Edmund Gustav Husserl è stato un filosofo e matematico austriaco fondatore della “fenomenologia”, disciplina che designa lo studio dei fenomeni in ambito filosofico per come questi si manifestano, nella loro apparenza, alla coscienza intenzionale del soggetto, ed in sostanza nel modo in cui si manifesta la realtà.
Per Husserl la parola fenomeno non indica semplicemente il modo di apparire delle cose ma è il ritorno alle cose stesse: una sedia ci può apparire in tantissime versioni, colori, materiali, ma c’è una caratteristica che non può mancare la “sedibilità” cioè la funzione per la quale esiste. Se non mi ci posso sedere quell’oggetto vario non è una sedia.
Il ritorno alle cose stesse è il ritorno alla sostanza dell’apparire.
Fenomeno è però ciò che appare, e certamente il cinema è un prodotto fenomenico, nel senso che ciò che vediamo, e che sappiamo essere creato ad arte per raffigurare e significare, non è sostanza ma ambisce ad esserlo per lo spettatore.
Pertanto qual’ è la caratteristica che costituisce il ritorno alle cose stesse applicato al cinema?
Cosa deve avere il cinema per essere un fenomeno dotato di anima? Come la sedia deve essere sedibile il cinema deve essere emozionante, comprendendo questo participio tutte quelle sensazioni che alterano la nostra indifferenza e che spaziano tra il divertimento ed il dramma.
Il cinema, come tecnica delle immagini, come copia degli avvenimenti e della realtà, non può non suscitare una qualunque sollecitazione, perché nel caso contrario, ed è purtroppo una eventualità molto diffusa, non essendo dotato di anima, non è nulla se non un oggetto inutile.
Lavorare ad un oggetto inutile è pertanto come costruire una sedia sulla quale non ci si può sedere, o una bicicletta con la quale non ci si può muovere, e l’unico risultato ottenibile è la frustrazione, che è quello stato psicologico derivante da un mancato bisogno o quando si è bloccati nel soddisfacimento di un proprio desiderio.
Adattando la teoria di Husserl al cinema, applicando la fenomenologia ad un prodotto filmico, non si può non rilevare che anche un film deve avere caratteristiche tali che lo rendano realtà utile ed integrata nella società, che anche un film debba avere un’anima che gli consenta di esistere.
E’ pertanto disonesto e fuorviante considerare che l’anima di un prodotto audiovisivo sia il tax credit o l’intervento pubblico, e questa deriva, che Husserl condannerebbe certamente, non è che un modo di travisare l’anima di una realtà sociale che ha accompagnato l’evoluzione dei costumi ed ancora collabora attivamente al loro equilibrio.
Fenomenologia, filosofia e settima arte possono in definitiva congiungersi e collaborare per raggiungere il risultato di dare un’anima vera al prodotto filmico, cancellando le apparenze che non sono sostanza ma solo speculazione ed illusione.
Avv. Michele Lo Foco
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