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Cinema e libertà

Pupi Avati è certamente l’ultimo grande regista della vecchia scuola ancora in attività, e assieme al fratello Antonio è ancora in condizione di attirare alla prima di un suo film centinaia di persone tra le quali in primis il Presidente della repubblica.

Duea, la società degli Avati, fa parte della folta schiera degli indipendenti che ancora credono che fare un film sia un lavoro serio e non una speculazione sui contributi. Non ci scordiamo che Pupi Avati si dimise da presidente di Cinecittà quando si accorse che qualcosa non andava nel verso giusto e che Livolsi si occupava di finanza e non di cinema.

Andrea De Liberato, piccolo produttore super indipendente ma cinefile di alta classe, si è rovinato due anni di esistenza per produrre il film di Peter Greenway Walking to Paris .

E’ successo di tutto , la Rai lo ha aiutato e poi mollato, il Ministero anche , ma alla fine ,dopo aver superato in più una grave malattia , è riuscito a portare a termine la pellicola di nazionalità italiana più bella di questi ultimi anni. Racconto poetico ma non solo, crudo talvolta, sicuramente rivoluzionario.

IL ministro Franceschini, invece di preoccuparsi di accrescere la ricchezza dei ricchi, dovrebbe sapere che nel mare magnum dei prodotti inguardabili e invendibili che il tax credit ci sta consegnando, esiste una perla rara.

Solo i produttori indipendenti, lo ribadisco a chiare note, nell’Italia cinematografica che ci tocca subire, sono in condizione di far nascere qualcosa di nuovo, come in fondo è stato il documentario su Morricone di Andrea Occhipinti l’unico che ancora non ha venduto la società agli stranieri.

La burocrazia non produce arte, ma solo privilegi, e nel nostro paese abbiamo tanti privilegiati e pochi artisti.

Anche tra gli attori domina la burocrazia, o si fa parte di qualche parrocchia o nessuno ti chiama o peggio ti sperimenta.

Abbiamo assistito a attrici quasi comiche diventate ispettrici di Polizia, cronaca nera, di tutto e di più, senza alcun ragionamento commerciale.

Almeno prima Saccà aveva uno scopo preciso anche se non condivisibile, ma oggi manca anche quello.

Piccoli bellissimi film come My Italy del maestro Colella sono passati quasi inosservati mentre prodotti assurdi come il film di Mainetti sono stati realizzati nonostante il loro costo equivalesse al bilancio del Mali.

Ho sempre sostenuto che la libertà è un ingrediente indispensabile per la creazione di un’opera, e la borghesia, la convenzionalità, i cerchi  magici, le complicità, gli imbrogli, le speculazioni, limitano a tal punto la libertà da soffocare qualunque capacità, che è già dote rara indipendentemente da tutto.

Registi non si diventa facilmente, e ottimi registi raramente, ma occorre tanto lavoro, tanta predisposizione, carattere e immaginazione.

Fare il produttore non è un lavoro semplice, ci vuole coraggio, determinazione, senso comune, cinismo, pulsione interna, e se sei un contabile, un burocrate, un uomo disciplinato produttore non lo diventerai mai, o rischi di schiantarti alla prima prova.

Fare l’attore è un mestiere ancora più complesso devi avere personalità, ci devi credere e gli altri la devono subire. Diversamente sparisci.

Ma la regia, la produzione, il mestiere di attore possono anche diventare un modo per passare il tempo, e tutti alla fine diventano mestieranti, senza arte né parte, destinati a rifornire le piattaforme.

In fondo è sempre meglio che lavorare in miniera.

Avv. Michele Lo Foco

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