Non c’è nulla di più dominante nel settore dello spettacolo della falsità e dell’ipocrisia.
Ne è testimonianza l’intervista a Rutelli (che va ricordato favorì la cessione di Cinecittà ad Abete e di Mediaport a Ferrero come punte di diamante della sua gestione), il quale dimentico dei suoi anni di gestione Anica favorita da Lucisano (che lo riteneva amico del ministro), e dopo aver concordato un lauto stipendio prima inesistente, oggi si allea con la Borgonzoni nel dichiarare che… sì, ci sono stati errori e abusi, ma sono dipesi dalla malignità di alcuni produttori e dalla mancanza di controlli, e oggi domina la trasparenza!
Incredibile come in quattro anni, mentre il tax credit arrivava a un miliardo di euro, il cinema italiano entrava in coma e gli stranieri invadevano il sistema, il Sindaco non si sia accorto di nulla, abbia favorito le piattaforme ma, certamente (aveva ragione Lucisano), fu un fan di Franceschini.
L’Italia cinematografica in quegli anni cambiò il DNA e, purtroppo, anche ora lavora e lavorerà con un DNA distorto da norme sconcertanti.
La sottosegretaria con delega infinita da anni, anch’essa immaginifica sostenitrice di un cinema demolito dal tax credit e dalle fatture fantasiose, ancora oggi sostiene che il settore è forte e in salute, mentre al contrario è in coma e malatissimo nella conformazione nazionale ma ben strutturato per le aziende straniere. Rutelli, che difende queste ultime, non si rende conto, o forse sì, che potranno anche produrre opere su Marconi, Mattei, Cavour, personaggi del Paese, ma lo fanno nel loro esclusivo interesse che qualcuno dovrebbe controllare e non lo fa.
Terribile è l’ignoranza giornalistica in questo campo (salvo l’indubbia capacità di analisi di Zaccone, non ripresa a sufficienza), a meno che non sia asservimento alla politica: nessuno scrive che un film di un autore maestro come Pupi Avati costa tre milioni di euro grazie all’onestà di Antonio Avati, mentre un film modesto come quello della Rohrwacher ne costa dieci e quello di Saverio Costanzo trenta! Incasso sala 410.000 euro, tax credit dieci milioni, ovviamente a un’azienda straniera!
E siamo di nuovo alla sceneggiata di Venezia, nella quale viene esaltata l’operazione Cinema Revolution, che è palesemente fallimentare perché ha dimostrato che, anche con il biglietto ridotto, la gente va a vedere i film americani a prezzo pieno. Nessuno dice che una cosa è l’esercizio che gode comunque dei cartoni animati di successo, e un’altra cosa è il nostro povero cinema sbilenco, in attesa dei pagamenti che non arrivano perché in realtà non ci sono soldi, e la politica lo nasconde per far passare l’anno.
E dobbiamo ringraziare il ministro Sangiuliano se, pur avendo delegato la Borgonzoni, ha gettato il sasso nello stagno dicendo che è ora di stare attenti ai risultati. Senza questo campanello, Rutelli e la sottosegretaria ci direbbero che siamo la più importante struttura cinematografica mondiale, ignorando il sofisticato lavorio di fatture e di note di credito di cui Cinecittà ci ha dato un esempio!
Michele Lo Foco
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