USA 2024
regia Francis Ford Coppola
con Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza, Shia LaBeouf.
L’America del futuro sarà un’eterna citazione dell’antica Roma, simbolo dell’impero in decadenza giunto ad una svolta epocale. In questo scenario futuristico, la “svolta epocale” si deve ad un grande quanto misconosciuto e tormentato inventore, Cesar Catilina (Adam Driver) artefice di un prodigioso nuovo materiale con il quale non solo costruire una nuova città (la Megalopolis del titolo) ma addirittura ricostruire la coscienza della specie umana, per portarla ad un livello spirituale più elevato. Per riuscirci dovrà lottare contro le proprie debolezze non meno che contro gli intrighi del potere e dei banchieri.
Francis Ford Coppola vede da sempre il cinema come una sfida innanzitutto personale. Da “Apocalypse now” in poi la sua produzione è un costante alternarsi di film che lo indebitano fino a portarlo sul lastrico e lavori “alimentari” su commissione per riparare a quei disastri economici. Film di cassetta che, per inciso, a volte si rivelano anche più riusciti dei capolavori maledetti, vedi “Il padrino”.
Megalopolis, costato anche stavolta molti anni di lavoro oltre a svariati milioni di dollari, è un rutilante affresco fatto di citazioni verbali e cinematografiche, da Marc’Aurelio a Shakespeare a “Metropolis” di Fritz Lang. Dà l’idea che Coppola abbia cercato di metterci dentro tutto ciò che è e che sa, una summa si sé stesso, della sua cultura e delle sue utopie. E il film è vivace, non certo un senile canto del cigno come si potrebbe immaginare.
Quello che a nostro avviso manca in una narrazione che, pur non essendo eccessiva, richiede comunque una visione di quasi due ore e mezza, è l’emotività. La costruzione è solo “di testa”, anche perché non vuol perdere mai di vista la metafora, ma lascia la sensazione di una certa freddezza, al punto da apparire alle volte, anche visivamente, una specie di versione molto colta dei film della Marvel tanto in voga, con una fotografia iper patinata e coloratissima.
In ogni caso, chapeau ad un film coraggioso e difficile, proveniente da un’America sempre più schiava del politicamente corretto, che si concede fantasia e massima libertà espressiva.
Bruno Di Marcello
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