Regia di Andrea Adriatico.
Un film con: Nicola Di Benedetto, Sandra Ceccarelli, Antonio Catania, Tobia De Angelis, Lorenzo Balducci.
“La battaglia di Mario Mieli, prima ancora che per l’omosessualità, è stata quella per la liberazione e la felicità di ogni persona”, tiene a specificare Adriatico, regista del film che racconta la vita dell’attivista, nelle sale a partire dal 12 marzo.
Mario, o Maria, come si faceva anche chiamare, fu, nei primi anni settanta, tra i fondatori del movimento omossessuale italiano. Ma non fu solo e semplicemente questo. Fu anche poeta, pensatore, filosofo (a modo suo), attore e scrittore. Einaudi, infatti, sempre in quegli anni, pubblicava il saggio “Elementi di critica omossessuale”, in cui Mieli racchiudeva il suo pensiero e il suo concetto di transessualità.
“Gli anni amari” è l’ultimo e ambizioso film di Andrea Adriatico, scritto insieme a Grazia Verasani e Stefano Casi, prodotto da Cinemare con Rai Cinema e in collaborazione con Pavarotti International 23 srl, e distribuito da I Wonder Pictures.
La pellicola, in sostanza, ripercorre, raccontandola fedelmente, la figura e la vita di Mario Mieli, nato a Milano nel 1952, ma di origini egiziane, proveniente da una ricca famiglia borghese di stampo conservatore e penultimo di sette figli. Si diploma al liceo classico Giuseppe Parini di Milano, passando la sua adolescenza tra i locali e la vita notturna di Parco Sempione.
Si traferisce poi a Londra, dove conosce finalmente il mondo dell’attivismo. Tornato in Italia si unirà ad associazioni come “ Fuori!” e comincerà a pubblicare saggi, a scrivere su riviste e a partecipare a programmi televisivi fino a diventare una figura di spicco nel panorama culturale italiano degli anni settanta. Le sue armi, dunque, sono le parole, la letteratura, la poesia e il teatro. Armi che usa per tentare di delineare un mondo più aperto e moderno. Se le sue sono idee grandi e potenti, lui si rivela, invece, un ragazzo con un’anima sensibile, tormentata, fragile.
Un’anima incastrata in una società, incarnata perfettamente dalla famiglia, che è ancora troppo legata, aggrappata a quegli ideali e valori di tipo borghese che lui cerca di mettere in discussione. Tutto questo non farà altro che portarlo alla depressione e al suicidio nel 1983.
Il film si pone, quindi, come obbiettivo principale quello di far riscoprire, di mettere nuovamente sotto i riflettori, una figura scomoda ma rivoluzionaria, “cantore di una generazione che voleva fortemente uscire dalla repressività, attraverso soprattutto la creatività”, come spiega Grazia Verasani. Non dimenticando, poi, tutte le altre figure, più o meno importanti, che gli hanno gravitato intorno, immerse in quegli anni controversi, pieni di novità, portatori di cambiamenti a livello sociale, politico e musicale.
Mario Mieli è interpretato con attenzione e intensità da un giovanissimo attore, alla sua prima esperienza cinematografica: Nicola di Benedetto. Si percepisce il suo lavoro di immedesimazione, attraverso gesti, comportamenti, voce e abbigliamento. Nel cast, tra giovani e nuovi attori, però, ritroviamo anche quelli di un certo calibro come Antonio Catania e Sandra Ceccarelli, che interpretano rispettivamente il padre e la madre di Mario.
La regia appare totalmente al servizio della storia, una storia presentata in modo chiaro e semplice, così come la sceneggiatura che, sottolinea Adriatico, è “basata su un attento lavoro di ricerca e di studio compiuto su documenti e testimonianze reali riguardanti la vita e il pensiero di Mario”. Ad arricchire e completare il tutto l’uso delle musiche dichiaratamente ragionato.
Saranno stati anche anni amari quelli in cui si è trovato a vivere Mario Mieli ma la voglia di riscatto, di emancipazione, la voglia di esprimersi liberamente, di essere riconosciuti, di far valere i propri diritti, senza più temere pregiudizi, recriminazioni, offese e insulti, degli omosessuali sì, ma anche più in generale dell’essere umano in sé, fanno del suo racconto qualcosa di eccezionale, veicolo di un messaggio positivo, pieno di speranza. Un messaggio che è di un’attualità disarmante. Un messaggio che è racchiuso perfettamente nelle parole gridate nel film: “ Noi non siamo malati, siamo felici!”.
Eleonora Aureli
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