Ella e John sono due coniugi nel pieno della terza età, anche se hanno più di qualche acciacco sono stanchi di rimanere rinchiusi in casa con i figli che diffidano e si preoccupano della loro insicura anzianità; fra un medicinale e l’altro e continue cure mediche, hanno sete di una nuova autonomia, vogliono fuggire dal monito di un’ospedalizzazione forzata, sentirsi liberi e ritornare a vivere. Quale idea migliore se non rispolverare il vecchio Leisure Seeker (un “camperone” da campeggio stile anni 70) e farsi un viaggio on the road come ai vecchi tempi? All’epoca si che erano giovani sposi e le responsabilità erano solamente le loro, con i figli bambini o poco più. Fra le vicissitudini, gli incontri lungo il viaggio e i ricordi che passano, più o meno lucidi, come diapositive, tra rappresentazioni e rimandi, emergono un po’ alla volta vecchi elementi nascosti. Il viaggio diventa rievocazione della vita tutta, in primis come rinascita ma anche come espiazione e bilancio finale.
Di road movie in road movie, Virzì dopo la “Pazza Gioia” ritorna al cinema tracciando un collegamento sul genere, anche se si trova a fare i conti con la cultura americana ed una storia d’amore coniugale, si focalizza tuttavia, come nella precedente opera, su due interpreti che prendono in pugno tutta la scena. In questo caso sono due anziani e mostri sacri del cinema anglofono: Helen Mirren e Donald Sutherland.
Virzì non scrive una sceneggiatura originale ma trae ispirazione da una novella di Michael Zaadorian. La prova non era semplice, difficile portare il proprio bagaglio legato ai temi e agli stilemi tipici della commedia all’italiana in un contesto e in un plot che italiano non è. Ok un budget diverso, d’altronde siamo in una coproduzione internazionale, la troupe italiana e il film è tecnicamente perfetto, però non era per niente scontato il risultato complessivo. Laddove cambia lo scenario, infatti, Virzì si distacca un po’ dalla satira di costume rispetto al solito, fa prevalere la commedia più pura e l’aderenza ai due protagonisti con il loro personale esistere, tragico e comico. Probabilmente è una scelta narrativa e poetica che a qualcuno può piacere e ad altri meno, in ogni caso il regista di Livorno mantiene in auge il suo modo unico di guardare e raccontare i personaggi. Di certo Virzì va adagio con l’America, non esagera. Il film scivola in modo classico, come richiede il genere nelle sue più tradizionali asserzioni, e quasi due ore ci passano bene. In questa storia di passione e devozione, ricorrono le citazioni continue dei racconti poetici di Hemingway, una delle ossessioni ripetitive dello smemorato John, e molti esilaranti episodi che caratterizzano in più di qualche gag la vita di coppia dei due amanti.
Guardando quest’opera nel contesto della filmografia di Virzì forse non si percepiscono grossi upgrade, se non oltre i confini geografici. Nel contesto statunitense, nelle componenti culturali, linguistiche e del costume, Virzì probabilmente non riesce a dire la sua e a far trasparire l’autenticità tipica come in altri episodi passati, tuttavia una certa empatia, un pathos, seppur in maniera diversa ce lo fa vivere tutto, in una comunque riuscita seppur più misurata aderenza al reale, facendoci appassionare ad un bel racconto con più di qualche sorriso e qualche malinconica “lacrimuccia”.
Lorenzo Ceotto
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