de medio o a alto presopuesto – puede ser seleccionado en grandes festivales en todo el mundo, ser visto por críticos importantes, encontrar distribuidor al igual que películas realizadas con presupuestos decenas o cientos de veces más altos. Eso significa un gran sacrificio, mucho tiempo, pero también, supone para nosotros la independencia total. Yo escribí y hoy escribo lo que se me pasa por la cabeza, sin pensar que le va a gustar o menos a otro. El cine es una forma de expresión artística, y el Arte no pide dinero, pide ante todo, libertad.

– A.A: Tu espacio personal, para que añadas lo que creas que no te hemos preguntado, o cualquier cosa sobre el film que creas conveniente. Desde Fusion Freak agradecemos tu tiempo, que sabemos escaso, y esperamos nuevas noticias tuyas en un futuro cercano.

– A.R.Z: Para el futuro, estoy trabajando a dos cosas, el posible desarrollo de “A DARK ROME”en una serie de televisión, creo que la idea del centro estético para curas da para divertirnos mucho más, y los del Vaticano, llenando las paginas de los diarios de todo el mundo, por ejemplo el escándalo “Vatileaks”, día por día con nuevos sucesos de corrupción, parece que me quisieran ayudar en el marketing televisivo de la futura serie de “A DARK ROME”. Leyendo esas cosa uno ve claramente que la realidad supera siempre la fantasía.

Ademas de el proyecto de la serie, estoy escribiendo un nuevo guión y la maravillosa Ciudad Eterna con sus “testigos de piedra” – como ustedes los han definido en la introducción a esta entrevista – serán de nuevo parte del casting. Les puedo decir algo más, el nuevo guión esta basado en una adaptación a la Roma del 2015 de un cuento que originariamente estaba ambientado en Lóndres a de fines del 1800. El escritor que me ha ispirado este próximo film es un señor inglés, no se si lo recuerdan, un tal Herbert George Wells.

¡Muchas gracias a Fusion Freak por esta entrevista, y un “saluto” desde UNA ROMA OSCURA!

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