Questo 15 novembre Francesco Rosi (1922-2015) avrebbe compiuto cento anni. Ed è legittimo anzi doveroso, ricordarlo. Rai Movie ha organizzato una “Maratona Francesco Rosi” dove passano molti dei titoli fondamentali del regista.
Nel panorama del cinema italiano, quando era grande e dettava legge, il suo nome ci sta. In una certa chiave ha dominato un genere, quello della cronaca raccontata attraverso la fiction drammatica. Rosi ci metteva del suo, ed era sempre un contributo che dava qualcosa di più, in chiave di potenza narrativa, di rigore e di morale, e non era mai improprio. Diceva: “Cercare con un film la verità non significa voler scoprire gli autori di un crimine, ciò spetta ai giudici e poliziotti, i quali lo fanno a volte a prezzo della vita e a loro va il nostro pensiero riconoscente. Cercare con un film la verità significa collegare origini e cause degli avvenimenti narrati con gli effetti che ne sono conseguenza”
I contatti di Rosi giovane non sono banali. È aiuto regista di Visconti in La terra trema. In seguito lo sarà di Antonioni e Monicelli. Sceneggia Bellissima di Visconti e collabora con Emmer e Zampa. I primi titoli da regista sono La sfida (1958) e I magliari, già promettenti. Ma nel 1962 ecco Salvatore Giuliano, col quale fa il salto
di qualità.
La sintesi. Secondo il suo stile Rosi usa il bandito Giuliano, quasi una leggenda degli anni quaranta italiani, ucciso, -forse, ci furono polemiche- dai carabinieri il 5 luglio del 1950, per estendere il racconto agli interessi economici e politici della mafia siciliana.
Come Luchino Visconti, che ha attinto ai grandi autori delle letterature prevalenti, anche Rosi si affida a quella base sicura e garante, a scrittori come Sciascia, Carlo e Primo Levi, Lussu, Garcia Màrquez. Nei suoi racconti Rosi ha sempre espresso un rispetto sacrale del master letterario. Un modello esemplare Cristo si è fermato a Eboli dove il regista usa integralmente la prosa preziosa di Carlo Levi, che è anche il protagonista del film, interpretato da Gian Maria Volonté, che è stato l’attore simbolo di Rosi, chiamato a dare corpo e volto a Mattei e a Lucky Luciano.
Titoli fondamentali della filmografia. Le mani sulla città (1963): una denuncia della corruzione durante gli anni del boom economico. Il film valse al regista Il Leone d’oro a Venezia. Un secondo Leone arrivò “alla carriera” nel 2012. Rosi si applica a una visione diversa della prima guerra mondiale con Uomini contro (1970) adattato dal libro Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu. Affronta un caso di cronaca scottante con Il caso Mattei (1972), Palma d’oro a Cannes. In La tregua, dal romanzo di Primo Levi, racconta il rientro a casa, struggente, dello stesso Levi (Turturro) sopravvissuto ad Auschwitz. Il regista si rifà al premio Nobel Garcia Màrquez in Cronaca di una morte annunciata (1987)
Ma il punto più alto della sua ricerca è forse Cadaveri eccellenti. In quel 1976 Rosi dirige un film certo allarmante e profetico. Magari da rivedere con attenzione. La vicenda. In un paese immaginario (ma immaginabile) vengono uccisi alcuni alti magistrati. L’ispettore Rogas concentra i suoi sospetti su un farmacista, ma quando la catena di omicidi raggiunge la capitale, le indagini si spostano sulle frange dell’estrema sinistra. Rogas, però, riesce ad ottenere le prove di un disegno eversivo che coinvolge le stesse alte sfere dello Stato. Ne informa il segretario del Partito comunista, ma entrambi saranno uccisi in un agguato. Falsa e sviante la versione
della polizia. I compagni del segretario, pur non ignorando la verità, rinunciano tuttavia alla conquista del potere ritenendola prematura. Primo film sulla “strategia della tensione”, ricavato da Il contesto di Sciascia.
Pino Farinotti