caro formatore,
se Ken Loach, maestro del neo-realismo, è paladino e cantore delle vittime della società capitalistica, Aki Kaurismaki, l’allievo, è semplicemente dalla parte dell’essere umano. Non solo gli ultimi ed i derelitti ma anche gli imprenditori ed i capi sono illuminati dalla “pietas” del regista finlandese. Siamo tutti “vittime” e se c’è un nemico, quello sembra più la Burocrazia, il gigantismo alienante delle grandi istituzioni.
“L’altro volto della speranza” è la risposta a “Full Metal Jacket”. Kubrik, poeta del puro pessimismo, della disperazione, dell’assenza della speranza, rappresenta il Potere come il Male assoluto, un cancro che ha il solo scopo di perpetuarsi. L’obiettivo di “Full Metal Jacket” non inquadra energie morali, non rappresenta la solidarietà: niente di positivo sotto il sole.
Kaurismaki, scrutando il fondo del medesimo barile, vede la speranza; tramite la sua scrittura minimalista, senza fronzoli e senza illudere, rappresenta un essere umano che tende, per quanto in modo maldestro ed irreale, al bene.
Un cargo di carbone arriva in Finlandia e, dalla nera polvere, emerge Khaled, un profugo siriano completamente votato alla ricerca della sorella, dispersa nella diaspora. Nella scena di apertura, il codice del testo filmico, lo stralunato protagonista emerge letteralmente dalla polvere di carbone del Cargo ove si era nascosto. Dalla polvere emerge un rifiuto, un uomo da “riciclare”. Ed è proprio nei rifiuti (umani) che si trova l’energia per il futuro. E’ nei profughi, nei diseredati, negli ultimi che si trova il “fertilizzante”.
Khaled, assunto in un ristorante drammaticamente sterile, popolato di personaggi di cartapesta, porta ad una sorta di rinascita della squadra. La mancanza di idee, di clienti, di un menù proponibile si trasformano in positività grazie alla presenza di un profugo e di un cane spelacchiato (e di una clamorosa colonna sonora).
Persino la violenza, il Totem di Kubrik, in Kaurismaki genera fratellanza e positività, riducendo la distanza tra le classi sociali. L’alchimia passa dallo Humor, l’invisibile risorsa (ma non è dallo Spirito che nasce tutto?) che strappa il riso della sala. Kaurismaki ci costringe a sentire ciò che non si vede, grazie ad un magistrale uso della sottrazione filmica. Il suo scopo: “riciclare” l’essere umano, ri-formarlo.
Apparentemente non ci sono, dentro l’”Altro volto della Speranza”, reali spunti da portare in aula, sebbene la rappresentazione dei meccanismi del gruppo sia estremamente efficace; quando il “buon diavolo” che dirige il ristorante chiede un anticipo dello stipendio, il sig. Wilkstroem, l’improbabile Titolare, acconsente sussurrando: “Non dirlo per favore agli altri dipendenti…”. Avuto il denaro, il Direttore esce dall’ufficio mostrando il pollice alzato agli altri dipendenti che aspettavano a loro volta di fare altrettanto. Quale miglior assist per i partigiani della trasparenza…
Ti starai chiedendo, caro formatore, cosa fartene di questo film strampalato?
Un famoso consulente americano, arrivato alla pensione, disse: “Ho speso tutta la vita ad insegnare ai manager a fare i manager. Se penso ai risultati ottenuti, penso di aver sprecato la mia vita…” Quando lo sforzo di “trans-formare” l’uso del potere ci sembra vano, Kaurismaki, con il suo neo-umanesimo, con la sua pietas minimalista depurata di ogni retorica (l’assenza dei segni della “Leadership” è totale!), ci rimotiva, ci spinge ad andare oltre le apparenze, per amore dell’essere umano più che per calcolo.
In un mondo senza veri colpevoli, dove la speranza è un comandamento e lo “humor” la chiave, Kaurismaki rianima la motivazione: “Provaci ancora, formatore…”
Luigi Rigolio
per approfondire
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