Regia: Todd Haynes
Cast:
Mark Ruffalo, Anne Hathaway, Tim Robbins, Bill Camp, Victor Garber, Mare Winningham, William Jackson Harper, Bill Pullman, Louisa Krause, Kevin Crowley, Daniel R. Hill, Denise Dal Vera
In un periodo storico dove la denuncia ambientalista e le campagne contro gli sprechi, o peggio, gli scempi delle grandi multinazionali sono sempre più sotto l’occhio attento dell’opinione pubblica e della stampa, questo legal thriller porta sul grande schermo una vicenda giudiziaria che, anche se piuttosto nota, merita di essere mantenuta viva nella memoria collettiva. Perché di una questione che riguarda la collettività si tratta.
Siamo a Parkersburg in West Virginia. La storia – resa nota nella sua interezza circa tre anni fa da un articolo uscito sul New York Times Magazine “The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare” di Nathaniel Rich – è quella dell’avvocato Robert Bilott (nell’eccezionale interpretazione di Mark Ruffalo), che torna nella sua città natale per dare ascolto alle lamentele di un contadino amico di famiglia. L’uomo gli mostra le sconcertanti condizioni delle sue mucche, oltre che a strani fenomeni che coinvolgono la sua proprietà. Emerge dai suoi racconti che nelle vicinanze del suo terreno il colosso DuPont abbia alcuni stabilimenti e in passato si sia più volte offerto di acquistarlo a poco prezzo per poterlo poi trasformare in una discarica, ma incontrando ogni volta la sua opposizione tenace.
Da questa testimonianza piuttosto insignificante e di dubbia credibilità, Bilott inizia a inserirsi nelle maglie di una storia che pare avere contorni sempre più torbidi. Il colosso DuPont è peraltro uno dei clienti dello studio legale presso cui lavora l’avvocato, così il caso inizia a costruirsi da solo quando, poiché Robert, spinto dalla volontà di fare solo qualche verifica, inizia a studiare buona parte della documentazione a cui – grazie alla sua posizione – ha accesso e si imbatte presto in una verità che mai avrebbe pensato di trovare. Ritorna continuamente tra le carte il nome di una sostanza, PFOA (acido perfluoroottanoico), che non risulta classificata in alcun registro della società di controllo statale sulla qualità dell’acqua ma che sarà la chiave per aprire un caso che assume sempre più le sembianze di un vero e proprio buco nero.
Così, proprio come questo misterioso elemento astrale, una forza di gravità esponenziale risucchierà il protagonista in un’estenuante causa legale di ben 19 anni.
Quello che era partorito in sordina diventa per Robert Bilott il caso più grande a cui abbia mai lavorato, la ragione di vita nella quale identificherà non solo la sua carriera professionale ma tutta la sua esistenza, nella disperata volontà di dare voce e giustizia a tutti i cittadini, prima del West Virginia e poi di tutt’America. Sì, perché la sostanza che inquina le acque di questo stato è la stessa che compone pentole antiaderenti, materiali da cucina e rivestimenti di tutto il mondo sotto il nome più noto di Teflon.
Potrà un uomo, da solo, con il potere contro e spesso anche gli affetti, che in più frangenti faticano a capire il senso di questa battaglia, dimostrare che il sistema non è immobile ma che può essere scalfito?
Un film, diretto da Todd Haynes (già molto apprezzato per il film Carol del 2015), che mette inscena in modo netto i giochi di potere e le la corruzione endemica di un sistema, quello americano, in cui verità, libertà e cura del cittadino sono spesso soggiogate al potere di multinazionali senza scrupoli e dei loro interessi e si inserisce in un filone già bel consolidato di battaglie legali che da Erin Brockovich (2000) arriva fino a The Post (2018). Buffalo è perfetto nei panni del protagonista avendo già tastato il terreno di questo genere ne Il caso Spotlight (2015).
Al cinema dal 20 febbraio, anche il resto del cast è degno di nota, capeggiato dall’impeccabile Anne Hathaway (nelle vesti della moglie di Bilott ) e che vede tra le sue fila anche il convincente Bill Pullman.
Jessica Sottile
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