Molto più suggestivo con il suo titolo originale “The Autopsy of Jane Doe” esce anche in Italia grazie a M2 l’ultimo film di André Øvredal, classe 1973, autore del fortunato “Troll Hunter” (2010).
Sulla scena di un crimine particolarmente efferato dove è stata sterminata un’intera famiglia viene rinvenuto il cadavere di una giovane donna incredibilmente intatto e di cui si ignora la causa della morte e la sua provenienza. Nella piccola contea rurale dove è avvenuto l’eccidio l’obitorio è nel piano interrato della residenza privata dove vive e lavora l’anatomopatologo (Brian Cox) assistito dal giovane figlio interpretato da Emile Hirsh (ebbene sì pare che in America succede anche questo).
Come di consuetudine negli ambienti della polizia statunitense viene attribuito alla defunta un nome fittizio, Jane Doe per l’appunto, in attesa di scoprirne la reale identità. Jane o John Doe a seconda del sesso è lo pseudonimo utilizzato per indicare un perfetto sconosciuto o anche l’uomo qualunque, come molti ricorderanno dal film di Frank Capra “Arriva John Doe” (1941). Durante l’autopsia il corpo della sconosciuta presenta sin da subito inquietanti anomalie che si accompagnano a sinistri avvenimenti che progressivamente trasformeranno un lavoro di routine in un incubo spaventoso.
Sapiente regia ed interpretazione di gran livello di tutti i pochi attori. Persino la morta, interpretata da Olwen Catherine Kelly, ha un effetto alquanto disturbante e quindi efficace per la bisogna. Accurate ed impietose le sequenze dell’autopsia che tolgono la curiosità di come si interviene su un cadavere come farebbe la celeberrima Kay Scarpetta dei romanzi di Patricia Cornwell. Un sound mix che fa da complemento ad una eccellente fotografia amplifica l’effetto terrorifico che si propone il film. La distanza dalla perfezione è segnata da una trama non originalissima che delude chi ha già compiuto i trent’anni e dal suo sviluppo che risulta un po’ stiracchiato per i comunque neanche 90 minuti che dura il film. Avrebbe riempito più agevolmente i 50 minuti che costituiscono l’ora cosiddetta commerciale su cui sono improntate le serie TV.
Il recente lutto della moglie dell’anziano medico costituisce un felice espediente che da spessore ai personaggi ed aiuta ad entrare in empatia con le loro vicende, ma chi si aspetta che rientri funzionalmente nella narrazione della storia rimarrà deluso ed è un peccato perché è un’occasione persa per gli sceneggiatori Ian B. Goldberg e Richard Naing di riannodare tutti gli elementi in presenti nella vicenda. Il film regge bene fino a circa metà, quando poi, dipanandosi l’arcano, diventa una sequenza prevedibile dei noti meccanismi e trovate del genere horror. In sintesi: dalle premesse poteva risultare un film memorabile, si perde invece nel prosieguo così che risulta in cima al carnet dei film da vedere solo se avete meno di trent’anni.
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