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Norman, maldestro fixer con talento negoziale

Caro formatore, “L’incredibile vita di Norman” ( Norman: The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer, 2017), sembra un film poco adatto a supportare la formazione, visto che non ci sono eroi né modelli nella storia raccontata da Josef Cedar, il regista newyorkese di origine ebraica già candidato all’oscar per il suo precedente “Footnote” (“Hearat Shulayim” ,2011) . 

Il regista Joseph Cedar

Richard Gere è Norman Oppheneimer, un uomo qualunque, senza alcuna credenziale, che si presenta come “Consulente Strategico”. Nei suoi sforzi di allargare la sua rete, aggancia, dopo un lungo pedinamento, il cavallo giusto, un sottosegretario del governo Israeliano, cui regala un paio di scarpe di lusso. In bilico tra il servilismo e la vera amicizia, riesce a superare le reticenze del politico, che sa di non poter accettare regali costosi. Tra i due nasce un legame che perdurerà anche quando, tra anni dopo, Micha Eshel (Lior Ashkenazi) diventa primo ministro. Tre anni ove Norman si è prodigato per aiutare il potente amico, addirittura riuscendo ad inserirne il figlio all’Università di Harward, nonostante non ne avesse i titoli. Questi risultati vengono ottenuti utilizzando l’aiuto di altre persone, che a loro volta abbisognano di favori. Norman, non potendo fare leva su alcuna reale risorsa, adotta la strategia del Barone di Munchausen, che si sollevava tirandosi la treccia di capelli.

Richard Gere e Lior Ashkenazi in una scena del film

Il film indaga il limite della morale attraverso la miseranda condizione dell’oggi, ove gli umani si caratterizzano per il bisogno di aiuto quanto dalla povertà di risorse.

Ma è proprio in questo contesto che Norman, maldestro faccendiere (fixer) riesce ad ampliare progressivamente la rete e la visibilità, senza dimostrare competenze di alcun tipo, e senza peraltro ottenere alcun beneficio personale. La sua “strategia” funziona fino a ché le sue telefonate vengono intercettate cosicché il Primo ministro finisce sotto indagine. Ma quando tutto sta per andare a rotoli e l’ansia dello spettatore arriva al culmine, Norman, omuncolo privo di statura morale quanto di professionalità, chiude in modo geniale o forse eroico le parentesi che aveva aperto. Anche il Primo Ministro sorprende nel finale, svincolandosi dal trito cliché del politico senza scrupoli. Ne esce un film poco allineato all’etica corrente, quasi una reazione agli isterismi moralistici dei nuovi soggetti politici.

Lior Ashkenazi nella parte di Micha Eshel

Cosa possiamo portare in aula della pellicola di Josef Cedar? Innanzitutto una memorabile rappresentazione didascalica del talento, la risorsa che ogni essere umano possiede. Secondo i Guru che ne hanno definito il funzionamento, il talento è una moneta a due facce, indispensabile in alcuni contesti, controproducente in altri. L’altezza è un dono per un giocatore di pallacanestro, un limite per un giocatore di hockey sul ghiaccio.

Charlotte Gainsburg interpreta nel film un agente del Mossad

Norman è una rappresentazione didattica del professionista dotato di un unico talento, il bisogno di creare relazioni aiutando gli altri. Nel tentativo di aiutare la “pericolosa” Alex Green (Charlotte Gainsburg), agente dei servizi di sicurezza israeliani, che utilizzerà contro di lui le informazioni captate, disegna la propria rete di relazioni su un foglio, ciò che costituirà la prima prova del dossier giudiziario. Il bisogno di aiutare gli altri è uno dei talenti chiave del negoziatore efficace, che è un motore di accordi che fanno muovere le cose. E Norman, per quanto maldestro e non consapevole dell’esistenza di codici normativi (il nome non può essere casuale), è un efficace negoziatore. Nella sua mente, prima di tutto, c’è il bisogno di offrire qualcosa, anche quando non ha nulla.

Luigi Rigolio

 

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