Negli anni 20 il cineasta russo Lev Kulešov pare avesse attuato un esperimento per l’epoca rivoluzionario di cui però non è giunta alcuna prova evidente. Un’inquadratura dell’attore Ivan Mozžuchin fu montata con tre immagini raffiguranti una tavola imbandita, una donna nuda e l’immagine del cadavere di una donna o un bambino.
Gli spettatori avrebbero avvertito nell’attore emozioni differenti di fame, desiderio e tristezza. L’esperimento dimostrerebbe che l’immagine non ha un significato in sé, ma è il contesto conferito dal montaggio ad indurre un certo significato nella mente dello spettatore. Si pensi alla scena finale de “Il Padrino” (1972) quando alle immagini del battesimo sono alternate quelle delle esecuzioni disposte da Michael (Al Pacino), il nuovo capo famiglia. La dissonanza tra le due situazioni, il sangue degli eccidi e l’acqua benedetta della cerimonia religiosa, danno tutta un’altra percezione dell’atmosfera sacrale del battesimo e della espressione assorta di Michael.
Indipendentemente del fatto che l’esperimento sia realmente avvenuto o meno, la concezione che ogni immagine è condizionata da quelle precedenti e successive in un’iterazione complessa la si ritrova nel cinema russo d’avanguardia a cui si deve la visione del montaggio come la vera sintassi del cinema il quale è da intendersi come una autentica lingua (nel cinema infatti le immagini parlano anche senza il dialogo) e quindi dominata da regole precise proprie.
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