Caro Formatore,
nelle precedenti recensioni abbiamo toccato importanti temi della gestione del personale e “Le ricette della signora Toku”, di Naomi Kawase, ci permette di riassumere alcuni punti chiave, affrontando il tema della motivazione, che non avevamo ancora discusso.
Sentaro, interpretato da Masatoshi Nagase reduce da un bellissimo cameo nell’ultimo film di Jim Jarmush “Paterson”, cucina Doriyaki (dolci giapponesi ripieni) in un chiosco di città per ripagare un debito che lo lega a vita alla padrona del locale. E’ demotivato e tende a ricadere nell’alcool, che gli ha già creato parecchi problemi.
Si presenta la signora Toku (Kirin Kiki)per avere un posto di aiutante, ma lui la respinge, in quanto troppo vecchia e malandata.
Dopo qualche giorno lei porta una confezione di ripieno per Doriyaki, che lui assaggia, rimanendo sorpreso per il sapore sublime.
Accetta quindi che l’anziana signora, la cui richiesta economica è al limite del simbolico, inizi a lavorare come assistente (la sua richiesta economica è praticamente simbolica). L’arte della signora nel preparare il ripieno porta subito i risultati. Passione ed talento della signora Toku fanno aumentare i clienti in modo verticale.
Un triste finale però è dietro l’angolo, in quanto si viene a sapere che la signora Toku vive nel ricovero per i lebbrosi alla periferia della città (pur essendo ormai curata, la malattia di Hansen era ancora attiva in Giappone fino a dopo la II guerra mondiale ed i pazienti erano ricoverati in strutture chiuse) .
Oltre ciò l’antipatica padrona del locale tenta di imporre il proprio viziato nipote come collaboratore. Trattasi di un giovane viziato e chiaramente poco abituato alla “fatica”.
Basato sull’omonimo romanzo di Durian Sukegawa il film aprì la sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2015.Nonostante ciò il film non è stato accolto positivamente dalla critica, in quanto ritenuto troppo “sdolcinato”, ma si rivela utilissimo per chiarire che:
1) il talento non ha età.
Come stanno scoprendo molti manager ed imprenditori, il “talento”, ovvero la dotazione dell’individuo porta in dote e non può essere insegnata, è diffuso ma raro. Il talento è diffuso in quanto ogni persona possiede risorse, ma è raro in quanto l’attitudine o potenzialità (sinonimi di talento in contesto professionale) per quel tipo di lavoro si trova solamente in poche persone. Cosicché risulta antieconomico escludere una persona che abbia la potenzialità per un determinato lavoro a causa dell’età o per altri fattori che non siano la mancanza di attitudine. Quante ricerche di personale sottolineano che il candidato deve essere bravo a lavorare in un team, ciò che sottintende che deve evitare di mostrare qualsiasi tratto di personalità autonoma durante la fase di selezione.
Escludere quindi candidati per tratti del carattere (accade molto frequentemente) oppure perché non si adattano alle consuetudini organizzative (ad esempio l’orario di ufficio), può portare a scegliere candidati molto “allineati” ma che non faranno la differenza. Perché, per fare la differenza, l’unico ingrediente essenziale è il talento.
2) La selezione del personale non va fatta “di pancia”, ma tramite un’analisi che utilizzi adeguati strumenti.
il test Voight-Kampf di Blade Runner
Abbiamo già approfondito il tema della valutazione dei candidati, che è una fase cruciale dei processi HR. Troppo spesso i valutatori, sia manager che specialisti, si fanno fuorviare da segnali che non dovrebbero essere considerati, perdendo di vista ciò che va analizzato, ovvero la capacità attuale ed eventualmente la potenzialità del candidato. Per fare ciò servono test mirati, mentre il “colloqui” risulta uno strumento molto impreciso.
3) La motivazione origina dall’anima della persona e non dal manager.
Continuiamo a leggere, anche nella letteratura specializzata, che i “Leader” debbano “ispirare” i collaboratori. Purtroppo i “leader”, intesi nel senso della letteratura specialistica, sono rari, senza contare che spesso sono all’origine di grandi disastri.
Le ricerche più recenti dicono che i lavoratori che si motivano nonostante i loro capi. Le motivazioni che mantengono la loro forza nel tempo non si radicano nell’innamoramento per un’idea trasmessa da un “leader” carismatico. Senza voler nulla togliere alla potenza della “Vision” come agli strumenti che devono orientare i gruppi di lavoro, la signora Toku ci insegna che la passione per il lavoro nasce da dentro la persona, da una psiche fatta di segni e significati personali quanto indistruttibili, in quanto radicati nella storia profonda dell’individuo.
Il film di Naomi Kawase ci insegna quanto poco un Curriculum Vitae rappresenti le risorse che fanno la differenza: passione e talento.
Luigi Rigolio
No comment yet, add your voice below!