Italo Petriccione, pluripremiato direttore della fotografia, nonostante un David di Donatello vinto nel 2004 con il film ” Io non ho paura” e, prima ancora, l’ Oscar assegnato a ” Mediterraneo” nel 1991, ha ancora l’ aria e la semplicitá di un ragazzo che parla del proprio mestiere come un’ artigiano della luce e del colore.
Lo incontro poco prima dell’inizio di una lezione magistrale presso l’ ICMA di Busto Arsizio, atteso da una folta platea di giovani studenti, futuri professionisti del cinema.
Italo Petriccione si mostra generoso ed accogliente con gli studenti, parlando volentieri di sè e della sua arte; uno di quei rari casi in cui il talento non è solo manifesto ma anche didattico.
Come si diventa direttori della fotografia? Qual’ è stato il tuo percorso?
Dopo aver maturato esperienza come fotografo, sopratutto di still life, presso alcuni studi milanesi, ed aver incontrato alcuni produttori come Minnie Ferrara e Bruno Bigoni, mi sono avvicinato al cineclub Obraz di Milano dove mi sono formato in termini di conoscenza del cinema, grazie alle bellissime rassegne da loro organizzate . Mi sono poi iscritto alla scuola di cinema Albedo, che prevedeva l’ ammissione di solo 20 partecipanti, dove per un anno e mezzo abbiamo lavorato fianco a fianco con importanti professionisti, é stato un periodo meraviglioso.
Terminata la scuola la situazione era durissima e il lavoro era poco e difficile da ottenere, quando stavo per gettare la spugna sono stato preso dal teatro di posa ‘ Ferrante Apporti’ e, dopo qualche lavoro gratis, sono stato preso come assistente operatore.
Quando e come avviene l’ incontro con Gabriele Salvatores con cui hai realizzato 14 film, vinto un Oscar, un David di Donatello e con il quale tutt’ora collabori?
L’ incontro con Gabriele è avvenuto in giovane etá ed è stato prima personale che professionale; avevo circa 12 anni e lui era il fidanzato di mia sorella e trascorrevo molto tempo con loro. Per me è stato da subito una persona speciale e, dopo la scomparsa di mio padre, è diventato un punto di riferimento; lo considero un fratello maggiore.
Il primo film realizzato insieme è stato “Marrakech express” nel 1988 che, nonostante il budget limitato, solo 7 settimane di riprese, la troupe che di spostava in bus, riscosse un ottimo successo e fu un vero e proprio piccolo caso cinematografico. Da lì il produttore del film ha adottato il principio ‘ squadra vincente non si cambia’ e quindi la collaborazione è felicemente continuata con ” Turnè” e poi con ” Mediterraneo” che vinse l’ Oscar.
Dei tanti film girati, non solo con Salvatores, ma anche con la Comencini, con Corsicato, Virzí, D’ Alatri, per citarne alcuni, qual’ è stato il più complesso e quale di maggior soddisfazione?
Il primo film che mi ha fatto dire : “bravo, mi sei piaciuto” è stato ” Denti” perchè è un film che mi ha permesso di entrare in una dimensione più onirica ed emozionale. Il fatto che il protagonista fosse sotto effetto di analgesici ed avesse delle visioni mi ha permesso di essere più ‘ fantasioso’ e ho potuto fare cose che mi sono piaciute molto ed utilizzare obiettivi particolari con un fuoco spostato.
“Io non ho paura” è stato senz’ altro il film che mi ha dato grandi soddisfazioni e che mi è piaciuto molto girare. Sul set avevo la possibilitá di visionare quotidianamente il girato con Salvatores e con il resto della troupe e questo ha contribuito a creare un atmosfera condivisa da tutti i professionisti coinvolti: costumisti, scenografi, operatori di ripresa. È stato importante percepire il coinvolgimento emotivo di tutti, che è poi sfociato nel grande successo del film. Inoltre per la fotografia di questo film ho fatto delle scelte artistiche azzardate e coraggiose che si sono rivelate vincenti.
Nel corso degli anni la tecnologia è molto cambiata, che impatto ha avuto sul tuo lavoro?
Enorme. Il modo di lavorare si è completamente modificato. Adesso passo la maggior parte delle riprese lontano dal set, davanti ad un monitor, sotto una tenda nera. Solo così mi è possibile vedere il risultato della mia impostazione della fotografia e quindi dell’ atmosfera del film. Adesso a fine giornata il girato è molto simile al risultato finale del film.
Con l’ avvento del digitale che è più sensibile, elastico e duttile, la luce viene utilizzata a dosi inferiori. Io cerco comunque di lavorare sempre con la luce per cercare l’ atmosfera che ho in mente e di non accontentarmi di quello che c’ è altrimenti l’ immagine rischierebbe di sembrare più simile ad una trasmissione televisiva o al giornalismo di cronaca, oppure si rischia di doversi affidare in post produzione ad un colorist, che però rischia di uniformare un pò troppo il colore e di compromettere quindi il risultato finale.
Le macchine da presa digitali sono sofisticate e duttili e hanno grandi potenzialità. Purtroppo il mercato tende a sfruttare l’ innovazione tecnologica per levare e non per andare in profonditá.
Cosa ti auguri nel futuro?
Come prima cosa mi auguro di sopravvivere (ride). La situazione del cinema italiano è sempre più difficile e le sale cinematografiche fanno sempre più fatica a riempirsi.
Personalmente mantengo alta e sempre viva la mia naturale curiositá verso le nuove tecnologie continuando ad essere propositivo nella mia professione.
Ai giovani che intraprendono questo mestiere auguro di essere in grado di utilizzare al meglio le nuove tecnologie e non di esserne usati come, sempre più spesso, accade.
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